L'architettura al tempo del Covid19

La riscoperta delle architetture senza persone, il desiderio di ricominciare a viverle.

by Giorgio Del Puente
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Il virus Covid19, considerato dapprima come una banale influenza, sta rappresentando la più grande pandemia che il genere umano abbia provato nella sua storia. Mai nulla di simile è sinora stato in grado di raggiungere in così poco tempo ogni più remoto angolo della terra. Mentre scrivo siamo praticamente agli inizi e nessuno può fare pronostici attendibili circa gli esiti complessivi che si avranno. Soltanto una cosa è certa, ci sarà un "prima" e un "dopo" il virus, così come ora abbiamo sotto gli occhi quello che è il suo "durante". Per quanto attiene l'architettura, mi viene di fare alcune riflessioni.
La prima riguarda il fare architettura, in un momento in cui sono pochi i cantieri attivi ed è oggettivamente difficile pensare ad una produzione che esuli dall'emergenza.
La seconda è la riscoperta dell'architettura di interni, degli spazi della nostra casa, che divengono rifugi, luoghi che più che mai ora accolgono, danno conforto, durante la lunga attesa. C'è un rapporto di riconoscenza verso la propria abitazione, di maggior cura, di apprezzamento per le superfici, per i volumi, per le soluzioni adottate, in un rapporto simbiotico tra abitante ed abitato.
La terza è la constatazione dell'architettura senza gli uomini. Per definizione l'architettura è fatta per l'uomo, per le sue esigenze, è l'espressione del suo passaggio nel mondo, della sua cultura, dei suoi credo, del suo stile di vita. Eppure ora che l'unico modo per rallentare il virus è quello di starsene chiusi in casa, il nostro sguardo ha di fronte panorami nuovi, fatti di sole case, palazzi, monumenti. Fatti di un'architettura senza l'uomo, fine a se stessa. In molti casi si tratta di scene cariche di fascino, di una bellezza ineguagliabile, nella loro veste inedita, che incanta e che al contempo incute timore. Roma, Milano, Venezia, Parigi, Londra, New York e altre cento, mille città che siamo abituati a vedere sempre piene di gente, ora si mostrano vuote, essenziali, nelle ortogonalità delle loro geometrie, nelle modanature dei loro decori, nella plasticità dei loro chiari e scuri. Perché il sole continua ad esserci, il vento soffia ancora, i fiori sugli alberi come ogni anno ci annunciano l'arrivo della primavera. E' solo l'uomo, la sedicente immagine di Dio, a restare nascosto, come se si trovasse in un altrove.
Così, mettendo per un momento da parte l'intensa tragicità della situazione che stiamo vivendo, osservo questi paesaggi inusuali cogliendone tutta la ricchezza intrinseca, la strabiliante bellezza. Luoghi che sembrano tornati ad essere dei plastici accurati, progetti di un divenire che invece già appartiene alla storia.
La mia Roma, le sue strade senza macchine, il Colosseo senza file, i Fori imperiali senza turisti, il Corso senza quel fiume continuo di gente intenta a fare acquisti, nessuno per i quartieri degli uffici dell'Eur, le grandi piazze completamente deserte. Senza la folla di sempre, Fontana di Trevi appare sospesa in un tempo senza tempo, nel momento in cui si mantengono le distanze tra le persone, il colonnato di Piazza San Pietro resta proteso nel gesto di un abbraccio. "La grande bellezza" non ha spettatori, è lì ad attenderci, nella sua eternità paziente, il privarci di lei ci fa sentire ancor di più, quanto quelle pietre ci siano care.
Così altri luoghi, altre città più moderne, dove l'intensità espressiva delle architetture è data in primo luogo dalla moltitudine di gente che le affolla. Ora, senza nessuno, sembrano prive di qualcosa di essenziale, di una parte integrante della loro ragione d'essere, come un albero privo delle sue foglie, in attesa di un ritorno.

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