"Villa del Seminario" | DOMENICO SCOPA

Restauro conservativo, consolidamento statico, miglioramento sismico per la rifunzionalizzazione per Centro di Ospitalità RSA più Alzheimer Roccastrada / Italy / 2006

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INDICE Cap. 1 - RELAZIONE STORICA Cap. 2 – DESCRIZIONE DEL COMPLESSO ARCHITETTONICO Cap. 3 – IL DEGRADO DELLA FABBRICA (aspetti generali) Cap. 4 – IL DEGRADO DEL MONUMENTO Cap. 5 – INTERVENTO DI RESTAURO  - INCATENAMENTI  - CONSOLIDAMENTO MURARIO (cuci e scuci)  - REALIZZAZIONE PARETI ANTISISMICI  - CONSOLIDAMENTO SOLAI  - CONSOLIDAMENTO E RIFACIMENTO INTONACI  - RIFACIMENTO COPERTURE  - SOSTITUZIONE E RECUPERO INFISSI ESTERNI  - RIMOZIONI SUPERFETAZIONI RELAZIONE TECNICA SCIENTIFICA E METODOLOGIA DI INTERVENTO _________________________________________________________________________  RELAZIONE STORICA Capitolo 1 In mezzo a due antichi e pittoreschi paesi d’origine medievale, Roccatederighi e Sassofortino, su di un soleggiato altopiano circondato da un secolare castagneto che scende gradatamente fino alla vicina strada provinciale, sorge grandiosa la Villa estiva del Seminario di Grosseto che, da un’altezza di seicento metri sul livello del mare, domina le vallate circostanti con quel suo volume solenne ed imponente stagliandosi dal verde dei castagni, ben individuabile anche da grande distanza. Un segno forte, i cui elevati contenuti paesaggistici ed ambientali lo rendono un elemento polarizzante ed ordinatore all’interno del contesto territoriale; così come analogamente avviene con quel sistema di “figure strutturanti” costituito da borghi, castelli ed abbazie, la sua ubicazione a quarantasei chilometri da Grosseto, centro geografico della maremma, è quanto di più ameno e salubre possano offrire questi luoghi. La sua posizione risulta particolarmente felice, la migliore che si potesse individuare su queste colline degradanti verso la vasta piana che si apre in direzione del Mare Tirreno. L’alito del mare, infatti, spira vivace attorno al maestoso edificio, dal quale è possibile godere di un incantevole panorama. Quando l’atmosfera è limpida, si scorgono a ponente i monti della Corsica ed a levante l’isola del Giglio, il monte Argentario, che con Orbetello e Porto S. Stefano costituiscono la Sezione Toscana della millenaria Abbazia dei SS. Vincenzo e Anastasio ad Aquas Salvias affidata dal S. Padre all’amorosa sollecitudine del Vescovo di Grosseto, quale Delegato Apostolico della S. Sede. Dietro alla Villa, più in alto, a circa ottocento metri di altezza, sono i ruderi di Sassoforte, antico castello, donde prese il nome Sassofortino, nel 1438. Da quell’altura si contempla Siena, che per queste zone non rappresenta soltanto il “contenitore” e custode di un inimitabile patrimonio di storia e di arte, ma anche la memoria di fiere lotte fraterne, che la Capitale della Maremma, ora non più soverchiata, ha già dimenticato né guarda più a lei come “dell’Arbia alla belva nutrice” (L. Porciatti), ma come ad una “sorella”, di cui serba memoria riconoscente per gli esempi dei suoi santi e dei suoi memorabili artisti. Più lontano sono i monti del Casentino e dall’altra parte le Alpi Apuane. A levante della Villa si trova il Monte Amiata, dalle cui cime sgorga l’acqua che, tramite un grandioso acquedotto inaugurato nei primi anni del secolo del Re d’Italia Vittorio Emanuele III, alimenta la città di Grosseto, risorsa preziosa non solo per la città ma anche per le frazioni, specialmente per Alberese, la vasta Tenuta riscattata dai combattenti che ha per sbocco Marina di Grosseto, una delle più belle città d’Italia per la magnifica spiaggia. La Villa del Seminario fu voluta da S.E. mons. Bernardino Caldaioli, vescovo di Grosseto dal 1884 al 1907, il quale nell’anno 1904 acquistò il castagneto in località Costombrosa, a due chilometri da Roccatederighi e altrettanti da Sassofortino nel Comune di Roccastrada per la costruzione della Villa estiva del Seminario Diocesano. La Villa fu progettata e realizzata, su suo personale disegno, dal suo successore S.E. mons. Ulisse Carlo Bascherini Vescovo di Grosseto dal 1907 al 1920, il quale diede inizio alle opere di costruzione attorno al 1908. Non può passare inosservata la singolare e significativa portata di questo evento che immediatamente rimanda a quel che analogamente accadeva in altre epoche storiche, quando gli stessi abati (Benedettini, Cistercensi, ecc) non si limitavano ad indicare scopi e contenuti inerenti l’ideazione delle loro abbazie, ma si assumevano in prima persona il compito (tecnico ed artistico) di progettare - fin nei dettagli - l’intero complesso architettonico. La Villa, ormai ultimata e perfettamente agibile, accolse per la prima volta gli alunni del Seminario Diocesano nell’estate del 1912. Un articolo apparso sul Numero Speciale del Giornale Diocesano in occasione dell’ingresso di S.E. mons. Galeazzi in Grosseto (1933), bene descrive - pur nel linguaggio di quegli anni - le preoccupazioni educative, culturali e ricreative, che animavano quest’opera negli scopi di chi l’aveva ideata e voluta: “ Qui trovano gli alunni le agiatezze convenevoli alla salute del corpo, alla tranquillità dello spirito, al ricreamento, alla preghiera. Qui sono evitati i pericoli delle prolungate vacanze in famiglia, che mossero Leone XIII a scrivere l’Enciclica (18 settembre 1899), in cui s’inculca per i piccoli e per i grandi Seminari, un luogo adatto di villeggiatura: . Il bel viale intorno alla villa, la singolare grotta di Lourdes, tra grandi massi muscosi, a cui fan da padiglione i rami de’ castagni tra loro intrecciatisi, è opera volontaria dei seminaristi. La candida statua in marmo della Vergine Immacolata, che posa sopra un piedistallo naturale di trachite elevantesi in forma di piramide triangolare rovesciata, mentre dai massi zampilla l’acqua cadente sulla sottostante piscina, fu eseguita con arte dalla Ditta Bambini di Pietrasanta. E’ meta la Grotta di pie peregrinazioni. Lì si chiude la suggestiva festa annuale della Villa. Ah! La vita di villeggiatura, le belle accademie musico-letterarie, le devote funzioni della Cappella, palestra di predicazione per gli alunni, e la presenza del Vescovo come il padre tra i figli, il Maestro fra i discepoli.” Successivamente, negli anni attorno al 1935, S.E. mons. Galeazzi, Vescovo di Grosseto dal 1933 al 1971, ampliò la Villa nel rispetto del disegno originario. Oltre ai seminaristi la Villa ospitò anche i ragazzi della Maremma per le Colonie estive. Negli anni compresi tra il 1940 ed il 1945, la Villa fu utilizzata e trasformata dai tedeschi in campo di concentramento per gli ebrei, senza subire peraltro alcuna alterazione dell’impianto originario né manomissioni alla struttura architettonica. Terminata la guerra, la Villa riprese la normale ed originale destinazione funzionale, che verrà espletata fino agli anni ’70. Nell’arco intercorrente tra il 1970 ed il 1973, la gestione e l’uso della Villa vengono affidate all’Opera Diocesana Assistenza di Roma per essere utilizzata come colonia estiva. Nel 1980 viene presa in gestione dalla Azione Cattolica diocesana per i “campi-scuola” di giovani ed adulti. Nel 1985 l’edificio viene abbandonato a se stesso a causa dei necessari adeguamenti normativi in materia di antincendio, di sicurezza, di accessibilità, di requisiti igienico-sanitari, che avrebbero richiesto un impegno finanziario sproporzionato e non sostenibile. Ciò nonostante, attorno all’anno 1985, si procede al rifacimento della copertura con un intervento il cui scopo manutentorio è quello di arginare (o quanto meno rallentare) il progressivo ed inesorabile deterioramento della struttura insieme a tutte quelle valenze architettoniche e culturali che essa ancora esprime. Valori di interesse storico ed artistico che in data 12/03/96 con Protocollo 490/99 l’allora Soprintendente Arch. Pio Baldi provvede a notificare (tramite vincolo di cui al titolo I° del D. Lgs. 490/99 apposto sulla parte più antica del complesso architettonico) con la seguente motivazione nella quale si attestava: “ che l’immobile in oggetto è da ritenersi assoggettato alla legge 1089/39 ai sensi dell’art. 4, in quanto considerata l’epoca di costruzione, i primi anni del secolo, manifesta caratteristiche morfologiche facenti riferimento a stilemi architettonici tardo settecenteschi; costituisce pertanto un esempio di come ancora in quel periodo tali caratteristiche architettoniche fossero considerate capaci di conferire un’immagine sufficientemente prestigiosa a edifici con tale destinazione d’uso”. Il secondo corpo di fabbrica, non sottoposto a vincolo, risale agli anni ’60 quando fu fatto costruire in ampliamento alla Villa originaria, su progetto dell’Ing. Ernesto Ganelli. DESCRIZIONE DEL MANUFATTO ARCHITETTONICO Capitolo 2 Sulla sommità di questo bellissimo altopiano, circondato da un paesaggio incontaminato e da boschi secolari di castagno, si staglia netto e preciso il volume della Villa: una presenza forte e dialogica, eppure perfettamente contestualizzata con l’ambiente naturale in cui essa è stata pensata. Per meglio comprendere il contesto, anche geografico, in cui tale complesso si colloca, non sarà inutile fornire anche qualche ragguaglio in merito a possibilità e modalità di collegamento con località vicine e principali nodi viari e vie di comunicazione. Roccatederighi dista da Grosseto 35 Km ed è sufficientemente collegata dai mezzi pubblici. Dalla Villa è facilmente raggiungibile l' Aurelia (Km 15 ca) e la Senese (Km. 20 ca). Si segnala anche che grazie alla linea tirrenica della Ferrovia, a Grosseto fanno sosta tutti i treni provenienti sia dal nord che dal sud. Da Porto S. Stefano e da Piombino è possibile prendere i traghetti per le isole. L 'aeroporto di Pisa dista da qui circa Km. 120. E' inoltre allo studio la possibilità dell'apertura dell' aeroporto civile di Grosseto. Tornando alla Villa, l’intero complesso risulta costituito da due corpi di fabbrica ben individuabili (quello originario della Villa e quello di più recente fondazione, in ampliamento al primo) collegati tra loro soltanto da un corpo scala, la cui soluzione architettonica per nulla rispettosa dell’edificio più antico, non è delle più felici. L’impianto originario della villa, costituita da tre livelli abitabili più il sottotetto, obbedisce coerentemente a quei caratteri formali e funzionali che connotano l’architettura settecentesca ed anche quella tardo-ottocentesca per quanto concerne edifici a destinazione pubblica o comunque pensati per un utilizzo prevalentemente comunitario come questo. Senza indugiare troppo in una lettura esclusivamente filologica dell’edificio originario, si può senz’altro affermare che esso presenta un forte carattere unitario, privo di divagazioni stilistiche, sobrio ma non austero, imponente ed al contempo familiare e domestico. Infatti, gli unici elementi stilistici e decorativi presenti in facciata non ostentano alcun cedimento celebrativo o monumentalistico, ma si limitano a sottolineare - in modo discreto e coerente – le caratteristiche volumetriche e la ben proporzionata sequenza di aperture che scandisce in modo sapiente i tre livelli che strutturano l’impianto della villa. Il prospetto principale (rivolto a Sud), rigorosamente simmetrico, risulta contrassegnato da pochi ma significativi elementi che ben sintetizzano le ragioni funzionali e simboliche (contenuti, scopi e significati) di questa architettura: due accessi identici al piano terra con archi a tutto sesto incorniciati da una listra modanata in pietra di trachite (l’uno in corrispondenza dell’atrio di ingresso e dell’ampia scala di collegamento ai piani, l’altro posto in connessione con la zona destinata a refettorio); il balcone al piano primo, unico elemento aggettante dell’intero edificio, in asse ai due ingressi e sorretto da quattro mensole in forma di beccatelli; al piano secondo l’ordine gerarchico di questa assialità verticale, si conclude con un’apertura tripartita con al centro la statua marmorea di Cristo Redentore; la zoccolatura a contatto col piano di campagna e la cornice marcapiano in pietra (in corrispondenza del balcone al P. 1°) che fasciano il perimetro dell’intero edificio, contribuiscono a meglio proporzionare e dare maggiore “leggibilità” all’edificio, così come le bugne ad intonaco dei quattro angoli. Il retro della villa presenta una piccola volumetria che interrompe la linearità della facciata in corrispondenza della scala interna, mentre sulla scansione che viene a determinarsi è stato ricavato uno spazio terrazzato al piano primo. Pertanto, il giudizio che si può dare sull’immagine complessiva della villa, a prescindere dalla sua datazione, è che essa appare non priva di una sua coerenza stilistica; il disegno delle facciate, concepito con rigore e semplicità ottocentesca, potrebbe apparire esclusivamente un fatto grafico senza alcuna rispondenza con gli spazi interni, mentre in realtà obbedisce ad una esigenza (non solo formale) di unitarietà e di chiarezza; la scansione dei pieni e dei vuoti risulta armoniosa ed il disegno complessivo equilibrato; cornici e davanzali modanati delle finestre contribuiscono ad unificare il carattere architettonico ed assumono un valore, se non propriamente stilistico, sicuramente ambientale e documentario. Dall’analisi delle planimetrie dei tre livelli, si può affermare che l’edificio sia nelle dimensioni che nelle funzioni, rispettava fondamentalmente la struttura conventuale, opportunamente modificata (sia dal punto di vista spaziale che distributivo) dalla necessità di inglobarvi tutte quelle “attualizzazioni” di tipo collettivo, educativo e ricreativo, che una convivenza di giovani seminaristi poteva far individuare e suggerire (anche dal punto di vista tipologico) in quel preciso momento storico. Lo schema planimetrico del piano terreno è sostanzialmente cruciforme, determinato da due assi distributivi: quello derivante dalla connessione ingresso-scala, e quello ad esso ortogonale di disimpegno alla cappella, refettorio, cucine, oltre a salette di incontro e ritrovo. Ai piani 1° e 2° tale impostazione si trasforma in una schema a “T” al fine di poter ricavare ampi spazi adibiti alle camerate comuni. Il grande scalone di collegamento ai piani, polarizza il sistema dei percorsi ed impronta in modo decisivo il carattere della spazio interno. Gli scalini sono a sbalzo, prefabbricati in graniglia; la ringhiera, che fa da coronamento a rampe e pianerottoli, è in moduli di ghisa realizzati nelle fonderie del Duca Leopoldo a Follonica. Il sistema dei percorsi interni, che impronta la Villa in modo netto, risulta ancor più enfatizzato dai soffitti voltati a vela e, nel vano scala, voltati a crociera e lunette raccordate da eleganti peducci. Tutti i soffitti restanti mostrano le “volterrane” con cui sono stati realizzati i solai. Assai singolare è la volta del vano posto immediatamente a ridosso dell’atrio di ingresso (a destra), in quanto presenta una vela ribassata a padiglione con nervature d’angolo a sezione circolare e peducci di forma conica. I solai, realizzati in “volterrane” presentano delle differenze, nell’interasse tra longarina e longarina e nella curvatura delle volticciole, probabilmente dovute sia all’orditura dei solai che alle luci (piuttosto ampie) dei vani da coprire. In particolare al piano primo, l’intradosso del solaio soprastante presenta in un vano un interasse di cm 60 (e volticciole con curvatura maggiore) ed accanto, un altro vano con orditura ortogonale al primo ed interasse di cm 80 (e volticciole con curvatura più ribassata). La copertura a padiglione, sostenuta da capriate in legno, contribuisce ad accentuare il carattere di villa ed il suo equilibrato e consolidato inserimento nel contesto. La struttura verticale della Villa è costituita da murature di notevole spessore realizzate in pietra e ricorsi di mattoni (2 file) ogni 40 cm circa. Il tipo di pietra arenaria- utilizzato anche nei portali a piano terra, nel marcapiano e nei davanzali modanati delle finestre - è assai comune in queste zone; si tratta della Trachite, una pietra effusiva di origine vulcanica, porosa e non estremamente dura, tanto che tende a spaccare se lavorata con ridotti spessori; nel tempo tende poi ad indurire progressivamente. Sempre con questo tipo di pietra, è stato realizzata la lunga e monumentale scalinata che dal livello stradale conduce (come in una “promenade architecturale” ed ambientale) sul piazzale antistante la villa, di fronte al prospetto principale rivolto a Sud. L’altro corpo di fabbrica, edificato in epoca successiva sul retro della Villa, nonostante la scarsa parentela stilistica con il nucleo originario, risente di quella presenza ed inevitabilmente ci si confronta, come dimostrano la posizione perfettamente allineata ad esso, lo stacco (non troppo accentuato) tra i due corpi di fabbrica, la regolarità volumetrica, il ritmo delle aperture in cui si coniugano elementi di orizzontalità e di verticalità: una simbiosi che nel tempo ha prodotto una “forma unitaria” non come assonanza linguistica ma come stratificazione storica. L’edificio, infatti, progettato dall’Ing. ERNESTO GANELLI, è stato costruito intorno agli anni ’60. La costruzione, di quattro piani, dalle murature perimetrali parallele e quelle della Villa e fanno un unico grande contenitore privo di divisioni interne sia al piano terra che al piano 3° (sottotetto). Il corpo scale, ricavato all’esterno del perimetro rettangolare dell’edificio sul lato Nord, costituisce l’unica “anomalia” volumetrica alla linearità della parte più recente. Contribuisce ad evidenziarlo, rispetto al resto dell’edificio trattato ad intonaco, anche il paramento esterno realizzato in conci regolari tagliati “filo-sega” di pietra trachite. I solai di questo edificio, avendo una portanza ridotta (200 kg/mq) rispetto a quella necessaria per realizzarvi, in fase di progetto, i laboratori previsti (400 kg/mq), saranno demoliti conservando soltanto i telai in cemento armato e verranno sostituiti da nuovi solai in legno lamellare. L’intradosso della copertura, al piano sottotetto, presenta una singolare sequenza di sottili capriate in ferro costituite da tiranti che corrispondano allo schema statico dell’arco a tre cerniere. Concludendo, per non concludere, con una riflessione sintetica sulle peculiarità di questo complesso architettonico, non si possono certo ignorare alcuni aspetti, che per la loro singolarità, meriterebbero certamente un’attenta considerazione ed ulteriori approfondimenti. Ci si riferisce, in particolare, alla figura del progettista della Villa originaria nella persona del Vescovo di Grosseto Mons. CARLO BASCHERINI , esempio ormai raro ma non casuale, di coincidenza tra committenza, utenza e momento ideativo tecnico-artistico; agli aspetti tipologici connessi a quel tipo di collettività; alle scelte spaziali e distributive; alla scelta di quel determinato sito; all’inserimento della Villa in un contesto caratterizzato da precisi valori ambientali e paesaggistici; al suo impatto a livello territoriale. IL DEGRADO DELLA FABBRICA Capitolo 3 3.1 – Aspetti generali Il degrado, nel suo più ampio significato, interessa i singoli componenti la struttura nel disfacimento progressivo del loro materiale costituito per azioni meccaniche, chimiche, cause più o meno naturali, ecc. ma è allo stesso tempo causato dal venir meno del funzionamento globale della struttura, o di sue parti, con la progressiva perdita nella fabbrica dell’equilibrio statico preesistente e la conseguente diminuzione dei fattori di sicurezza. La struttura, molto semplicemente, è la parte resistente, maglia portante o “scheletro” di un manufatto ed è formata da tanti quegli elementi, che hanno il precipuo compito di ricevere i carichi, sostenerli e trasmetterli, secondo gerarchie e logiche ben precise; logiche, o comportamento d’assieme, su cui si fonda la stabilità ed il mantenimento della fabbrica, o di sue parti, e di tutti quei valori, funzioni e requisiti che in essa si riscontrano, per i quali essa è stata voluta e che devono prolungarsi nel tempo. Da sempre qualunque fabbrica nasce con un preciso scopo e per un ben determinato fine, e di valori e messaggi che travalicano nel tempo l’oggetto materico ponendolo a simbolo ed immagine di fatti, personaggi, ecc.; sono costruzioni fatte per “sfidare il tempo” o la loro durata è indipendente dagli eventi che la possono colpire sia di origine naturale che umana. La “Villa” nasce come luogo di accoglienza dei seminaristi nel periodo estivo che da Grosseto luogo di pianura, si trasferiscono in collina, per un breve soggiorno di riposo dopo un luogo periodo di studio. Proprio il materiale, quello “strutturale” per primo, ha avuto da sempre un ruolo fondamentale per la fabbrica tenendo conto del fatto che la inevitabile autarchia in cui si muovevano i costruttori di un tempo, a causa di oggettive difficoltà di reperimento e di trasporto dai luoghi di produzione, obbligava gli stessi, dall’artigiano, all’operaio di cantiere, al progettista, a una continua ricerca di soluzioni per sfruttare al meglio la materia in loro possesso I materiali utilizzati per la costruzione del manufatto sono qui che più facilmente era reperibile nella zona come:  - arenaria per la struttura portante verticale  - tavelle e/o tabelloni uniti a profilati in acciaio per gli orizzontamenti  - copertura in legno. Ogni momento storico, più o meno lungo, più o meno definito, legato inoltre ad esigenze d’uso che mutano, ha quindi un suo proprio costruito al pari di ogni regione, di ogni contrada dove l’uomo ha lasciato traccia perché i materiali e le tecniche edificatorie che ne conseguono lo “segnano” in modo preciso. Il primo passo quindi per affrontare il degrado della struttura di un manufatto antico è quello di saperne leggere ed individuare con chiarezza la struttura medesima con le relative anomalie dal modello originario voluto dal progettista. L’intervento successivo sul manufatto – dopo la fase di profonda, ma anche “umile” conoscenza – sarà del tutto in linea con lo stesso perché il restauratore diverrà l’interprete e non il prevaricatore di fatti materiali sopravvissuti al loro tempo e pervenutici da un mondo sostanzialmente diverso. E’ molto importante, dunque, leggere in modo chiaro la struttura di una fabbrica, estrarla dal suo contorno, per quanto possibile, senza dimenticare le difficoltà che ciò comporta quando ci si rivolge al passato; un passato che bisogna conoscere a priori nei materiali che ne costituiscono le opere, nei modi che si sono “messi assieme” e coesistono oggi, nelle tecniche (definibili talvolta “artifici costruttivi”) con cui sono state realizzate maglie esistenti che travalicano con il comportamento d’assieme quello dei singoli componenti . Lo studio attento della distribuzione planimetrica e di quello fessurativo ci hanno condotto (come diremo in seguito) ad ipotizzare una serie d’interventi consoni con la fabbrica. Bisogna, per questo, cominciare a pensare la fabbrica nella interezza, come una macchina unica, talvolta complessa, tal altra più semplice, al cui funzionamento concorrono numerosi fattori ed elementi all’apparenza, o inizialmente, non proprio strutturali: infatti le costruzioni, entro certo limiti, riescono ad adattarsi a mutate condizioni di carico, a “violenze” più o meno naturali perpetrate ai loro danni, ricercando al loro interno schemi alternativi di compromesso e di risorsa statica, nuove condizioni di equilibrio. In questa nuova assegnazione di ruoli i vincoli si modificano, variano i contatti tra i componenti e l’equilibrio del tutto si stabilisce e si mantiene per il contributo di altri protagonisti della logica strutturale del manufatto . La logica strutturale, secondo cui la fabbrica esiste, prende origine da tale disegno, è ancora il medesimo a volte, ma è il frutto più spesso di successivi adattamenti a mutate condizioni al contorno, manomissioni, trasformazioni e “sofferenze” che il manufatto può avere subito nel tempo e di cui reca tracce più o meno evidenti; per mantenere in efficienza i requisiti di equilibrio, pur diversi da quelli assunti inizialmente, alcuni elementi strutturali avranno mutato il loro ruolo e modificato il loro apporto, altri avranno abbandonato magari quella funzione di riserva statica iniziale per diventare protagonisti attivi ed indispensabili della sopravvivenza del manufatto, altri saranno addirittura “usciti di scena” in modo definitivo, anche se presenti . Pur se il nostro manufatto ha una breve vita storica poco più di cento anni, le conseguenze è sotto gli occhi di tutti, per quanto riguarda il degrado materico, ma fortunatamente ci è stato consegnato “integro” per quanto riguarda l’aspetto delle manomissioni edili e quelli funzionali. La difficoltà di lettura per comprensione dei “malesseri”, o del degrado statico del costruito, risiede proprio nel distinguere per prima cosa i compiti di tutti gli “attori del gioco strutturale” verificarne l’efficacia singola, o d’assieme, e ricondurli, quando e se possibile, a schemi e formule consueti; ciò significa pure scomporre la fabbrica, organismo resistente fortemente iperstatico, in più sistemi staticamente determinati. 3.2 - Il degrado E’ possibile ora prendere in esame il degrado, inteso come progressivo venir meno di una logica strutturale valida nella fabbrica, pur diversa da quella originale, che non trova più al suo interno risorse e meccanismi di risulta alternativi ad altre forme di equilibrio statico; tale logica può venir meno sia per deficienza dei singoli componenti, sia per meccanismi che interessano la maglia resistente nel suo complesso . Il primo sintomo di tali sofferenze è allora la lesione, la perdita di continuità del materiale che denota il raggiungimento delle sollecitazioni unitarie di rottura per le cause le più svariate. Al di là di certi aspetti canonici, per andamento e forma, delle lesioni (a 45° per sollecitazioni da taglio, lenticolari per sforzi predominanti di compressione, ecc.) va subito chiarito che mentre il rapporto causa-effetto è del tutto univoco, non lo è altrettanto quello effetto-causa. Troppi infatti i componenti che la fabbrica richiama nel rispondere a situazioni anomale di carico, a cedimenti differenziati nelle sue fondazioni, troppe le variabili in gioco, prima tra tutte i materiali e i loro legami . Le tipologie costruttive e i materiali impiegati (la fabbrica stessa in sostanza) dovrebbe suggerire sempre, o sconsigliare magari, certi interventi. Tra gli esempi di debolezza diffusa più comuni, almeno per il passato, si colloca l’inserimento del cordolo continuo in calcestruzzo lungo la muratura portante per dare appoggio ad un solaio in latero cemento in sostituzione di quello ligneo originario. Certe murature infatti, non particolarmente compatte o ben legate, male sopportano la riduzione di sezione che non viene ripristinata dal cordolo in opera, anche perché i diversi materiali non si legano a sufficienza, oppure la massiccia presenza di profilati in acciaio che hanno sostituito e/o affiancato le travi lignee dell’orditura primaria nelle coperture . 3.3 - Problematiche connesse al restauro Nell’ambito degli interventi sui beni architettonici e, più ampiamente sul costruito preindustriale, ricorrono situazioni che spesso vengono risolte in maniera estremamente semplicistica, con atteggiamento superficiale e contraddittorio tra l’enunciato teorico e i risultati che si possono ottenere nel contesto storico in cui si opera. Soprattutto questi modi di procedere vengono talvolta giustificati ricorrendo a termini consolidatisi negli anni, nell’ambito degli addetti al restauro e/o alla conservazione, e spesso sono diventati significati assoluti, veri e propri assiomi da perseguire necessariamente. In effetti usare concetti dai significati assoluti nell’ambito del restauro dei monumenti, difficilmente imbrigliabili in schemi predeterminati, è assai arduo, in quanto ogni volta necessitano scelte progettuali diverse, difficilmente separabili dalla capacità di sintesi del progettista, il quale dovrebbe operare non secondo schemi preconfezionati (questo non significa non seguire determinate raccomandazioni, ad es. i Normal), ma in funzione di una singolare procedura, originale per tutti i progetti. Il progetto di restauro non è solo una serie di sterili indagini iniziali fini a se stesse, ma diventa parte integrante della progettazione architettonica, rapportandosi direttamente con la difficile opera di salvare il costruito che già esiste e non con quello che ancora si deve costruire, come avviene invece nella progettazione ex novo. Di seguito riportiamo le linee guida che hanno determinato il nostro progetto di restauro, pur rimanendo ben consci che il progetto vero e proprio sarà poi solo il cantiere. Si è inteso seguire ben precise direttive come reversibilità, compatibilità, curabilità, minimo intervento, autenticità, ed in fine manutenzione, parola molto spesso bistrattata ed in molti casi inapplicata esempio eloquente “la Villa”. La reversibilità è uno dei concetti più complessi; ricercata voluta da tutti i restauratori, anzi uno dei concetti base del restauro, risulta nella realtà estremamente complessa, e in alcuni casi anche poco chiara, a causa della molteplicità di sfaccettature che essa può assumere Brandi, “che essenziale scopo del restauro non è solo quello di assicurare la sussistenza dell’opera nel presente, ma anche di assicurare la trasmissione nel futuro: e poiché nessuno può mai essere certo che l’opera non avrà bisogno di altri interventi, anche semplicemente conservativi, nel futuro, occorre facilitare e non precludere gli eventuali interventi successivi” . Molto spesso denotiamo interventi già svolti che sono deleteri e, che nel tentativo della loro rimozione risultano ancora più gravi. La compatibilità, come nel caso della reversibilità anche questo termine ha un ventaglio di diversi possibili significati. Il più immediato è sicuramente la compatibilità di tipo chimico-fisica con i materiali preesistenti e la compatibilità meccanica tra materiali vecchi e nuovi. Ma la compatibilità è anche di ordine critico, e investe la sfera dell’immagine del monumento, per cui occorrerà valutare ogni volta l’opportunità di inserire una determinata struttura in funzione della lettura globale del costruito storico, mettendo in rapporto tra loro i concetti di compatibilità, reversibilità e durabilità nel tempo, innescando cioè il complesso processo critico che deve essere alla base di qualunque intervento di questo genere. Ai fini dell’intervento sul costruito storico, la caratteristica da valutarsi prioritariamente è la compatibilità chimica, ovvero si deve decidere se i materiali da utilizzare possono reagire o no tra di loro . Eviteremo prodotti di cui non si è certi della loro rispondenza onde evitare quei prodotti soprattutto a base chimica troppi spinta. Durabilità può suscitare alcune perplessità interpretative, dovute a quanto è stato detto per la reversibilità oltre alla tendenza attuale a porre un limite di durata per ogni prodotto. Anticamente la durabilità di un materiale era pensata con valenza centenaria, oggi esiste tuttavia un’altra tendenza, legata al consumismo imperante del mercato attuale: si tratta di una regola non scritta, ma semplicemente serpeggiante all’interno di vari cantieri di restauro, oltre che di quelli in cui si costruisce ex novo. L’uso di determinati materiali viene ormai valutato su un tempo medio di dieci anni. Il minimo intervento, la parola stessa va nella direzione di quanto è stato progettato come interventi e di cui noi siamo dei fautori instancabili . L’autenticità di qualsiasi intervento è dato dalla necessità dalle integrazioni da effettuarsi su qualsiasi tipo di monumento noi stiamo intervenendo. Le parti di nuova esecuzione utilizzate come integrazione dovrebbero essere riconoscibili per consentire la distinzione delle parti originali da quelle integrate. Questo vale a tutti i livelli, dalla sostituzione del lapideo perché gravemente e irreparabilmente danneggiato, all’integrazione dell’intonaco in lacune che come tali possono essere ulteriore veicolo di immissione umida all’interno dello stesso paramento intonacato. La manutenzione, con questo termine è possibile scrivere un trattato, noi ci limitiamo a registrare attraverso lo stato di degrado in cui verso “la Villa” tutto quello non fatto nel corso degli anni . 3.4 - Intervento (di restauro) Il delicato argomento del restauro implica problemi assai complessi, che devono essere ben focalizzati prima di intraprendere qualsiasi operazione, anche preliminare. “la problematicità culturale del restauro, quale intervento che si pone come equivalente metodologico e operativo dell’azione critica, risiede nella questione basilare, in cui convergono tutta la dialetticità e ogni valutazione, della precisazione dei limiti, non concettuali ma reali e concreti della conservazione (….). Il compito difficile della cultura, in questo campo, è proprio quello di delimitare e regolare l’intervento, per far coincidere concetto e metodo, teoria e prassi, momento valutativo e momento operativo della critica, scopi e risultati di una larga e comprensiva accezione dell’ambito categoriale” (Carbonara). Ed ancora “il dilemma fondamentale, conservazione o intervento, storicità o esteticità del restauro, resta comunque sempre presente e non basta a risolverlo negare uno dei termini, agendo da un lato, da disinvolti innovatori e dall’altro da accaniti conservatori; esso può e deve essere affrontato ogni volta con un atto ed una scelta critica che, in quanto tale, è soggettiva, ma non pre questa infondata o arbitraria (Carbonara) Il soggettivismo della scelta non è da intendersi come personalismo progettuale ma come atto cosciente e meditato in funzione della maggiore conservazione possibile del bene su quale si deve intervenire. Non intendiamo disquisire sul concetto di restauro perché ci porterebbe troppo lontano ma unicamente nell’ambito squisitamente tecnico dell’intervento sui singoli materiali, ovvero passare a quella fase successiva, dove almeno parzialmente, è già stata definita la logica che presiede l’intero ciclo operativo E’ notorio che, in un cantiere di restauro, le scelte anche se seguite all’atto del progetto del restauro, a seguito di indagini diagnostiche preliminari, devono essere modificate, adattate a quanto viene alla luce durante i lavori, per cui è necessario continuarle anche durante la fase operativa, e questo succede frequentemente anche quando le campagne di studi e diagnostiche preliminari sul bene da restaurare sono state lunghe e approfondite. INTERVENTO DI RESTAURO Capitolo 5 Riteniamo fondamentale una diagnosi attenta sul manufatto è quanto abbiamo tentato di descrivere nel paragrafo “analisi del degrado” e quanto sarà ancora più utile svolgere nel corso dei lavori. Una lungimirante azione conservativa e di restauro del patrimonio architettonico dovrebbe essere appoggiata da un’attività diagnostica preventiva che, sulla base delle conoscenze storiche e del rilievo può essere preventivamente svolta a supporto del progetto. E, quant’anche la costante verifica dello stato di conservazione fisico e del mantenimento degli standard funzionali dei manufatti si fosse resa inattuabile, a fronte di ogni qualsivoglia situazione o fenomeno di degrado o di rischio, più o meno latente, risulterà importante dar corso ai necessari accertamenti per formulare tempestivamente la diagnosi sulle condizioni di conservazione, nonché per fissare l’opportuna strategia d’intervento. In questo settore un posto di grande rilevanza, vuoi per le procedure adottate vuoi per i risultati acquisibili, è assolto dalle prove non distruttive e dal monitoraggio di controllo, in particolare, dalla diagnostica architettonica ed edilizia. Le tecnologie più avanzate, i materiali e le strutture messe oggi a disposizione per la ricerca scientifica e per i diversi ambiti di applicazione, rendono attuale una vasta gamma di esami e di indagini che, per quanto altamente specializzate, sono facilmente identificabili nel loro impiego e distintamente valutabili per qualità dell’apporto dato allo studio delle fenomologie del degrado, sia per quanto riguarda l’ambiente, sia per quanto attiene alle strutture architettoniche o al singolo reperto metrico. In ambito diagnostico gli esami di tipo non invasivo, ovvero condotti senza richiedere interventi traumatici o di impatto nei confronti del manufatto da indagare, in grado di fornire specifici contributi allo studio degli edifici a rischio sismico, possono essere sostanzialmente ricondotti all’impiego dei raggi infrarossi nelle indagini termografiche, di campi magnetici, nelle indagini magnetometriche o metallografiche, di varia frequenza d’onda, in quelle soniche e ultrasoniche. Gli interventi che ci prefiggiamo di realizzare per riportare all’antico splendore la “villa del Seminario”, si possono racchiudere nei seguenti punti:  - Incatenamenti;  - Consolidamento murario (cuci e scuci);  - Realizzazioni di pareti anti sismici;  - Consolidamento solai;  - Consolidamento e rifacimento intonaci;  - Rifacimento coperture;  - Sostituzione e recupero infissi esterni;  - Superfetazioni. L’intervento non può essere quello tampone (ben conoscendo questa metodologia che si perpetua nel sottotetto della Villa), ma radicale, perché con il termine restauro si intende un intervento deciso, altrimenti avremmo parlato di ristrutturazione o manutenzione ecc.., questo affinché fra qualche hanno non vogliamo contemplare un rudere e piangerne per la perdita . “La Villa”, tanto nell’aspetto esterno che in quello interno presenta una serie di problematiche che andranno affrontate in maniera urgente e sistematica per non perdere definitivamente il complesso architettonico. Le ragioni del degrado in cui attualmente versa il complesso architettonico della Villa, sono essenzialmente riconducibili allo stato di abbandono e di totale assenza di manutenzione in cui da circa quarant’anni è stato lasciato. L’intervento che ci prefiggiamo non può essere quello tampone (ben conoscendo questa metodologia che si perpetua nel sottotetto della Villa), ma radicale, perché con il termine restauro si intende un intervento deciso, altrimenti avremmo parlato di ristrutturazione o manutenzione ecc.., questo affinché fra qualche hanno non vogliamo contemplare un rudere e piangerne per la perdita. L’intervento di restauro porgerà l’attenzione maggiormente alle parti esterne del manufatto essendo le più compromesse, senza tralasciare quelli interni che al momento sarà solo di ordine statico per ottenere un miglioramento sismico. L’intervento di restauro comporterà anche una attenta analisi e lettura degli aspetti materici dell’edificio (in particolare di quelli esterni) per poter meglio valutare la qualità, l’ampiezza ed i limiti del trattamento di ciascun materiale: in relazione a compatibilità, sostituibilità, riproposizione di materiali originali, oppure accettazione delle trasformazioni indotte dal loro invecchiamento naturale. 5.1 - Raffronti legislativi Oltre a quanto già espresso al paragrafo 3.3 riteniamo degno di nota anche l’aspetto legislativo che ordina la materia. Noi restauratori del XXI secolo ci siamo trovati ad affrontare una serie di problematiche a volte di carattere storico-critico, a volte etico-morale, tenuto conto su che tipo di manufatto si andrà ad operare. Pertanto una delle nostre più grandi preoccupazioni è fino a che punto potevamo spingere l’intervento di restauro senza compromettere quello che ci precedeva e non confondere oltremodo il visitatore o i nostri posteri senza dimenticare la legislazione italiana in merito alle opere di restauro: Carta di Venezia/1964 Art.9, e la più recente carta di Cracovia dell’anno 2000 …il restauro è un processo che deve mantenere un carattere eccezionale. Il suo scopo è di conservare e di rivelare i valori formali e storici del monumento e si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni antiche. Il restauro deve fermarsi dove ha inizio l’ipotesi sul pino della ricostruzione concettuale qualsiasi lavoro di completamento, riconosciuto indispensabile per ragioni estetiche e tecniche deve distinguersi dalla progettazione architettonica e dovrà recare il segno della nostra epoca. Ed ancora Istruzione del 1972 Art. 4 s’intende per salvaguardia qualsiasi provvedimento conservativo che implichi l’intervento diretto sull’opera; s’intende per restauro qualsiasi intervento volto a mantenere in efficienza e facilitare la lettura per trasmettere al futuro per quanto possibile il nostro manufatto integro. Il termine “edifici storici” non è qui riservato ai casi di edilizia monumentale (individuati a tutelati dalla legge n°1089/39 o comunque assoggettati al procedimento di vincoli previsti dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali), ma comprende anche l’edilizia di tipo tradizionale che, pur non avendo i requisiti propri di quella monumentale, è degna comunque di significativo interesse, sia per se stessa che per l’insieme in cui si colloca, immaginare la non più presenza sulle colline di Sasso Fortino della “Villa” è inconcepibile. INCATENAMENTI 5.1- Campi di applicazione tiranti La tentazione di trasformare i tiranti, da opera efficacissima di presidio provvisionale a opera di consolidamento stabile, è verosimilmente qualcosa di più che una semplice tentazione. La facilità con cui i tiranti possono essere realizzati e posti in opera risponde, infatti, anche ad altre esigenze cui troppo spesso s’indulge nel restauro; come quelle legate alla rapidità d’esecuzione dei lavori ed al risparmio. Parametri certamente importanti, quest’ultimi e da tenere senza dubbio sotto controllo ma che, per loro natura, non hanno nulla a che fare con gli obbiettivi del restauro, cui rimangono comunque estranei per definizione. Si tenga presente, a tal proposito, che i tiranti sono sempre da considerarsi opere tese ad ovviare alle conseguenze di dissesti in atto o che potrebbero plausibilmente verificarsi e, proprio in questo, si ravvisa la loro più spiccata natura provvisionale. In nessun caso, per loro natura, costituiscono un metodo d’intervento in grado da solo risanare le parti strutturali che, degradandosi nella propria consistenza o nella propria funzione (o in entrambe le cose insieme) abbiano finito con il produrre il dissesto. A tal proposito le spinte saranno compesate da un ulteriore sistema di ridistribuzione dei carichi (cfr. consolidamento solai) Le tirantature rispondono alle forme, semmai, con altre forze e non leniscono, di conseguenza, né risanano gli squilibri che in altre parti della struttura si sono originate. si resta, in particolare, nettamente contrari al loro impiego quando, potendosi configurare l’eliminazione de problemi primari di dissesto, si preferisca, invece, ricorrere all’”effetto placebo” della repressione dei soli esiti causati dal disseto. Non si può, a priori che, a seconda dei casi, non posa risultare corretto, sotto il profilo del metodo, il ricorso a questo come ad altre tecniche, quando vengono imposte da un bilancio ragionato dei pro e dei contro, in un complessivo programma di restauro . Quanto finora detto da la sensazione che i tiranti siano oggetti per operazioni provvisionali, di presidio, questo pensiero è stato vero per un lungo periodo oggi fortunatamente non è più cosi questa tecnica sostituisce in maniera egregia i cordoli di cemento armato, nel accadimento di eventi sismici abbiamo, ai me, potuto costare quanti danni hanno creato, anche per terremoti di modesta entità. Resta evidente che il sistema di tirantatura non è la panacea per risolvere problemi di ordine statico ma unito ad altri sistemi sono in grado di assolvere a significativi problematiche. D’altronte le tirantature e/o catene nei nostri edifici storici e, non, pur antiestetici soni li che svolgono egregiamente la loro funzione, mentre il tanto declamato cemento armato è sotto gli occhi di tutti la poca resistenza che offre e i danni che provoca. A questo va aggiunto che le capacità messe a disposizione dalla moderna tecnologia ci permette di aver sempre minor impatto visivo soprattutto nei capo chiave che è la parte che emerge dalla muratura. Il continuo perfezionamento delle tecniche di perforazione delle murature, unitamente alla sperimentazione di leganti chimici, compatibili tanto con la natura fisica dei materiali che le compongono quanto con le caratteristiche meccaniche delle masse murarie relative, nonché il più approfondito studio dei moduli di elasticità e delle questioni ad esse collegate, sta sempre più consentendo l’impiego di queste nuove tecniche, al riparo dalle prerplessità che ne hanno via via, accompagnato lo sviluppo . 5.2 - Il ruolo dei tiranti Nell’attitudine provvisionale e non delle tirantature si può nutrire grande fiducia, quando si abbia la certezza che la loro applicazione si limiti al solo ritegno dei probabili moti, quando ci si trova in presenza di appoggi sicuri e non deperibili, infine quando le zone di applicazione dei capichiave non vadano a sollecitare aree di dissesto che, per loro natura, non ne sosterrebbero il carico. Poiché, inoltre, si tratta di restauro, cioè di azioni rivolto ad un patrimonio unico e irripetibile, è chiaro che non sarà concesso di commette errori. Si tratta, in sostanza, di provvedere all’incatenamento di tutte le murature (prevalentemente quelle di facciata) che, attendibilmente, con le previste operazioni di smontaggio delle parti strutturali suddette, si presuma possono manifestare sbandamenti verso l’esterno o verso l’interno. Tipico è il comportamento delle murature di facciata situate ai piani più alti degli edifici, che abbiano in qualche modo subito gli effetti di spinta delle orditure primarie del tetto. In tale circostanza, ad esempio, l’assetto di verticalità originale delle murature avrà lasciato il posto a stati deformativi di rotazione . Non è da escludere che allo smontaggio della copertura vi possa essere un rilassamento della compagine muraria. Queste, pur rappresentando oggettivamente l’origine della deformazione, continuano tuttavia ad assicurare, per attrito, l’assetto raggiunto in decenni. Nelle demolizioni degli orizzontamenti, si cercherà sempre di mantenere in assetto tutte le strutture primarie che assicurano la continuità del sistema muro - solaio – muro. Se il dissesto, una vola montato il ponteggio rientra nelle condizioni in cui l’isteresi elastica della muratura consente di lavorare con sufficiente sicurezza si provvederà allo smontaggio parziale della copertura, consolidamento della muratura mediante la tecnica del cuci e scuci l’inserimento delle tirantature e successivamente si procederà allo smontaggio di tutta la copertura, altrimenti si procederà per sezioni. È piuttosto l’intervento o il non intervento, nella gran parte dei casi (sia attraverso la vera e propria manomissione, sia, al negativo, attraverso l’incuria e l’assenza di manutenzione) a creare gli scompensi gravi e irreparabili. 5.3 - Inserimento di tiranti metallici In molte circostanze, in alternativa ai cordoli in conglomerato cementizio, iniezioni armate ecc..tese ad impedire i moti dovuti alle componenti orizzontali delle forze, si potranno utilizzare, con grande efficacia e con minor dispendio d’energie e di risorse, quelle strutture che, in gergo corrente, vengono chiamate “catene”. Questi elementi, generalmente realizzati in acciaio, per sfruttare la notevole attitudine di tale materiale a rispondere alle sollecitazioni di trazione, trovano impiego in molte situazioni di dissesto che impongono interventi di carattere provvisionale, quando non configurano, altresì, com’è avvenuto molto spesso anche in passato, veri e propri interventi di consolidamento con carattere stabile. Va subito detto che, a fronte dell’apparente facilità d’impiego e d’applicazione dei tiranti, la quale farebbe pertanto preferire questa tecnica nella gran parte delle condizioni di dissesto in cui siano presenti sollecitazioni orizzontali, vi sono alcune considerazioni d’ordine cautelativo che ne possono viceversa, limitare se non addirittura sconsigliare l’uso. 1_ il sistema statico connesso a tale metodologia di presidio consiste nella messa in opera di un elemento strutturale estremamente lungo in relazione alla sua sezione, il quale, trattenuto agli estremi da opportuni ancoraggi nelle murature, viene sollecitato a trazione dall’opposto andamento delle forze che a tali estremi si trovano applicate. Ciò vuol dire che la stabilità di tutto il sistema e, quindi, la sua efficacia è legata, in primo luogo, alla stabilità dell’uso o dell’altro appoggio murario, se non a tutt’e due contemporaneamente. Ciò significa che il sistema può fare affidamento, in alternativa, sull’inamovibilità dell’uso o dell’altro appoggio, a seconda che il dissesto delle masse murarie, da sorreggere nella dinamica del moto che ne conseguirebbe, faccia capo soltanto ad uno dei due muri contrapposti; oppure come nel caso frequentissimo della spinta generata da volte o da archi, parti di copertura, il sistema trovi equilibrio nel reciproco trattamento dei monti che entrambi i piedritti murari continuerebbero a subire, per effetto delle componenti orizzontali dei carichi presenti. In pratica, tutto si gioca sulla stabilità delle murature cui gli estremi sono ancorati. 2_ la caratteristica dei meccanismi d’ancoraggio delle catene, rispetto alle murature che con essi si vorrebbero trattenere, è abitualmente legata alla disposizione, in aderenza alle membrature murarie, di elementi metallici che, per la loro ridottissima estensione rispetto alle aree degradate, potrebbero creare, sulle pareti murarie da presidiare, gli effetti delle tanto temute concentrazioni di carico, oltre che trasmettere notevoli sollecitazioni di taglio, all’interno delle masse murarie, a partire dall’immediato intorno dell’are di applicazione. La rottura ad esempio, del materiale lapideo,schiacciatosi per effetto delle sollecitazioni di compressione(trasmesse sulla superficie di facciata dall’ancoraggio esterno della catena), avrebbe la conseguenza che, nel migliore dei casi, il sistema adottato finirebbe subito con lo scaricarsi della tensione conferitogli in fase di tiraggio. Il risultato, pertanto sarebbe nullo e si riproporrebbero, immutati, gli stessi problemi di dissesto, cui si tentava di dare risposta .. Più in generale, il timore che le tensioni, localizzate nei punti più prossimi all’ancoraggio delle catene, vadano a compromettere la coesione delle parti costituenti la muratura, è tutt’altro che infondata. Tali tensioni, infatti, potrebbero malauguratamente generarsi all’interno di masse murarie che, molto spesso, già soffrono per l’inconsistenza delle malte e per l’eterogeneità dei materiali che le compongono; tutto ciò in punti spesso direttamente soggetti ai moti e alle deformazioni provocati dai dissesti in atto, i quali, a loro volta, potrebbero averne ulteriormente minato l’originaria compattezza . Va quindi ribadita l’avvertenza, più volte sottolineata, che mette in guardia dall’applicazione qualunque tipo di sollecitazione se, prima, non si sia inquadrato, in modo consapevole, il comportamento statico della struttura edilizia nel suo insieme e non si siano valutati, in particolare, gli effetti che produrrebbero le sollecitazioni che s’intendono applicare, anche in relazione allo stato di degradoe di consistenza degli appoggi . Infine,, non possono essere sottaciuti taluni aspetti d’ordine morfologico e di metodo, legati all’impatto visivo delle parti in vista dei tiranti ed alla loro frequente estraneità al contesto storico e architettonico del monumento . 5.4 – Incatenamenti (progetto) Nella meccanica dei corpi l’equilibrio è garantito se i flussi delle forze disegnano dei percorsi chiusi. Quando uno di questi percorsi si interrompe, perché viene meno un elemento in grado di esplicare la forza equilibratrice, tutti i corpi concorrenti su quell’elemento possono trovarsi in una condizione di labilità. Ovvero di non equlibrio, e quindi esporre l’intero sistema al collasso. Nella realtà i sistemi di corpi in equilibrio presentano molto spesso delle iperstaticità intrinseche, nel senso che essi possono attingere, nel collegamento reciproco, e delle “riserve strutturali” che consentono, quando viene meno lo schema statico originario, percorsi dalle forze alternativi in grado di attivare una nuova configurazione di equilibrio. La maggior parte delle volte, però le condizioni dei nuovi equlibri sono di valore inferiore a quelle originali, nel senso che i margini di sicurezza al crollo risultano assai ridotti. In questi casi può essere quindi efficace un intervento che tenda a recuperare, richiudendo, il percorso originario delle forze. Una risposta molto efficace al problema delle coesioni è stata data in passato attraverso l’impiego di tiranti che oggi con forza riproponiamo ritenendoli ancora molto validi a fronte degli F.R.P., che la “storia” non ha ancora modo di testare ed anche per il loro alto costo. Tali impostazioni viene qui ripresa cercando di individuare e definire i criteri di collocazione e dimensionamento. È necessario procedere in maniera parallela affiancando l’analisi cinematica dei meccanismi con la soluzione progettuale: porre una catena significa modificare lo schema resistente e quindi occorre esaminare nuovamente la struttura per identificare i nuovi meccanismi di danno. Tale operazione è quindi necessariamente ricorsiva. L’inserimento delle catene è un espediente strutturale assai diffuso nei manufatti antichi e spesso molto efficace negli interventi di recupero. Esso costituisce un esempio di estrema specializzazione funzionale. La catena infatti è realizzata da un elemento a sviluppo lineare, di sezione assai ridotta, la cui unica capacità portante coincide, necessariamente, con il suo unico ruolo, che è quello di sopportare una sollecitazione di trazione. Una tale immediatezza concettuale non deve però trarre in inganno, in quanto, non è di per sé garanzia al buon funzionamento dei cinematismi murari. Generalmente risulta utile ricorrere all’impiego di catene quando si debba operare un’azione di richiamo fra due punti di un sistema strutturale. Negli interventi su manufatti esistenti, tale azione può essere di due tipi: preventiva o strutturale, venuta ormai a mancare la prima il nostro intervento sarà solo di carattere strutturale. La posizione delle catene è pressoché obbligatoria: al livello dei solai e alla sommità dell’edificio. Il tirante può essere costituito da barre o piatti in acciaio, disposte tra la malta di allettamento ed il pavimento, e deve riportare ai muri trasversali la forza che provocherebbe il ribaltamento della parete esterna. Il problema meccanico è quindi quello di individuare un percorso per tale trasmissione che non presenti anelli deboli e che non provochi pericolose concentrazioni locali di tensioni. I tiranti posti in prossimità dei muri trasversali sono i più efficaci, ma spesso è necessario disporre ancoraggi anche in posizioni intermedie. In tal caso il tirante dovrà essere divaricato in modo da ancorarsi alle pareti trasversali. L’ancoraggio sulla parete esterna avviene tramite i capochiavi; per l’ancoraggio opposto si possono verificare due casi: che la cellula adiacente sia. In questo secondo è necessario ancorare i tiranti all’interno della stessa cellula. Quando risulti possibile è comunque opportuno ancorare il tirante alla parete opposta mediante un altro capochiave. Le stesse travi dei solai o dei tetti, all’occorrenza, possono fungere da catena tramite una staffa metallica terminale ancorata a un capochiave. Si deve invece riservare estrema cura al problema spesso trascurato della curabilità del tirante che, nel momento in cui sarà chiamato in causa, dovrà essere efficiente. Non va trascurato poi il problema del mantenimento della funzionalità: occorre quindi prevedere la possibilità di ispezionare il tenditore della catena. 5.5 – Tiranti e loro componenti L’azione di tirantatura è sostanzialmente affidata solo ai due elementi di base, costituenti, nel loro insieme, il sistema traente;tali elementi sono rappresentati, da un lato, dalla barra di trazione (o tirante o catena) e, dall’altra, dai due capichiave su cui vanno ad essere ancorati, con molteplici sistemi, gli estremi del tirante. A quest’ultimo come è ovvio, spetta il compito di resistere alle forze uguali ed opposte che il sistema murario da presidiare trasmette ai suoi estremi; ai capichiave è affidato il ruolo di contenere o di raffrenare i moti, potenziali o effettivi, che le murature avrebbero per effetto dei dissesti . La stabilità e quindi, l’equilibrio del sistema presidiato e presidiante, dipendono, nel loro insieme, dall’annullamento reciproco delle forze attive esercitate dalle murature e di quelle di reazione insorte sulle tirantature. La conformazione e la complessità degli elementi che costituiscono i tiranti e i capichiave, i materiali da adottare, nonché i relativi sistemi di applicazione, dipenderanno dalle condizioni tensionali registrate sulle strutture da presidiare, dalle caratteristiche dei dissesti, dalle esigenze di ordine restaurativi ecc. in relazione ai diversi fattori e alle diverse situazioni, si potranno adottare differenti tipi tiranti e di capichiave. La disamina tecnica viene rimandata agli elaborati grafici di progetto . TIRANTI In passato oltre al ferro si è impiegato anche il legno, quest’ultimo per ovvie ragioni oggi non viene più impiegato. Oltre agli acciai, per certe particolari utilizzazioni (come per l’armatura di travature lignee compromesse nelle quali si usano, ad esempio, trefoli di resine o di fibre di vetro, introdotte e poi iniettate entro apposite perforazioni) c’è da dire che le attuali tecnologie consentono di sfruttare analoghe capacità di resistenza anche attraverso prodotti sintetici, realizzati dell’industria chimica F.R.P.. Comunque sia, sta di fatto che i tiranti, proprio per la natura dei materiali utilizzati, assumono sostanzialmente la forma di barre la cui sezione, a prescindere dalla consistenza e dalla forma che si vedranno appena eseguito, è la più ridotta possibile in relazione agli sforzi di trazione che sarà chiamata a sostenere; essa, comunque a seconda dei casi, non supera mai l’ordine dei centimetri, se non addirittura dei millimetri, a fronte di lunghezze dell’ordine dei metri, per le specifiche tecniche si rimanda agli elaborati grafici . CAPICHIAVE Per il ruolo che tali elementi strutturali svolgono, la conformazione che dovrà contraddistinguerli sarà, in ogni caso, quella d’una struttura idonea, da un lato, a ricevere gli sforzi esercitati dagli estremi del tirante garantendone, nel contempo, il solido ancoraggio e, dall’altra, a trasferire, nel modo più allargato possibile, le sollecitazioni di compressione che potrebbero produrre schiacciamenti localizzati sulla parte superficiale esterna dei parametri, in corrispondenza dell’area di contatto dei capichiave e, quindi, a smorzare gli sforzi di taglio che l’azione di compressione delle masse murarie, esercitata sempre dal tirante, in trazione, ingenera all’interno di esse, a partire dall’immediato introno dei capichiave. Per quanto detto le forme che conviene assegnare a tali elementi di distribuzione dei carichi possono, sostanzialmente, riassumersi in piastre o barre in ferro. Pur smontando i pavimenti, non verrà realizzato la soletta armata per non sovraccaricare oltremodo i solai, ma solo il massetto di allettamento per i nuovi pavimenti. In questo spesso il più possibile adiacente alle pareti sia perimetrali che interne (crf schema), saranno allettati i tiranti con una pellicola protettiva che li salvaguardi da l’attacco degli agenti atmosferici ed in principal modo da l’acqua di evaporazione della malta . 5.6 Criteri per la disposizione e il dimensionamento dei tiranti Si costaterà, che su molte facciate il verso dei capichiave è discorde, quasi che fosse il frutto di una disposizione casuale o indifferenziate. Vedremo immediatamente che ciascuna delle disposizioni osservate soggiace, invece a criteri molto rigorosi, frutto dell’esperienza e del buon senso, prima ancora che del calcolo o dello studio . Si rileverà facilmente un dato comune a tutte: i capichiave, sono tutti applicati in regione della struttura che possono definirsi più resistenti di altre. Infatti sia i solai che i muri di spinta, assicurando più alte rigidezze rispetto al sistema murario libero, rappresentano aree su cui è più rassicurante portare in tensione l’intera struttura, con minori possibilità, quindi, che si arrechino danni alle murature . Da queste considerazioni si evince che, prima di andare a ipotizzare in sede di calco le tensioni da applicare ai tiranti, sarà opportuno verificare la capacità delle murature a sostenere le azioni. Per tali ragione, di solito, una volta appurato che non esistono, in via generale, stati di dissesto della struttura che possono rivelarsi incompatibili con le azioni di trazione che s’intendono applicare, si condurranno le opportune verifiche sulla muratura, circa la coesione e l’attrito; si sceglierà il risultato più sfavorevole, che tenga conto degli opportuni gradi di sicurezza, generalmente presenti nelle formule relative. Una volta stabilito a quali sollecitazioni potranno credibilmente far fronte le pareti interessate dai tiranti, si condurranno le opportune verifiche sui vari elementi che compongono il sistema presidiante progettato: in primo luogo si verificheranno i tiranti, che saranno calcolati a trazione; si calcolerà, quindi il capchiave a flessione e, infine, i vari giunti ed occhielli a trazione, taglio e flessione. Per quanto riguarda i giunti di tensione a vite, i vari sitemi in commercio assicurano che i componenti che lavorano a trazione abbiano caratteristiche di resistenza già determinate, così come le filettature, già preventivamente verificate a taglio. Ottenuti tutti i risultati di cui sopra, infine, non rimarrà che mettere in opera il sistema presidiarlo studiato e, come suol dirsi, “caricarlo”; metterlo cioè, sotto tensione, facendo in modo che gli estremi del tirante risultano effettivamente applicati gli sforzi di trazione desiderati . Il tiraggio consiste nello sfruttare le proprietà di elasticità della gran parte dei metalli i quali, sollecitati ad allungarsi, largamente dentro il loro regime elastico o, se si preferisce, ben lontani dal loro punto di snervamento, una volta cessata la causa che li ha indotti ad allungarsi dal loro punto di snervamento, una volta cessata la causa che li ha indotti ad allungarsi, a parità di temperatura, tendono a riprendere il primitivo valore dimensionale. Qualora il ripristino delle originarie dimensioni risulti impossibile, perché ostacolato da qualsiasi tipo d’impedimento, il metallo restituisce questa sua potenziale tendenza, rimasta inespressa, sotto forma di forza elastica. Tale forza, sempre entro i limiti della curva di Hooke, equivale alla forza di trazione che occorrerebbe applicare agli estremi del tirante per trattenerlo stabilmente in quella posizione. Questa è precisamente la forza cercata e trovata in sede di calcolo . SOLAI 5.10 - Consolidamento solai (ferro e laterizio) I soli in ferro e laterizio sono composti da una struttura principale costituita da travi a doppio T, dette normali profili, da travi a C collocate lungo i perimetro murario e da una struttura secondaria, costituita da voltine a sesto molto ribassato, realizzate con piccoli conci in tufo, con mattoni pieni o forati (volterrane), oppure con tabelloni in laterizio poggianti sul labbro inferiore o superiore delle travi a doppio T. questo tipo di solaio, che è stato utilizzato soprattutto nel secolo XIX, e nella prima metà del XX, può talvolta presentare dissesti determinati dalla sezione insufficiente o dall’ossidazione talvolta presentare dissesti deterioramenti della sezione insufficiente o dall’ossidazione degli elementi metallici, non da ultimo come nel nostro caso una “luce” eccessiva, con una scarsa capacità di portanza. Prima di vedere nel dettaglio alcune soluzioni che si possono ritenere risolutive per la realizzazione di collegamenti efficaci fra i solai e le pareti murarie, è necessario richiamare l’attenzione sui meccanismi di dissesto più ricorrenti . Il consolidamento statico dei solai non riguarda solo l’orizzontamento in se stesso, ma si inserisce in un quadro d’insieme nel quale il sistema delle connessioni riveste un ruolo determinante ai fini della stabilità globale “lo sfilamento”. Per impedire questi effetti è necessario creare collegamenti efficaci fra i muri e solai, ma il tutto può risultare insufficiente se il solaio non è in grado di fornire le reazioni vincolari richieste. I collegamenti fra le orditure fanno fronte a tale esigenza e permettono di trasferire gli sforzi orizzontali assorbiti dai solai alle pareti orientate nella direzione del sisma. Il meccanismo resistente funziona solo se tutti gli elementi coinvolti svolgono efficacemente la propria funzione, in caso contrario il dissesto si manifesta con effetti difficilmente prevedibili . La realizzazione dei collegamenti fra solai e pareti pone problemi di non facile soluzione, soprattutto quando si interviene sulla parete di facciata, esposta al rischio di ribaltamento; per muri interni questo è scongiurato dalle migliori condizioni di vincolo. I solai disposti su ambo i lati stabilizzano la parete, soprattutto se posizionati allo stesso livello; sotto l’alternarsi delle sollecitazioni sismiche e carichi di esercizio i muri trovano un valido contrasto nelle orditure. Le pareti esterne invece sono sollecitate da carichi verticali dissasati e sfruttano il contrasto dei solai solo da un lato. Sul modo di realizzare le connessioni esistono varie possibilità, alcune più aderenti alla tradizione costruttiva, altre meno. Una soluzione intuitiva, e quindi largamente utilizzata in passato, consiste nella disposizione di tiranti metallici posti a ridosso delle pareti di controvento, a volte sulla mezzeria della parete di facciata, dove la tendenza al ribaltamento si manifesta in modo più marcato. In molti casi i tiranti venivano nascosti alla vista ed inseriti nello spessore del massetto, senza prevedere collegamenti con il solaio; si trattava comunque di soluzioni che influivano positivamente sul comportamento statico degli orizzontamenti, privati in questo modo di un carico particolarmente gravoso. In altri casi, quando la tessitura del solaio lo permetteva, venivano utilizzati le stesse travi con funzione di catene, ricorrendo all’ancoraggio con elementi metallici applicati sulle testate . La ripartizione delle azioni di piano non può essere affidata esclusivamente alla soletta armata, ma è l’intero solaio che deve farsi carico di questa importante funzione statica e le strutture lignee o miste, in particolare, assumono un ruolo determinante per la stabilità globale. Si osserva che a livello delle travi maestre le connessioni risultano estremamente efficaci, ma non sempre possibili; per collegare le travi di testa, infatti è necessario che le orditure siano allineate o quantomeno affiancate, in modo da trasmettere agevolmente lo sforzo assiale che si genera per effetto delle azioni sismiche. Di fronte a sistemi di travi ordite in direzione ortogonale si ottengono notevoli vantaggi in presenza delle travi di bordo, che con opportuni accorgimenti assume la funzione di capochiave per la trave innestata nel muro . Anche nel caso di orditure parallele alla parete, si possono ottenere delle buone connessioni tra le travi di bordo mediante barre metalliche trasversali. Nella maggior parte dei casi, previa costruzione di centine, è possibile procedere allo smontaggio di tali elementi e alla loro sostituzione con travi in acciaio IPE o He, conservando cosi l’apparecchiatura in laterizio, ma qualora una soluzione di questo tipo non risultasse perseguibile, si può effettuare un consolidamento generale del solaio per mezzo di una soletta in cemento armato e con pioli elettrosaldati alla piattabanda superiore delle travi: ciò consentirà al solaio di comportarsi come un elemento strutturale omogeneo, ad elevata rigidezza e indeformabilità. Queste due ipotesi mal si con fa alla nostra situazione, la prima molto onerosa, la seconda per ordine statico si è scelto la soluzione che meglio risponde alle nostre esigenze e cioè di ripartire i carichi e le luci con una struttura metallica ausiliaria da inserire intradosso del solaio esistente visto anche che la parte sottostante verrà controsoffitta, per le specifiche tecniche si rimanda alle specifiche tecniche . MURATURE Premessa Il termine “edifici storici” non è qui riservato solo ai casi di edilizia monumentale (individuati a tutelati dalla legge n°1089/39 o comunque assoggettati al procedimento di vincoli previsti dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali), ma comprende anche l’ediliza di tipo tradizionale che, pur non avendo i requisiti propri di quella monumentale, è degna comunque di significativo interesse, sia per se stessa che per l’insieme unitario che concorre a definire. È tale, in particolare, l’edilizia appartenente ad un centro storico, per la specificità e la leggibilità della sua tipologia, per la tradizione che rappresenta, per l’uso dei materiali tradizionali o locali o per la presenza di elementi decorativi. Questi edifici, giunti a noi ed ancora utilizzati dopo secoli di vita, costituiscono nel loro complesso una testimonianza materiale della identità storica o culturale della città . Una lungimirante azione conservativa e di restauro del patrimonio architettonico dovrebbe essere appoggiata da un’attività diagnostica preventiva che sia, sulla base delle conoscenze storiche che del rilievo può essere preventivamente svolta a supporto del progetto. E, quand’anche la costante verifica dello stato di conservazione fisico e del mantenimento degli standard funzionali dei manufatti si fosse resa inattuabile, a fronte di ogni qualsivoglia situazione o fenomeno di degrado o di rischio, più o meno latente, risulterà importante dar corso ai necessari accertamenti per formulare tempestivamente la diagnosi sulle condizioni di conservazione, nonché per fissare l’opportuna strategia d’intervento. In questo settore un posto di grande rilevanza, vuoi per le procedure adottate vuoi per i risultati acquisibili, è assolto dalle prove non distruttive e dal monitoraggio di controllo, in particolare, dalla diagnostica architettonica ed edilizia. Le tecnologie più avanzate, i materiali e le strumentazioni messe oggi a disposizione per la ricerca scientifica e per i diversi ambiti di applicazione, rendono attuale una vasta gamma di esami e di indagini che, per quanto altamente specializzate, sono facilmente identificabili nel loro impiego e distintamente valutabili per qualità dell’apporto dato allo studio delle fenomologie del degrado, sia per quanto riguarda l’ambiente, sia per quanto attiene alle strutture architettoniche o al singolo reperto materico. In ambito diagnostico gli esami di tipo non invasivo, ovvero condotti senza richiedere interventi traumatici o di impatto nei confronti del manufatto da indagare, in grado di fornire specifici contributi allo studio degli edifici a rischio sismico, possono essere sostanzialmente ricondotti all’impiego dei raggi infrarossi nelle indagini termografiche, di campi magnetici, nelle indagini magnetometriche o metallografiche, di varia frequenza d’onda, in quelle soniche e ultrasoniche . Il rilevo dello stato fessurativo o dei dissesti ha come scopo fondamentale, soprattutto a seguito di un evento sismico e/o cedimento materico delle strutture, quello di individuare quali sono stati i meccanismi che hanno prodotto i danni e quali potrebbero essere di conseguenza i meccanismi di futuri collassi. I fenomeni di danneggiamento pregressi e quelli prodotti dagli eventi sismici in particolare, mettono in chiara evidenza i difetti e le inadeguatezze degli edifici. L’identificazione dei meccanismi strutturali di danneggiamento e di collasso è pertanto il primo, fondamentale, passo per la corretta definizione degli interventi di consolidamento più opportuni ed economici, che non comportino inutili alterazioni di strutture che nel tempo hanno fornito prestazioni positive. 5.12 - Meccanismi di collasso ricorrenti in edifici in muratura Per facilitare l’interpretazione dei fenomeni di danneggiamento può essere utile ricordare quali sono i meccanismi di collasso più frequenti nelle costruzioni in muratura a seguito di eventi di diverso genere non da ultimo eventi sismici:  - Rottura a taglio della muratura per azioni complanari Tali meccanismi di danneggiamento sono riconoscibili con notevole frequenza negli edifici danneggiati dal sisma, e/o movimenti del terreno, ma non sono in genere quelli che producono la maggior parte dei collassi. La duttilità delle murature, infatti, consente ai maschi murari danneggiati a taglio di assolvere comunque alla loro capacità portante anche in presenza di estese lesioni. Ribaltamento delle murature in direzione perpendicolare al proprio piano, è questo il meccanismo di collasso più frequente ed è in genere dovuto ad un insufficiente collegamento delle murature esterne con le strutture di controvento (pareti e orizzontamenti) Le murature presentano movimenti di rotazione e le lesioni associate a tale meccanismo di collasso si localizzano generalmente in corrispondenza dei collegamenti con gli elementi strutturali di controvento e in corrispondenza degli spigoli. Oltre ai meccanismi caratterizzanti da rotazioni delle pareti, le azioni perpendicolari possono dare luogo anche a fenomeni di inflessione delle pareti stesse, riscontrabili con maggiore frequenza in presenza di murature a sacco con paramenti esterni più rigidi e tra loro non collegati. In molti casi, soprattutto quando il solo paramento interno risulta collegato ai solai (ad esempio quando siano stati realizzati cordoli in cemento armato in traccia nel paramento murario interno) si può verificare il distacco del solo paramento esterno .  - Danni prodotti dall’azione di elementi strutturali spingenti Si tratta di dissesti che si verificano nelle zone in cui si localizza l’azione di elementi strutturali che esercitano una azione spingente, quali le travi inclinate delle coperture (puntoni), oppure gli archi e le volte prive di idonei sistemi di contenimento della spinta. La normativa non ignora la pericolosità di tali elementi strutturali, imponendo che siano eliminate le spinte, e pertanto nel rilievo dello stato di fatto di una costruzione si dovranno individuare tutti gli elementi strutturali spingenti e gli eventuali danneggiamenti prodotti nelle zone in cui le spinte si concentrano.  - Disseti in corrispondenza dei collegamenti tra strutture con diversa rigidezza A questo genere di dissesti sono riconducibili tutti quei danneggiamenti prodotti nei punti di collegamento tra edifici o strutture caratterizzanti da rigidezze di diversa entità, che danno generalmente luogo a fenomeni di martellamento. Tali dissesti possono anche verificarsi all’interno di singoli edifici nei quali si abbiano zone con rigidezze notevolmente differenti. Fenomeni di danneggiamento per differenze di rigidezza si riscontrano frequentemente anche nei casi di consolidamenti inopportuni realizzati mediante l’inserimento di strutture in acciaio o in cemento armato di rigidezza incongruente con quelle delle murature. 5.13 - Il sistema del cuci e scuci Questa tecnica di risarcimento – propria delle murature di mattoni, ma utilizzabile anche per quelle in pietra e miste – ha origini antichissime e, come suggerisce la denominazione stessa, è sostanzialmente analoga a quella con cui si sciolgono e poi si riallacciano, ad una ad una,le maglie di un tessuto lacerato. Essa infatti consiste nell’eseguire parziali demolizioni delle zone lesionate di una muratura e nella successiva, immediata ricostruzione a tratti, fino a restituire alla struttura muraria l’originaria compattezza e, qualora si desideri, la primitiva integrità formale. Proprio quest’ultima possibilità, cioè quella di poter ricomporre la parvenza della struttura antica (utilizzando, ad esempio, mattoni analoghi o coevi a quelli in opera) o. viceversa, di poter evidenziare la zona ricostruita con accorgimenti pratici (dell’uso di materiali diversi o di pezzatura e lavorazioni superficiale diversa, al leggero arretramento del paramento ricostruito rispetto a quello della parete antica, alla perimetrazione della zona d’intervento con piccoli sassi colorati o frammenti laterizi ecc) rappresenta una delle principali peculiarità di questa tecnica, tanto da renderla particolarmente idonea alle opere di restauro, sia architettonico che archeologico . Il sistema del cuci e scuci richiede tuttavia un lavoro accurato e paziente che dev’essere eseguito da maestranze abili ed esperte, oggi purtroppo così difficilmente reperibili da ridurre fortemente l’ambito di utilizzo di tale tecnica. Un ulteriore limite è rappresentato dall’entità del quadro fessurativo che s’intende risarcire: questo sistema ben si presenta quando la struttura muraria è ancora in buone condizioni generali e si tratta, perciò, d’intervento su lesioni che si sviluppano su rami singoli o su pochi rami della stessa famiglia; ma quando questo sono estese e diffuse per tutta o quasi tutta la parete o, ancor di più, quando si presentano in murature caotiche e incoerenti a causa di malte fatiscenti, allora la tecnica del cuci e scuci non risulta più utilizzabile sia per la difficoltà e la pericolosità dell’intervento, sia perché, di fatto, si giungerebbe gradualmente (e paradossalmente) a una sostituzione quasi totale della muratura originaria. Anche in presenza di muri a sacco, cioè di strutture murarie contenenti un nucleo interno caotico e spesso incoerente, la tecnica del cuci e scuci non risulta quasi mai adottabile, proprio per l’intrinseca difficoltà di operare su una muratura disomogenea e di forte spessore Nel caso di specie siamo in presenza di una muratura molto compatta essendo stata realizzata in blocchi di arenaria del luogo con ricorsi in laterizio pieno. Come si evince dalle foto la lesione parte dalla sommità con una apertura di circa 10 cm. Per concludersi alla base della muratura con pochissimi mm. Visto la tipologia di intervento, si interverrà a partire dalla sommità della muratura per scendere fino alla base della muratura. Naturalmente questo tipo di intervento si arresterà quanto sarà possibile realizzare un consolidamento mediante la cucitura della muratura mediante l’inserimento di barre di ceramica poste a 45°, oltre ad iniettare miscele leganti armate, caricate con fibre di carbonio o di estratti vegetali . INTONACI 5.16 - Consolidamento degli intonaci mediante iniezioni a base di miscele leganti. Accurata battitura delle superfici e perimetrazione delle zone di distacco. Consolidamento in profondità degli intonaci distaccati con esecuzione di fori in corrispondenza delle zone di distacco, aspirazione di eventuali polveri, lavaggio e umidificazione delle parti da consolidare, iniezione di formulato costituito da maltina adesiva a presa debolmente idraulica, cariche, polimeri acrilici in dispersione, additivi aventi la funzione di fluidificare il composto, favorire la bagnabilità delle cariche e consentire la adesione delle parti distaccate al supporto, compreso uso e noleggio dell’impianto di iniezione. Ispezione e preparazione del supporto Esame preliminare della superficie da consolidare;  - verifica di eventuali deterioramenti sottostate l’intonaco; controllo la presenza di anomalie o difetti che potrebbero provocare inattesi;  - degradi del consolidamento in esecuzione; controllo di elementi strutturali, aggetti o componenti che per forma o posizione potrebbero provocare rapido degrado del supporto;  - controllo della carenza meccanica di elementi e componenti di protezione la cui asenza potrebbe essere causa di rapido degrado del supporto;  - presenza di fessurazioni, giunti strutturali e sollecitazioni indotte nel supporto dal sistema strutturale;  - la stabilità dimensionale del supporto in relazione alle azioni termiche e idrometriche;  - nei casi in cui si verifichino le seguenti condizioni il supporto sarà trattato nel seguente modo:  - se la muratura è disgregata provvederà alla sua riaggregazione e consolidamento;  - se il supporto presenta contaminazioni di sali questi dovranno essere rimossi, per quanto possibile, e dovranno essere successivamente applicati appositi prodotti in grado di contenere o controllare successive cristallizzazioni di sali;  - se la muratura è affetta da umidità da risalita per capillarità o da infiltrazione da terreno addossato si dovrà provvedere con adeguati interventi di risanamento;  - se la muratura presenta macchie di umidità dovute ad infiltrazioni delle coperture o da fenomeni umidi provocati da guasti agli impianti di adduzione o scarico acque;  - si provvederà a riparare il guasto e si lasceranno asciugare convenientemente le murature prima di procedere alla intonacatura;  - se il supporto o l’intonaco presentassero fessurazioni si provvederà alla sigillatura delle stesse per evitare fuoriuscite del prodotto di iniezione. 5.17 - Foratura, pulitura dei fori, inserimento delle cannule Verifica dello spessore dell’intonaco nelle zone oggetto dell’intervento;  - esecuzione dei fori nell’intonaco utilizzando un trapano elettrico con punte di diametro adeguato (4/6mm) evitando percussioni e vibrazioni eccessive. La quantità di fori per unità di superficie da consolidare, se non meglio specificato dal progetto e da eventuali prove preliminari, è di n° 6/8 per m2;  - a mezzo di pistola soffiatrice collegata a un piccolo compressore, l’operatore provvede alla pulizia del foro, avendo cura di eliminare polveri, residui della foratura o quant’altro possa ostacolare la immissione e la percolazione del prodotto adesivo;  - nel foro viene inserita una cannula di materiale sintetico, successivamente sigillata con plastilina (o eventualmente altro materiale sigillante) per evitare fuoriuscita di prodotto. Modalità di esecuzione e criteri di accettabilità dei controlli Che non vi sia presenza di formazioni saline cristallizzate in superficie sotto forma di patine superficiali o escrescenze biancastre;  - si verifica visivamente che non vi siano macchie con localizzati scurimenti della superficie generalmente accompagnati da efflorescenze (a volte anche patine biologiche) ed erosione della superficie stessa con eventuali cadute di parti di intonaco. In presenza di questi fenomeni si procede alla misurazione strumentale dell’umidità con sistema conduttimetrico. Il consolidamento corticale potrà essere eseguito se la presenza di umidità nella massa muraria è contenuta nei valori fisiologici relativi alla muratura stessa;  - si controlla visivamente che i fori abbiano dimensioni di 4-6mm e siano distribuiti regolarmente sulla superficie da consolidare in numero di 6-8 per m2;  - si controlla visivamente che l’area di iniezione sia stata adeguatamente umidificata e in questo caso dovranno osservare i tipici scurimenti delle superfici con colature di acqua in particolare dai fori inferiori. 5.18 Reintegrazione dell’intonaco Esecuzione di intonaco rustico per esterni tirato in piano su pareti verticali con malta costituita da sabbia selezionata di granulometria adeguata ed utilizzando come legante esclusivamente calce idraulica naturale (è esclusa la possibilità di utilizzo di leganti idrauli ottenuti da cotture di calcinazione superiore a 1250C.°). realizzazione di strato di aderenza (rinzaffo) con applicazione a cazzuola su supporto preventivamente e accuratamente bagnato, di un primo strato di malta, di consistenza fluida, sabbia esente da elementi fini e sostanze indesiderabili, tendenzialmente grossolana. Realizzazione di strato di corpo (arriccio) su supporto preventivamente indurito e bagnato, con malta confezionata con aggreganti selezionati utilizzando come legante esclusivamente calce idraulica naturale (è escluso la possibilità di utilizzo di legnati idraulici ottenuti da cotture di calcinazione superiore a 1250 C.°), previa predisposizione di un numero sufficiente di fasce guida per il controllo della planarietà, se richiesta. L’applicazione verrà eseguita a mano con cazzuola e successiva regolarizzazione dello strato di malta mediante saggiatura per assicurare la planarietà della superficie, se richiesta. Compreso uso di eventuali additivi di ritiro in fase di presa e indurimento. Applicazione dello strato di adesione (Rinzaffo) Gli operatori verificano le condizioni atmosferiche e controllano che la temperatura esterna sia compresa tra + 5e +35° C. Utilizzeranno particolari accorgimenti per superfici esposte al sole, in giornate ventose e asciutte e con temperature elevate. Gli operatori bagnano abbandontemente il supporto evitando però di infradiciarlo. Gli operatori applicano il primo strato (rinzaffo) consistente in una malta morbida, con aggregati di grana grossa (in genere compresa tra 1,5 e 5 mm.), che viene lanciata con forza sul supporto, che penetri negli interstizi del muro e nelle porosità dei conci in pietra e/o mattoni. Gli operatori lasciano far presa al rinzaffo sena intervenire con saggiature o altra manomissioni Applicazione dello strato di corpo (arriccio) Gli operatori provvedono a porre in atto accorgimenti che permettono il controllo dello spessore e dalla planarietà del’intonaco come segue:fissano alla parete, utilizzando la stessa malta per intonaco, piccoli conci di pietra o laterizio (di circa 4 cm. per lato) con spessore corrispondente a quello che si vuole ottenere con il nuovo intonaco. I conci vengono disposti allineati orizzontalmente a distanza di braccio, sempre a distanza di braccio si ripete l’operazione in senso verticale e fino a che le condizioni di lavori costringono a cambiare piano di impalcatura. Tra i conci conseguenti in verticale si tenderà un filo che regolerà la stesuradi una striscia di malta della stessa qualità di quella che verrà utilizzata per l’intonaco e che costituisce dispositivo di controllo automatico della stesura dell’impasto. Gli operatori intonaco i campi intermedi tra le fasce. Utilizzando una malta composta da aggregati medi(in genere compresi tra 0,5 e 1,5 mm.), meno grossolani di quelli usati per il rinzaffo, ponendo cazuolate di malta soda, le une accanto alle altre senza sovrapposizioni fino alla copertura totale del campo da intonacare. Il raggiungimento dello spessore richiesto si ottine con strati successvi, posti gli uni sugli altri, quando il precedente è ben fermo e darà segno di avere fatto presa. Ogni singolo strato non sarà mai superiore allo spessore di cm 1 – 1,5 per volta. Quando lo strato sottostante risultasse eccessivamente asciugato, gli operatori provvedono ad inumidirlo adeguatamente. L’ultimo strato viene staggiato superficialmente portando il profilo dell’intonaco al giusto appiombo, utilizzando le fasce guida. Gli operatori provvedono alla fatturazione onde uniformare la planarietà e le superfici dovranno risultare piane ma scabre per permettere alla successiva finitura di ben aderire. Trattamento /risoluzione Si valutano le caratteristiche tecniche delle malte impiegate. Se ritenute non accettabili si provvede alla demolizione dell’intonaco eseguito e si provvede al suo rifacimento utilizzando l’impasto previsto in progetto. Si valuta l’entità e l’estensione del difetto. Se di limitata entità si accetta provvedendo ad una stuccatura delle fessurazioni di maggior dimensione. Se di estensione ed entità inaccettabili provvedere alla demolizione ed al successivo rifacimento. Si esegue un’intervento di parziale rifacimento e sigillatura interponendo un’armatura con rete in fibra sintetica in corrispondenza delle lesioni. Se si ritenesse che i movimenti della struttura non siano controllabili, sprovvede alla esecuzione di modifiche di progetto. Si valuta l’estensione dei distacchi ed il tipo di errore che ha causato il guasto: se di limitata entità si provvede alla demolizione delle sole parti distaccate ed al loro disfacimento; se si tratta di errore grave si provvede alla totale demolizione dell’intonaco ed al suo rifacimento. Si provvede alla ricerca ed alla riparazione del guasto con le tecniche più opportune in relazione al tipo di causa individuata. Si valuta la opportunità di rifacimento delle aree interessate dal fenomeno. Se ritenuto necessario, si procede alla demolizione delle parti di intonaco che presentano le macchie di umidità, si lascia trascorrere il tempo occorrente alla asciugatura della muratura e si provvede, successivamente, alla reintonacatura delle parti demolita Si valuta il tipo di sale, l’estensione dell’offlorescenza e la possibile causa che l’ha provocata: se si tratta di sali non particolari e l’efflorescenza è di limitata si provvede al lavaggio dei sali con acqua demineralizzata. Se il guasto è consistente e vi sono possibilità di ulteriori cristallizzazioni, si procede alla demolizione delle sole parti di intonaco interessate dal guasto ed al loro rifacimento previo trattamento di trasformazione dei sali (per renderli solubili) o altro trattamento di contenimento ritenuto opportuno Si procede alla asportazione manuale e successiva pulitura con biodeteriogeni. Si provvede a correggere l’errore aggiungendo o togliendo materiale, per quanto possibile, o provvedendo al rifacimento della parte. Si valuta la possibilità di riaggregazione delle superfici utilizzando prodotti fluidi di tipo polimerico o minerale. Nel caso questa soluzione non sia possibile si provvede alla demolizione e rifacimento delle parti disaggregate .. Si provvede alla rasatura delle superfici con rugorosità troppo accentuata con impasto a granulometria dell’aggregato più fine, eventualmente addttivata con polimeri e trattamento finale con fratazzo. COPERTURE Come proposto graficamente tutta la parte che denominiamo copertura è da prefigurarsi in due zone ben distinte l’estradosso del solaio di calpestio ed il manto di copertura. È la parte dove più si manifesta la non completa realizzazione del progetto originario ed gli accadimenti avvenuti nel corso degli anni. Tanto questo è vero che l’estradosso del solaio della primigenita costruzione è stato “colmato” sino a l’anima superiore del profilato in acciaio, mentre nella parte di ampliamento questo non è avvenuto ed uno dei primi interventi che si andrà a realizzare è proprio la colmatura dello spazio residuo tra la tavella e l’anima superiore del profilato in acciaio. Le ragioni di questo incompiuto riteniamo sia dovuto al fatto che era l’ultimo solaio, non è stato realizzato con la tecnica della “volterrana” ma con il tabellone e pertanto più resistente. Inoltre in corrispondenza dei muri portanti sottostanti sono stati eretti (riteniamo solo in seguito visto il materiale utilizzato – laterizio pieno), dei piastrini per meglio sorreggere il carico dell’orditura primaria e secondario del tetto. Quest’ultimi non verranno rimossi essendoci utili per una distribuzione più equa dei carichi della copertura ed utilizzare travi meno spesse. Per quanto riguarda il manto di copertura costituito da una orditura lignea di media grandezza 20x22 cm. poggiante sui muri e piastrini in laterizio, da travicelli 8x8 cm., da pianelle, e manto finale costituito da marsigliesi. Esse si presentano insofferenti principalmodo nelle orditura primaria, molte di esse sono state sostituite con travi HEB in acciaio altre vengono affianchi ad elementi in ferro, mentre i travicelli nella gran parte si presentano in buono stato. A questo va aggiunto che il manto costituito dalle pianelle per la maggior parte presentano la dimensione consueta 18 x36 x 5 cm., mentre in più punti, soprattutto l’area che è stata realizzata in un secondo momento abbiamo delle pianelle di dimensioni 12 x 25 x 2.5 cm.. Riteniamo opportuno che lo smantellamento avvenga a “tratti” a partire dalla zona dove si ha la lesione in maniera da non scaricare completamente la struttura sottostante, ma allo stesso tempo poter intervenire sulla lesione ed realizzare le tirantature e solo successivamente completare l’opera di smantellamento. La ricostruzione interesserà, come è ovvio, prima il manto, i travicelli e l’orditura principale selezionando le parti da riutilizzare, si procederà a rimuovere tutti i profilati in acciaio. Le travi lignee che si andranno a ricollocare saranno della stessa essenza di quelli esistenti, per le dimensioni ci si atterrà al carico di esercizio che dovranno sopportare. Contemporaneamente si porrà in opera anche le linee salva vita come disposto dalle nuove direttive della Legge Regionale Toscana. Si procederà a posare i travicelli facendo attenzioni a quelli incurvati di riposizionarli in maniera opposta alla curvatura presente, successivamente verranno collocati le pianelle. Per regolarizzare il tutto verrà eseguito uno strato di malta in maniera da avere un piano uniforme, dovendo successivamente collocare i pannelli per la copertura ventilata che essendo rigidi hanno bisogno di piani regolari. Prima di posare quest’ultimi sarà steso un primo strato di guaina e successivamente alla posa dei pannelli verrà steso un successivo strato, dopo di che sarà ricollocato il manto di copertura. INFISSI ESTERNI Nel quadro della logica del recupero intendiamo non tralasciare nulla di intentato e pertanto anche per quanto riguarda gli infissi esterni verrà perseguito quanto finora espresso nella presente relazione. Gli infissi esterni costituenti la finestra e al persiana, per l’edificio in questione rappresenta unitamente all’intonaco un elemento significativo per il recupero più totale della “Villa”. Molti sono deteriorati oltremodo, soprattutto le persiane che più direttamente sono a contatto con gli agenti atmosferici. Si tenterà, per quanto possibile dare univocità alle facciate evitando situazioni a “macchia di leopardo”, che contrasta con le più comuni interventi di recupero e che comunque danneggerebbe l’effetto estetico, che in interventi così significativi rivestano una importanza da non trascurare. La ricostruzione completa dei manufatti lignei sarà eseguita nelle forme e nei materiali identici agli originali con tecniche di lavorazione prettamente originali e nelle tipologie degli infissi antichi esistenti. Nelle opere, in particolare nel restauro, è previsto il ripristino ed il riutilizzo delle forature e dei serramenti antichi esistenti, nonché la ricostruzione delle parti mancanti delle tipologie originali. Per quanto riguarda il ripristino si eseguirà la bruciatura a fiaccola di vecchie vernici, raschiatura a ferro, stuccatura totale con due passate di stucco, carteggiatura, verniciatura con una mano di lino cotto e biacca, due mani di vernice, per quanto riguarda il colore e la tonalità ci si rifà al color castagno e che comunque sarà scelto di concerto con l’ispettore di zona. Per quanto riguarda le finestre non essendo dotate di doppi vetri, quest’ultimi saranno adeguati alle nuove disposizioni per il contenimento energetico. Resta evidente che a seguito di una mappatura puntuale si sceglierà quelli da tenere e quelli da rimuovere, altresì se l’intervento di recupero supera il 40% della superficie finestrata e/o della persiana la rimozione sarà automatica, onde evitare costi esorbitanti. Per quanto riguarda i nuovi infissi saranno della stessa dimensione e foggia di quelli esistenti e non da ultimo la coloritura finale. SUPEFETAZIONI Quest’argomento è stato ampiamente trattato nel corso dei decenni soprattutto a partire dagli anni sessanta quanto il dibattito sulla metodologia di intervento si faceva sempre più stringente e soprattutto quanto emergeva una coscienza sempre più rispettosa del monumento e/o semplice manufatto storico che si aveva di fronte, soprattutto in quella che si delineava sempre più “la memoria storica”. Da qui, molti interventi di restauro hanno tenuto conto di questo, con tutto ciò che ne consegue, tanto che molte superfetazioni si è ritenuto non rimuoverle. Per che rimuoverle avrebbe detto scompaginare il linguaggio assunto dal monumento nel corso dei decenni se non addirittura secoli. Uno esempio passato alla storia e che vale per tanti altri esempi è quello della basilica di Colle Maggio a L’Aquila, dove con il tentativo di ricuperare la primigenita struttura medioevale si è sacrificato la trasformazione barocca della chiesa. Nella rimozione, del collegamento tra il corpo di fabbrica vincolato e quello che gli sta alle sue spalle non si sacrificherà nulla sull’altare della storia, tenuto conto che il manufatto in questione è stato realizzato intono agli cinquanta e, che pur se ha superato i fatidici cinquant’anni, certo non rappresenta un elemento storico da salvaguardare tanche che è ben evidente che non ha nessuna relazione con i due corpi di fabbrica se non quello meramente funzionale Grosseto 02/09/2007 Il tecnico in fede Arch. Domenico SCOPA
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    INDICE Cap. 1 - RELAZIONE STORICA Cap. 2 – DESCRIZIONE DEL COMPLESSO ARCHITETTONICO Cap. 3 – IL DEGRADO DELLA FABBRICA (aspetti generali) Cap. 4 – IL DEGRADO DEL MONUMENTO Cap. 5 – INTERVENTO DI RESTAURO  - INCATENAMENTI  - CONSOLIDAMENTO MURARIO (cuci e scuci)  - REALIZZAZIONE PARETI ANTISISMICI  - CONSOLIDAMENTO SOLAI  - CONSOLIDAMENTO E RIFACIMENTO INTONACI  - RIFACIMENTO COPERTURE  - SOSTITUZIONE E RECUPERO INFISSI ESTERNI  - RIMOZIONI...

    Project details
    • Year 2006
    • Work started in 2007
    • Main structure Masonry
    • Client Ente Seminario - Diocesi di grosseto
    • Contractor Europlan
    • Cost 3.000.000,00
    • Status Completed works
    • Type Nursing homes, rehabilitation centres
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