E se Amleto in realtà non avesse fatto altro che parlare di architettura? Se volesse, con Polonio nel III atto, solo disquisire di costruzioni? Dice, infatti, ”Vedete quella nuvola laggiù? Non ha quasi la forma d’un cammello? O piuttosto direi di una donnola. O forse una balena?”
Davanti al surreale OCT Design Museum di Shenzhen, pare proprio di immaginarselo il principe shakesperiano mentre si illude, si confonde, si sbalordisce per quella forma naturale ma così irreale. Un’opera che da lontano sembra una nuvola quasi perfetta, poi si fa liscia pietra, quindi uovo inclinato e infine diventa qualcosa di ultraterreno, come una sorta di navicella spaziale, o, forse, balena dal grande ventre che porta chissà dove.
Shenzhen, metropoli del Guandong da 12 milioni di abitanti che dista circa 100 km da Hong Kong, non a caso la chiamano City of Design. Attrazione per grandi studi internazionali e architetti in fuga dalla crisi, questa enorme città vanta uno skyline non da poco con i suoi grattacieli che continuano a sbocciare – il Pingan International Center con i suoi 648 metri una volta completato nel 2015 diventerà il secondo edificio più alto al mondo- e le costruzioni firmate dai grandi architetti -Fucksas per l’aeroporto, Steven Holl per il grattacielo orizzontale, Marco Casagrande per il Bug Dome, Terry Farrell per la Kingkey Finance Tower, Arata Isozaki per il Cultural Center. Questa nuvola, di magrittiana memoria, nel quartiere orientale di Nanshan fa parte del complesso di OCT Bay. Ovvero cinquemila metri quadrati di attrazione turistica dedita alla mallificazione che comprende centri commerciali, uffici turistici, laghetti, ponti, spiagge, ristoranti, bar e attività ricreative.
“L’intento è quello di collegare l’aspetto moderno della Cina con le sue antiche radici, reinterpretare la tradizione in chiave contemporanea”, questa l’idea dell’architetto Pei Zhu, classe ’62, firma dell’edificio e fondatore a Pechino dell’omonimo Studio che conta venti teste e quaranta mani pensanti. Tra i concorsi vinti quelli per il Guggenheim Museum di Beijing e il Guggenheim Art Pavilion di Abu Dhabi; fra i premi il Design Vanguard nel 2007, il China Award nel 2006, il WA Architectural Prize nel 2004; poi esposizioni all’Albert &Victoria Museum (2008, ‘China Design Now’), a Dresden in Germania con la mostra Chinese Gardens for Living – Illusion into reality sempre nel 2008, quindi il Centre Pompidou di Parigi (2003, ‘Alors, la Chine?’), la partecipazione alle Biennali di Beijing, San Paolo e Canarie.
Con quella soddisfazione che non è mai abbastanza, Pei Zhu cerca di dare una definizione al suo ineffabile: “Uno spazio surreale senza confini che sembra andare verso l’infinito, simile alla sensazione di una installazione di James Turrell. Sembra di essere in una nuvola o in una nebbia fitta. L’edificio diventa uno sfondo vuoto, con piccole finestre triangolari sparse casualmente, come se fossero uccelli in volo.
“In questo Design Museum di Shenzhen a 300 metri dalla spiaggia, sede di sfilate di moda, mostre di design e show automobilistici, più di tutto regna il bianco. L’edificio con le sue curve che fanno da semplice sfondo è leggero, pare quasi non abbia ombre o giochi di profondità. Al primo piano trova posto una hall all’ingresso e uno spazio caffè, mentre le aree espositive principali si trovano sul secondo e terzo livello. Dall’esterno la luce quasi non può entrare, se non fosse per le pareti perforate da finestre triangolari, ma il Design Museum è di per sé pura luce.
Una costruzione che sfiora il terreno, come fosse solo di passaggio, per trasformarsi poi in chissà cosa. Perché, come diceva Amleto, è questo il bello di un’illusione: essere una nuvola a forma di cammello, oppure donnola o, forse, balena. Studio Pei-Zhu
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