IL RESTAURO DI VIA GIULIA - Una ferita da rimarginare

Proposta per "La Moretta e Via Giulia. Passato e nuove idee s‘incontrano” Rome / Italy / 2010

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Delle demolizioni degli anni trenta del secolo scorso quelle più dolorose per la città furono quelle rimaste interrotte per l'avvento della guerra perché lasciarono delle ferite aperte nella continuità del tessuto urbano senza che si realizzassero i previsti progetti di nuova viabilità.

Tipiche di questa urbanistica interrotta sono le demolizioni al centro di via Giulia, che dovevano consentire la realizzazione di una strada di collegamento tra il Lungotevere e il Corso Vittorio in asse con il ponte Mazzini e il carcere di Regina Coeli, destinato ad essere sostituto da un nuovo quartiere.

Oggi questa operazione di diradamento edilizio e di stravolgimento del tessuto viario ci appare assurda e indifendibile perché ha privato via Giulia, una delle strade più belle della città, della sua ininterrotta continuità che la caratterizzava come un grande corridoio urbano.

Lo squarcio creato dalla demolizione di due isolati verso il Tevere (il palazzo Ruggia, il palazzo Incoronati e la testata delle case omonime) e dalla parziale distruzione dell'isolato che include la chiesa di San Filippino altera profondamente il carattere della strada interrompendo la luminosità filtrata prodotta dalle quinte stradali, disposte a pochi metri una dall'altra, con una improvvisa chiazza di luce che finisce per spezzare la continuità visiva della strada dividendola in due tronconi. La sequenza perfettamente equilibrata dei volumi edilizi disposti ai lati dello spazio compresso della strada è stata così interrotta bruscamente con un effetto di sgradevole cesura.
La musicalità, che è una delle caratteristiche della strada, è stata gravemente compromessa da questa smagliatura che interrompe il ritmo delle forature ricco di variazioni ma originariamente senza pause significative.

La sequenza delle facciate che qui si riproduce da un rilievo contenuto nella monografia su Via Giulia di Salerno, Spezzaferro, Tafuri (tavv. II e III) mostra chiaramente la intima coerenza delle due serie parallele di facciate che oscillano in altezza dai 13 ai 26 metri ed hanno bucature di ampiezza oscillante tra 65 e 170 centimetri con distanze tra gli interassi che oscillano tra 4,5 e 1,9 metri.

Il problema di come intervenire a via Giulia per risanare la grave ferita dello sventramento è stato argomento di dibattito dai primi anni del dopoguerra fino agli anni novanta del secolo scorso. Più volte nella Università della Sapienza il tema della ricucitura fu assegnato come esercitazione di esame per gli studenti degli ultimi anni dai professori di composizione Muratori, Quaroni etc. e le diverse soluzioni proposte documentano le vicende del dibattito culturale relativo al rapporto tra città antica e città moderna e alla compatibilità tra linguaggi storicamente definiti.

Nel 1983 viene conferito all'arch. Maurizio Sacripanti l'incarico di progettare un Museo della scienza nell'area della Moretta, ma il progetto suscita perplessità per il suo carattere completamente estraneo all'ambiente circostante. Su via Giulia Sacripanti propone di costruire un muro inclinato simile al basamento delle Carceri vicine e sovrastato da una grande finestra orizzontale che mette in mostra la complicata struttura metallica della copertura Il richiamo mimetico a un edificio circostante non basta a compensare l'estraneità allo spirito di via Giulia di una facciata chiusa, priva di finestre e della ostentata monumentalità della copertura.

Il clamore delle proteste affonda la proposta e per molto tempo non si riparla del “buco” di Via Giulia fino alla attuale proposta di un parcheggio sotterraneo coperto da un'area verde che dà all'area una destinazione utile senza affrontare però il problema della ferita da rimarginare.


Una proposta di restauro urbanistico

La proposta che qui presentiamo deriva da una serie di esigenze che rispondono alla logica di un restauro urbanistico non più rimandabile nel quadro dei programmi di risanamento che il sindaco Alemanno ha esposto in varie occasioni.
Tali esigenze possono essere così enumerate:

1) Riallacciare i due tronconi in cui via Giulia è stata divisa dalle demolizioni; riallacciamento che non può essere solo estetico, attraverso la modellazione delle quinte da ricostruire, ma anche funzionale e deve quindi comprendere le destinazioni d'uso dei volumi corrispondenti.

2) Escludere una soluzione di riallacciamento basata solo su una quinta arborea che non rimarginerebbe la ferita. Proprio a via Giulia, per esempio, il giardino di palazzo Farnese è contornato da un muro altissimo e nessuno spazio verde affaccia direttamente sullo spazio stradale.

3) Scegliere come destinazione d'uso quella residenziale che è di gran lunga prevalente e quella commerciale che negli ultimi decenni, attraverso la parziale specializzazione in negozi di antiquariato, ha dato alla strada un preciso ruolo urbano e una speciale capacità di attrazione nei confronti dei cittadini e degli ospiti della città.

4) Escludere una importante destinazione pubblica, come quella un tempo prevista di Museo della scienza, per evitare che per rimarginare la ferita si inserisca un intervento monumentale e rappresentativo in contraddizione con la destinazione originaria dei palazzi Ruggia (prima sede dell'ospizio Tata Giovanni) e Planca Incoronati. Nella strada infatti sono presenti edifici monumentali, come i palazzi Farnese, Sacchetti, Falconieri e numerose chiese, ma il tessuto dominante è quello delle piccole residenze gentilizie, conventi e case d'affitto.

5) Dare agli edifici lungo via Giulia, destinati a rimarginare la ferita, un carattere omogeneo con i ritmi, i colori, i valori di scala umana della strada, dando a prima vista l'impressione appunto di una ferita rimarginata, ma consentendo poi di verificare che si tratta di un intervento moderno di restauro urbanistico e non di una ricostruzione filologica o “in stile”.

6) Evitare una ricostruzione architettonica delle facciate sia perché sarebbe un falso sia perché, mentre esiste un rilievo del palazzo Incoronati, non esistono che testimonianze fotografiche del palazzo Ruggia.

7) Evitare la ricostruzione filologica dell'intero tessuto urbano, con la chiesa di San Nicola a piazza Padella che occupava l'area prima dei lavori del Tevere e delle demolizioni degli anni trenta, per il contrasto con le attuali tendenze del restauro oltre che per la mancanza di documentazione esauriente.

8) Utilizzare gran parte della superficie del previsto parcheggio per creare una isola verde in un quartiere che manca completamente di luoghi dove portare a passeggio i bambini e incontrarsi all'ombra della vegetazione.


Per dare una risposta a queste esigenze il progetto qui illustrato propone:

1) La costruzione di due corpi di fabbrica (spessore 14 metri) che presentano verso Via Giulia due facciate di profilo identico a quello dei palazzi Ruggia e Incoronati, in modo da recuperare la quinta soppressa nel suo valore urbanistico, senza però la pretesa della impossibile ricostruzione filologica del tessuto degli isolati e delle facciate preesistenti.

2) La destinazione dei due corpi di fabbrica per quanto riguarda il piano terreno a negozi o gallerie d'arte e i piani superiori a residenza.

3) La riapertura del vicolo della Padella tra i due palazzetti per consentire l'accesso diretto da via Giulia al parcheggio e all'area verde prevista sulla copertura del parcheggio stesso.

4) Il trattamento delle facciate con un criterio analogico replicando il ritmo e le dimensioni delle forature che si ripetono per tutta la strada, attenendosi per la dimensione delle finestre a quella più diffusa.

5) L'adozione di una maglia strutturale in acciaio di cui rimangano a vista i giunti angolari determina una interessante analogia con i numerosi cantonali a bugne sovrapposte che si osservano nella strada. La leggibilità di questi cantonali, con fessure riempite di blocchi trasparenti in pasta di vetro, risponde inoltre alla esigenza di manifestare, secondo i principi del restauro moderno, la datazione dell'intervento. Il criterio analogico si riferisce infatti alla sola pelle dell'edificio e non alla strutura portante resa visibile in base al principio moderno della sincerità costruttiva. Il ritmo delle bucature dedotto dalla sequenza variabile osservabile nelle quinte stradali e ottimizzato in base ai rapporti matematici privilegiati nella cultura architettonica rinascimentale e barocca, mira a realizzare quella continuità di valori ritmici e timbrici necessaria in un restauro alla scala urbanistica.

Una alternativa a questo metodo di restauro propriamente urbanistico, sarebbe quella di caratterizzare in modo accentuatamente moderno e personale le nuove costruzioni, come fece a suo tempo l'architetto Sacripanti, con l'inevitabile risultato di creare un netto contrasto con i ritmi e le forature tipici delle quinte stradali e di proporre l'esibizione di un linguaggio in netto contrasto con quello che caratterizza l'intero centro storico di Roma in cui i monumenti si incastonano, con la loro forza espressiva, in un tessuto continuo e omogeneo di facciate realizzate con tre soli elementi formali, la finestra, il marcapiano e i cantonali bugnati.

La proposta qui illustrata si riallaccia del resto a un celebre tentativo di integrazione analogica realizzato da E. Gunnar Asplund nel municipio di Gothenbur, del 1934, e si attiene al principio che requisito fondamentale del restauro è la semplicità e la comprensibilità da parte dei cittadini.
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