Pittori di Architetture _ Fabrizio Musa

by Paolo Bussi
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Andy Warhol sosteneva che l’evoluzione della tecnologia, in un modo o nell’altro, avrebbe indubbiamente ampliato il panorama significativo e creativo dell’Arte, in una persistente e ininterrotta scoperta di nuovi modi di dipingere, disegnare, costruire e assemblare, per giungere a un futuro in cui il culto dell’immagine, l’estetica e l’apparire diventeranno più rilevanti dell’essenza stessa dell’Arte.

Molti artisti contemporanei sperimentano, con successo di critica e pubblico, recenti forme per rendere pubblico il proprio credo artistico, cercando di completare o sostituire l’utilizzo di colori e pennello, sfruttando lo sviluppo tecnologico per incrementare la vastità di occasioni, come del resto la criticabilità della riuscita.

Gia nella Pop Art si era avvertito un forte bisogno di rinnovamento stilistico e culturale, analizzando nuovi soggetti nella cultura popolare, nella pubblicità e nella oggettistica, innalzando prodotti di massa a vere e proprie opere d’arte.

Fabrizio Musa, artista comasco tra i più intraprendenti e originali nel panorama italiano, fedele amante della Pop Art, cerca nuovi sbocchi per raccontare il proprio talento, coltivato da fotografia, cinema, architettura, pittura e musica[1]. L’utilizzo della fotografia è ormai consuetudine, così come la possibilità di cambiarne equilibri o gradazioni attraverso l’uso di personal computer.

Fabrizio Musa imbastisce un progetto che coniuga tecnologia e storia, scienza e classicità. Il suo lavoro inizia con lo scatto di innumerevoli fotografie, ognuna indispensabile per scovare le prospettive più meritevoli. Dopo aver scelto le fotografie migliori Musa utilizza lo scanner per alterarne la colorazione, retrocedendo al bianco e nero, ma anche diminuendone la definizione e la resa grafica, applicando un procedimento primordiale, una involuzione apparente che sfocerà in inusuali risultati artistici.

Passa dalla totalità dell’immagine, perfetta riproduzione della realtà, registrazione immutabile della concretezza, alla essenza del reale, mettendo in evidenza le parti maggiormente allettanti, le sfumature idilliache e gli stralci emozionabili. La pittura interviene successivamente, quando su una base di acrilico l’artista dipinge liberamente in bianco e nero, completando l’opera seguendo il proprio istinto, arricchendo zone scure o illuminando aree limpide. La concretezza del nostro mondo viene quindi riprodotta fedelmente, per poi essere stropicciata e ritagliata. Una volta raggiunto un nuovo punto di partenza, imperfetto stilisticamente ma piacevole graficamente, la pittura trasmette passione al foglio, accrescendolo di gradazioni delicate, oppure appannandolo con ombre profonde, in un rispetto sincero per il contesto dell’opera.

Fabrizio Musa rilegge la pittura tradizionale, sollevando una ventata di freschezza e plasticità, imprimendone forza creativa e contrasto visivo.

Quale migliore architettura poteva essere scrutata da questo occhio creativo, premuroso verso le forme solide ma efficaci, geometricamente bilanciate, se non il nitido e incontaminato razionalismo? Ed essendo Fabrizio Musa cittadino di Como, non poteva non ammirare il genio compositivo di Giuseppe Terragni, le cui architetture sono state una essenziale cornice artistica nelle vita del pittore, influenzandole inevitabilmente la nascita e lo sviluppo.

Fabrizio Musa dedica una serie di acrilici al Novocomum, alla Casa del Fascio e all’Asilo Sant’Elia, in un rispettoso e sentito omaggio al maestro comasco.

Dal 2002 Fabrizio Musa compone una serie di opere ritraenti il Palazzo del Fascio di Como, sorpreso in momenti particolari, immortalato in attimi quotidiani.

Così ne Palazzo del Fascio con Taxi l’architettura sovrasta una scena abitudinaria, imprimendo la propria decisa partecipazione alla ripetitiva quotidianità.

Nel Palazzo del Fascio dalla ferrovia nord Fabrizio Musa colloca in primo piano un cartello ferroviario, lasciando l’architettura sullo sfondo, raccogliendola in una griglia geometrica. Questa opera è puramente istintiva, come lo sono gli artigli grigi che nascono nel cielo imbiancato, oppure i numeri sfilacciati depositati sui cartelli.

L’interno dell’edificio è marcato nel Palazzo del Fascio visto da galleria interna, una stanza ricoperta di neve, risplendente di un bianco vivacissimo, che ingloba il pavimento, le pareti e il soffitto, in una sorta di galleria surreale, illuminata da mille luci, tutte condensate in un’unica atmosfera.

Nel Novocomum txt del 2004 ritrae il massiccio palazzo di Giuseppe Terragni, primo vero esempio di razionalismo italiano. La versione di Fabrizio Musa perde inevitabilmente i dettagli architettonici, la purezza delle linee, la precisione dei profili.

Ma la forza dirompente dell’edificazione e l’ordinata pesantezza che dona all’ambito in cui sorge restano immutate, in un’opera che sembra galleggiare su un cielo sfaccettato di azzurro, rapita da un’altra realtà e incollata stabilmente, già interprete indissolubile del paesaggio. I contrasti delle doppie tinte di Musa inaspriscono ancora più, se possibile, il conflitto architettonico che caratterizza l’angolo dell’edificio: la liquida fluidità della curva, che scorre mestamente lungo tutto il prospetto litiga proficuamente con il severo angolo retto dell’ultimo piano, cocciuto e spigoloso, arrogante nella propria conscia superiorità corporea. La massa nera al piano terra rende ancora più abbagliante il bianco dell’edificio, mentre scurisce le sovrapposizioni dimensionali, incupendo gli arretramenti, in un alternarsi avventuroso di linearità ricercate.

Per completare la rassegna dedicata a Terragni Fabrizio Musa ritrae anche l’Asilo Sant’Elia l’anno successivo, sempre impreziosendo le pulite superfici architettoniche a discapito del tetro contorno.

Il 2005 è l’anno decisivo per la produzione di Farbrizio Musa.

L’intricata relazione pittura–architettura vede spalancarsi nuove porte: la pittura non è più decorazione architettonica, così come non è più riproduzione di architetture.

Con Fabrizio Musa la pittura diventa architettura.

Nell’anno del centenario della nascita di Giuseppe Terragni, Musa propone una soluzione sovvertitrice, uno scambio di ruoli sorprendente, in un’alternarsi di responsabilità e funzioni. Musa decide di realizzare l’architettura con la pittura, allestendo una facciata vuota nel quartiere Cortesella a immagine del Novocomum. Lo stile è sempre quello delle tele acriliche, ma le dimensioni sono infinitamente maggiori. Per questo Wall Painting Musa realizza un’opera larga quindici metri e alta venti, servendosi di un ponteggio per l’ultimazione pittorica.

Questo è un passaggio fondamentale: attraverso la pittura, Musa compone l’architettura. In un quartiere significativo, mancata riqualificazione urbanistica di Terragni, Fabrizio Musa concede un’altra possibilità al luogo. Vuole imprimere la mano di Terragni in una zona insulsa come un muro cieco, e per realizzare questo ambizioso progetto trasporta l’immagine sull’architettura, dipingendo il muro come fosse una tela, trasportando fisicamente il Novocomum in una nuova piazza, davanti a incuriositi sguardi, con sconosciuti vicini. Il Novocomum rivive ancora, abbandonando la sua sede naturale per abbracciare una estensione culturale, un riassemblaggio teorico, un ricordo del reale.

La pittura abbandona ancora una volta la tela e lo studio per dedicarsi alla parete, ma questa volte non completa l’architettura, ma la stravolge, sgretolandola con la sua intensità, cancellandone i limiti con la violenza del bianco e nero, sostituendola grazie a una superiore ferocia artistica.

La pittura prende il posto dell’architettura, ne scambia le mansioni e le problematiche: predilige le armonie strutturali alla funzionalità, celebrando l’estetica a discapito dell’inutilità di un muro senza lirica.

Il Novocomum di Musa dialoga splendidamente con i mattoni della chiesa retrostante, allacciandosi alla preesistente costruzione quasi fosse una edificio atemporale, un fumetto in mezzo alla concretezza, agile e vibrante nella fissità dell’intorno.

Nel 2007 Musa ha riletto anche L’Asilo Sant’Elia, mascherando un’altra parete inutilizzata, scavalcando il lasso temporale che separa le due realtà, smaterializzando la distanza spaziale delle due opere.

Fabrizio Musa, oltre ad aver reinterpretato la pittura di architetture, allacciando arti così differenti come fotografia, pittura e architettura in un unico processo accidentato ma avvincente, ora sostituisce l’ultimo tassello del mosaico, rendendolo trasparente, volubile e fragile. 

 

Arch. Paolo Bussi

 

[1] E. Gravagnuolo,  Musa, l’essenza della visione, in «Arte», Mondadori, Milano, dicembre 2004, p. 86.

 

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    • Paolo Bussi

      Paolo Bussi

      Architect

      Gavardo / Italy

      Paolo Bussi, nato a Desenzano del Garda il 31 ottobre 1982, è iscritto all’Ordine degli Architetti della Provincia di Brescia al n.2819.La Laurea specialistica in Architettura è ottenuta presso il Politecnico di Milano. Svolge una Tesi, poi pubblicata ed esposta in alcuni seminari, sui pochi artisti che negli ultimi cento anni sono stati sia architetti che pittori, evidenziando la propria passione per l'arte e l'architettura. Dal 2010 fonda con la moglie Elisabetta, anch'essa architetto, lo stu)