La Stanza della Poesia | Luca Bruno

Eboli / Italy / 2022

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L’11 Aprile del 2019, un caro amico mi presentò una poetessa.


Angela Panaro, dopo aver fatto conoscenza, cominciò ad espormi una sua visione parlandomi di una stanza.


In poesia, la strofa, cioè un pezzo di composizione, viene detta anche stanza; ma la stanza è anche un luogo di sosta, di dimora…un posto da abitare. Dibattemmo molto su questo doppio concetto.


Così, la scrittrice, mi parlò della sua idea: dare forma alla “stanza-strofa” facendola diventare “stanza-dimora”: un luogo dove poter respirare poesia, “…una stanza vera, vera come la vita…”, un contenitore architettonico di poesie. Voleva fondere i due concetti, uno più poetico, l’altro più architettonico, in uno solo, dando vita alla Stanza della Poesia. Fu proprio questo uno dei motivi che mi fece accettare questa nuova sfida, poter dire anche io qualcosa sul binomio Architettura-Poesia.


L’Architettura e la Poesia sono da sempre accomunati da alcuni punti fondamentali: la METRICA, la COMPOSIZIONE, la STRUTTURA. Questi sono concetti che troviamo in Poesia come in Architettura. In ambedue i casi esiste una GRAMMATICA seguita da una SINTASSI, finalizzate alla stesura di un LINGUAGGIO.


Entrambe sono ESPRESSIONE e vogliono comunicarci qualcosa, trasmetterci un’emozione.


Con la costruzione della Stanza, avrei dovuto realizzare un piccolo spazio con una propria poetica.


Come sostiene G. Bachelard, lo spazio architettonico assume una sua “poetica” in quanto luogo di nascita della poesia stessa.


Il fine del progetto era quello di ricavare uno spazio “poetico” e ci sarei riuscito solo con  il linguaggio dell’Architettura.


Io Penso che l’Architettura sia Poesia dello spazio, anche se, come diceva F.L.Wright “solo qualche volta l’Architettura è Poesia. La società non sempre chiede Poesia”.


In questo caso, la committente, lo chiedeva.


Prima di prendere in mano la matita chiesi ad Angela se avesse potuto scrivere qualcosa che potesse farmi da guida, mi servivano delle parole che fungessero da “planimetria”, delle indicazioni che racchiudessero tutto quello che mi aveva raccontato. Mi consegnò così una poesia scritta in rosso, che custodisco tra le mie cose private: erano le fondamenta della Stanza che ho riscritto traforando il corten accanto alla porta rossa e retroilluminandolo in modo che le parole potessero essere leggibili anche al buio.


Dopo qualche giorno visitammo il luogo in cui sarebbe dovuta nascere La Stanza della Poesia: una vecchia stalla di 15 mq, diventata deposito, da trasformare ancora in un “deposito di poesie, di parole”. Come già accaduto in passato, avevo la possibilità di esprimere un concetto a me molto caro: non è la dimensione dell’opera a fare l’architettura, ma il suo linguaggio, l’emozione che ci trasmette.


Così cominciai a sviluppare i primi schizzi, i modelli, le prime sezioni e la pianta di qualcosa che avrebbe riscritto la poesia della scrittrice, in pietra. Era la Poesia stessa che avrebbe reso abitabile quel luogo.


M. Heidegger dice che “è la Poesia che fa dell’abitazione un’abitazione. E’ la Poesia che “fa abitare”. In che modo perveniamo a una abitazione? Attraverso il “costruire”. In quanto “fa abitare”, la Poesia è un “costruire”.


La Stanza della Poesia è stata così costruita nel cuore del centro antico di Eboli, dove scendendo le scale provenienti dal sovrastante monastero delle monache benedettine o attraversando via Attrizzi, si giunge all’omonima piazzetta: luogo in cui, voltandosi a destra, ci si ritrova difronte ad una torretta dalla Porta Rossa. Il colore ed il materiale (vetro), attraggono la nostra attenzione invitandoci a varcarla, ma non prima di aver scavalcato un gradino a forma di parallelepipedo, poggiato a terra ma apparentemente sospeso nell’aria, fatto con la pietra eburina. Esso è tre cose in una:


1. È un pezzo di storia, perché realizzato con una pietra di cui non si trovano più cave, una pietra che torna nel proprio ambiente, ma ripulita totalmente per mostrarsi finalmente agli ebolitani con il suo vero aspetto, cioè quello che aveva quando la montavano per pavimentare, incorniciare portoni, finestre ecc. lasciata com’era solo sull’alzata, dove ancora oggi conserva i segni della sua storia;


2. I titoli di coda di un bellissimo film, dopo le parole scolpite della poetessa, che indicano la destinazione d’uso di quella torretta, si legge l’elenco di nomi dei professionisti e degli artigiani che hanno partecipato alla realizzazione della stanza;


3. L'elemento di cerniera che congiunge il passato di Eboli al contemporaneo, quella alzata segnata dal tempo, rivolta alla piazza antica e poi, tutto il resto, ben sagomato, con tagli netti, lucidi, “freschi” che anticipano al visitatore l’ambiente contemporaneo che troveranno dentro.


Spalancata la porta rossa, ci si trova a percorrere uno spazio stretto, basso, appena illuminato che, per le proprie caratteristiche, ricorda i vicoli e i cunicoli della città medievale. I passaggi medioevali, erano poco spaziosi, quasi opprimenti, attraversati da poca luce. Una volta percorsi, però, a sorprendere la nostra attenzione, lo spazio si apriva improvvisamente in ampi luoghi come piazze e cortili; l’effetto è come quando si sta in teatro, rivolti al palco: improvvisamente si apre il sipario e la nostra attenzione viene catturata dalla quinta scenica. Il corridoio della Stanza della Poesia non è altro che la conclusione di un duplice percorso: quello proveniente da piazza porta Dogana e dal monastero delle monache; attraversandolo accanto ad una libreria arrugginita come il ferro vecchio che si trova per strada, ci si ritrova dinnanzi ad un filtro metallico a forma di “L” capovolta, che il corpo oltrepasserà semplicemente scostandosi di fianco, mentre lo spirito lo attraverserà per purificarsi “ossidandolo”, lasciandoci vicino tutto ciò che inquina, condiziona, devia e rende non libera l’anima, per far accedere al luogo solo la parte più nobile, quella che si eleva rispetto ad ogni cosa e si pone pura dinnanzi alla Poesia, quando il


“senso diviene


Suono


voce si fa


parola


nutrimento


rifugio


sollievo


passione


ribellione…”.


Come per i percorsi medioevali, lo spazio improvvisamente si allarga, si apre il “sipario” e, da una forma di quadrilatero irregolare chiuso, come per magia ci ritroviamo in uno spazio “senza perimetro”, grazie alle pareti a specchio che, poste frontalmente tra loro, mostrano a chi sosta l’inizio di un nuovo percorso: uno snodo verso est o verso ovest della Stanza, in direzioni sconosciute da percorrere solo grazie alla magia della Poesia; è l’


“uscio


dischiuso sull’


infinito oltre


sguardo…”.


In questo luogo prima chiuso poi “aperto”,  vi sono quattro cubi in calcestruzzo che fungono da seduta per i poeti: la statica vorrebbe stessero poggiati a terra dato il loro peso, ma la magia della poesia li rende leggeri, facendoli sollevare da terra grazie al caldo segno luminoso dello strip led che “disegna” la stanza, evidenziando tutti i momenti come questo.


E’ questo il punto in cui il corpo si ricongiunge con lo spirito “filtrato” e trova posto per


“…fermare


il tempo d’ansia


creare un


tempo


a ritmo di


verso


di più versi


a rima


franta


alternata


perfetta


baciata.”


Nessuna finestra nella stanza, isolati dal mondo, in un vano pavimentato e intonacato con il cemento (materiale che ricorda la struttura del fabbricato) applicato grazie a lavorazioni di tempi passati; avvolti solo dal bagliore della Poesia: un riflesso rosso mattutino proveniente dalla porta d’ingresso a ricordarci il luogo in cui tornare dopo questo viaggio.

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