Spazio d'Uso | raimondo masu

pubblicazione clandestina - lo spazio fra due note Gemellae / Italy / 2005

0
0 Love 910 Visits Published
LO SPAZIO D’USO -frammento- Prima d’individuare gli elementi che definiscono uno spazio d’uso, vorrei riprendere quanto si è detto sulla simmetria fra l’interno e l’esterno del soggetto. A voler citare Portman, la proprietà più significativa delle forme organiche è quella “di rendere manifesta, nel linguaggio dei sensi la peculiare natura dei singoli esseri viventi e di portare, di detta natura, la testimonianza diretta nelle loro fogge particolari”. Rendere testimonianza di se è atto di volontà, l’esposizione di sé, allora, da un lato potrebbe essere considerata l’atto di definizione di un modello di sé che ci consenta di stabilire relazioni con l’ambiente esterno, dall’altro potrebbe avviare il posizionamento in ambienti via via più lontani da noi stessi, ma comunque sempre caratterizzati da dimensioni proporzionali alle risorse disponibili. La proporzionalità delle risorse è dovuta alla possibilità della certezza dei risultati delle azioni che in esse si compiono. Questa rappresentazione prefigurerebbe una sempre maggiore complessità. I successivi cambiamenti potrebbero infatti indurci a spostare il punto di simmetria, e quindi allontanare da noi stessi la volontarietà delle azioni. Si assisterebbe così ad azioni automatiche scarsamente controllate dalla volontà. Ma dove agiscono, in quale spazio d’uso, le azioni automatiche? Una risposta possibile potrebbe essere: in un ambiente chiuso, un sistema sigillato del tutto simile a un ambito programmato. In questo caso la domanda all’ambiente verrebbe posta al di fuori del controllo della coscienza e la risposta agirebbe con un alea [di dissociazione] maggiore determinata dal livello di genericità dell’automazione. L’azione automatica, essendo una risposta di cui no si conosce la domanda razionale, se può essere utile in relazioni comportamentali del quotidiano o in processi decisionali ripetitivi o a carattere omologativi, in un processo creativo limita il campo d’influenza dell’azione, proprio perche tende a ignorare la domanda a cui e riferita la risposta. Ciò potrebbe dare risultati disastrosi quando ci troviamo in A, e ci approssimiamo a dare risposta a un bisogno , a ristabilire una discontinuità. Non conoscere il luogo da dove sta agendo la domanda o quanto meno ignorarne lo stato di esistenza dell’ambiente in cui matura, è come agire a occhi chiusi o semiaperti. Le discontinuità si possono manifestare non solo come interruzione all’accesso, ma anche , e di questi maggiormente ci si dovrà occupare, come risultato di una trasformazione, come riposizionamento in seguito alla rottura di una simmetria e quindi a un movimento. Lo spazio d’uso ponendo prioritaria la ricognizione di posizione attiva principalmente la coscienza del se stimolando non tanto la ricerca di un conosciuto esperenziale, ma la ricerca di un punto di sosta da dove sia possibile eseguire la ricognizione, avere accesso al luogo e solo dopo, attivare la volontà e quindi una nuova azione progettata. ... “Ma di fronte a un’opera d’arte o a una forma artistica, si rivela fecondo per la sua conoscenza il riguardo a chi la riceve. Non solo ogni riferimento a un pubblico determinato o ai suoi esponenti porta fuori strada: ma anche il concetto di un ricevitore “ideale” é nocivo in tutte le indagini estetiche, poiché queste sono semplicemente tenute a presupporre l’esistenza e la natura dell’uomo in generale. Così anche l’arte si limita a presupporre la natura fisica e spirituale dell’uomo -ma in nessuna delle sue opere, la sua attenzione.” Cosi Benjamin nell’incipit del capitolo il compito del traduttore. Ci sembra opportuno che la definizione nel proprio posizionamento cerchi il sottile orlo fra opera d’arte e creazione e per quanto ci riguarda fra arte e architettura. Il riferimento al ricevente, fatto da Benjamin, accomuna tutti i fruitori, ma nel determinarli li individua nelle differenze. Molte volte ci siamo chiesti se nel fare architettura ponevamo picchetti nel campo dell’arte e puntualmente, pur rispondendoci in modo negativo, ci vedevamo trascinati in un mistero e noi ancora a ribattere, reinventandoci specialisti ovali quasi a aumentarne concatenazioni. Vorrei, chiedendo la complicità di Benjamin, non tanto porre nell’ordine il giusto peso delle nostre azioni e il modo di intuirle, ora nel definirci, dopo come architetti operativi nell’attuarle, ma porre l’accento in quelli attenzione all’uomo ricevente. C’interessa quel ” é nocivo in tutte le indagini estetiche, poiché queste sono semplicemente tenute a presupporre l’esistenza e la natura dell’uomo in generale”, e c’interessa non solo perché l’uomo, in questo caso, sembra proprio essere l’artista stesso (presente domanda nel suo essere uomo e uomo nel cercare risposta), ma anche perché quell’uomo in generale sembra posto come un inizio oltre le regole, per spostare l’orlo come un cieco che ha bisogno della concreta materia per posizionare la propria luce interna. Potremo anche pensare che quell’azione che come risposta a sé trova un primo posizionamento, voglia anche offrirsi come la traduzione di ciò che non può essere ancora percepito proprio perché l’uomo ancora muove in-conosciuto, così che la leggibilità dell’opera d’arte possa essere direttamente posta nella sua stessa traducibilità. “La questione della traducibilità di un’opera può essere intesa in due sensi. E cioè può significare: che l’opera troverà mai nella totalità dei suoi lettori, un traduttore adeguato; o – e più propriamente- se l’opera, nella sua essenza consenta una traduzione, e quindi la esiga.” Posta cosi, la domanda (dove opera l’architettura?) individua il suo punto di azione in un atto di reazione, e il ricevente - riproponendo la prima dualità committente-architetto - chiarisce la posizione del committente che nel nostro luogo ideale, Uqbar, si era mostrato come uno specchio nell’individuare il timone e l’esistenza di un bisogno: il ricevente precisa, nel definirlo, il committente non come semplice portatore della domanda, ma ricevente della risposta. Questo può essere inteso, completando la metafora dello specchio, un aggiustamento dell’angolo di riflessione fino a mostrare B, non solo come punto d’arrivo futuro ma come virtuale in-capacità nel vedere.
0 users love this project
Comments
    comment
    user
    Enlarge image

    LO SPAZIO D’USO -frammento- Prima d’individuare gli elementi che definiscono uno spazio d’uso, vorrei riprendere quanto si è detto sulla simmetria fra l’interno e l’esterno del soggetto. A voler citare Portman, la proprietà più significativa delle forme organiche è quella “di rendere manifesta, nel linguaggio dei sensi la peculiare natura dei singoli esseri viventi e di portare, di detta natura, la testimonianza diretta nelle loro fogge particolari”. Rendere testimonianza di se è atto di...

    Project details
    • Year 2005
    • Work started in 2008
    • Status Research/Thesis
    Archilovers On Instagram