ucs+T | tiziana lancia

Teramo / Italy / 2008

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“La città: un infinito limitato. Un labirinto dove non ci si perde mai”
Kobo Abe “The broken map.”
Questa frase dello scrittore e poeta giapponese riassume i due grandi dogmi della città contemporanea ovvero la sua grande estensione e mancanza di identità e la incapacità dei suoi abitanti di fruirla, di perdersi in essa. Il perdersi è in questo caso inteso come strumento positivo di crescita, di esperienza, di fruizione di luoghi che abbiano identità, relazione e storia. La città dove non esiste più il senso di stupore e meraviglia che solo può indurre alla perdita è la città “senza indirizzi” esplorata da Roland Barthes nell’Impero dei Segni, una città dalla mappa indecifrabile: “La più grande città del mondo è praticamente inclassificata, gli spazi che la compongono nei dettagli sono innominati…” La città contemporanea è una realtà ove ci si può muovere all’infinito e che non si riesce mai a circoscrivere: in quella che si può definire la società tardo moderna torna dunque alla ribalta la figura del flâneur o del cyberflâneur come figura critica, come strumento di rifiuto del modello di una città divenuta indifferente. Alla fine dell’ottocento il vagabondare del flâneur esprimeva una critica alla società del II impero e all’idea di modernità: egli condannava la trasformazione urbana che stava avvenendo in senso funzionale e razionalista e si muoveva alla ricerca di “sacche di resistenza” nei mercati e nei quartieri tradizionali. Il cyberflâneur contemporaneo si muove anch’esso alla ricerca di luoghi identitari della città ma, vivendo nell’era dell’informatica, gode di una mobilità virtuale illimitata che cancella lo spazio fisico e permette di muoversi anche nella rete della cosmopoli virtuale con le sue possibilità interattive e la sua capacità di ridefinire i sistemi con i quali entra in relazione. La città ipertecnologica dell’era virtuale, comunque, non cancella o esclude quella fisica e il senso geografico del luogo ma ne amplia i confini trasformando la città in quell’infinito limitato di cui parlava Abe. La metafora dominante della città oggi è, quindi, ancora il labirinto, un labirinto che assume, tuttavia, nuove forme spaziali. La nuova forma del labirinto urbano è il rizoma, un sistema aperto, sempre percorribile dove il perdersi acquista il significato di una scoperta, di un incontro imprevedibile, di un momento di crescita. La metafora del labirinto prende l’aspetto di una strategia cartografica per condurci attraverso la complessità della città di oggi, muoverci all’interno di essa, riconoscerne gli spazi, vincerne le paure e individuare modalità di resistenza al senso di disorientamento spaziale. Vagando per il labirinto rizomatico della città, ci scontriamo con il doppio livello di significato di città, messo in evidenza da Michel De Certeau, nell’Invenzione del quotidiano, la città del “vedere” e la città del “fare”. Nella “città panorama” la realtà urbana può essere vista dall’alto, trasposta su una carta, pianificata e organizzata: “Vi è un’estraneità del quotidiano, sfuggente alle totalizzazioni immaginarie dell’occhio, che è priva di superficie o è soltanto un limite avanzato, un bordo che si staglia sul visibile” spiega De Certeau. Se si scende, invece, a livello della strada, si diventa walker, pedoni: “Una città transumante, o metaforica, s’insinua così nel testo chiaro di quella pianificata e leggibile”. Il walker è cieco, non riesce più a vedere la città nel suo insieme, ma ne vive la realtà quotidiana nelle sue relazioni spaziali e sociali. Scrive ancora De Certeau: “Ma coloro che vivono quotidianamente la città, a partire da soglie in cui cessa la visibilità, stanno “in basso”. Forma elementare di questa esperienza sono i passanti (Wandersmänner), il corpo dei quali obbedisce ai pieni e ai vuoti di un “testo” urbano che essi scrivono senza poterlo leggere. “Si aggirano in spazi che non si vedono, ma di cui hanno una conoscenza altrettanto cieca dei contatti fisici amorosi. [...] E’come se un accecamento caratterizzasse le pratiche abitative della città abitata”. La città del walker è anche la parte più viva e creativa dello spazio urbano: essa racconta le storie dei milioni di individui che la abitano, del loro muoversi secondo itinerari differenti; è ricca di spazi aperti, di angoli bui, di nuovi modi di essere, di rapportarsi con l’esterno e con l’interno, di perdersi e di trovarsi. Ecco dunque che per poter ridare linfa e voce agli spazi e ai vuoti urbani del centro storico di Teramo si è deciso di partire dal basso, dal livello dei walkers, e di creare una trama che si sovrapponga al labirinto urbano e come un rizoma lo attraversi in ogni direzione sensoriale e fisica (orizzontale, verticale, in profondità e nel tempo). Questo è anche il motivo per cui si è scelto di affrontare un tema a scala urbana evitando la rappresentazione spaziale convenzionalmente utilizzata in urbanistica per dare, invece, al progetto una terza dimensione (profondità) e anche una quarta dimensione (tempo), eliminata solo ai fini della presentazione cartacea ma fondamentale per la comprensione complessiva del modello che per essere capito e gestito ha bisogno di essere ruotato ed animato. Attraverso la nostra trama urbana e il suo inverarsi nei singoli luoghi e connessioni il fruitore potrà istaurare un dialogo dinamico con se stesso e con lo spazio, si potranno connettere punti diversi e centri lontani e relazionarli in maniera sempre diversa a seconda del contesto e delle circostanze e nel fare ciò si riuscirà a creare un dialogo costante tra luoghi istituzionalizzati e neoluoghi ri-progettati, un dialogo o, per dirla con L.B. Aberti una “musica”, in cui i flâneur contemporanei potranno perdersi e ritrovarsi sempre diversi, sempre più ricchi. La città diventa così il rifugio dell’uomo contemporaneo e lo spaesamento diventa, a sua volta, volontà di perdersi e capacità di conoscenza e di incontro, in una parola cultura.
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    Project details
    • Year 2008
    • Client comune di teramo
    • Status Competition works
    • Type Parks, Public Gardens
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