Ex Fabbrica Dagnino | studio PL5

Palermo / Italy

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Il complesso denominato “Premiata Fabbrica di salsa di pomidoro e conserve alimentari Nicolò Dagnino” è un raro esempio di archeologia industriale all’interno dei quattro mandamenti del Centro Storico di Palermo.


Si trova nel quartiere arabo della Kalsa, tra il mare e la città.
E’ poco visibile dalla strada, perché racchiuso tra edifici storici esistenti, tranne per l’alta ciminiera in mattoni refrattari, che lo contraddistingue anche da lontano, ed è possibile accedervi da due ingressi, Via dello Spasimo 72 e Piazzetta dei Bianchi 2.


E’ al centro di un’area strategica d’attrazione culturale e turistica in cui sorgono edifici storici monumentali come l’Oratorio dei Bianchi, l’Archivio di Stato, il complesso di Santa Maria dello Spasimo, Palazzo Abatellis, Palazzo Forcella De Seta, Palazzo Chiaramonte Steri, la Chiesa della Magione e Santa Teresa alla Kalsa, e al centro di grandi spazi aperti che accolgono parchi urbani e giardini come il parco del Foro Italico, il Parco della salute, Piazza Magione, Villa Giulia, l’Orto Botanico, Villa Garibaldi.


La fondazione della Fabbrica si fa risalire al 1896, anno in cui Nicolò Dagnino, giunto a Palermo da Genova, aprì anche la "Pasticceria del Massimo" e l’”Extrabar Olimpia”, due luoghi che ebbero un grande ruolo nella vita sociale e mondana della città lungo tutto il ’900.
La fabbrica di Dagnino è una delle testimonianze storiche della florida attività di produzione alimentare avviata in quel periodo a Palermo e delle relazioni economiche che la città aveva con il resto della penisola. Da lì, Dagnino spediva in tutto il mondo i suoi prodotti, oltre alle conserve anche “zucchero, caffè, farina, riso, strutto, fagioli, spirito, petrolio, generi di salsamenteria”.


Nel 1930 la fabbrica, chiusa per cessato esercizio da parte del signor Dagnino, è stata venduta a Lorenzo Messina e in seguito alle famiglie bagheresi Benigno e Greco che l’hanno tenuta in funzione fino al 1967.
Successivamente alcuni immobili sono stati utilizzati per attività artigianali e commerciali, mentre altri spazi sono stati usati come magazzini o sono rimasti chiusi e lasciati al completo abbandono.


Nel corso degli anni l’impianto originario ha subito numerose trasformazioni ed è stato soffocato da superfetazioni spinte per tutta l’estensione dell’area libera, saturandola completamente.
Tettoie e strutture precarie, affastellandosi una sull’altra hanno nascosto gli edifici storici, e anni di incuria e di uso improprio degli spazi hanno provocato una snaturalizzazione dei luoghi e un degrado tale da rendere necessario un repentino intervento mirato.


Il complesso è stato abbandonato fino al 2013, anno in cui è stata autorizzata la demolizione delle superfetazioni e il progetto di restauro e risanamento conservativo dell’alta ciminiera e di tutti gli edifici storici preesistenti, presenti nell’atto di vendita del 1929.


L’antica ciminiera in pressati di laterizio refrattari “è in tutto assimilabile ad una colonna, oltre che per la forma e rastrematura, per il trattamento del basamento e del coronamento entrambi decorati con differenti apparecchiature del medesimo materiale.”
“Il basamento è segnato da anelli sagomati formati da mattoni disposti a coltello e alternativamente aggettanti a richiamare abachi ed echini; mentre il coronamento, a ben 35 metri di altezza, si compone di archetti acuti aggettanti e anelli sagomati che compongono quello che, per ricchezza ed eleganza, sembra ricordare un capitello corinzio.” [1]


L’intervento di messa in sicurezza è consistito nella rimozione di un pesante vaso di espansione collocato sulla copertura di uno dei capannoni adiacenti, e tenuto in equilibrio da puntelli gravanti su di essa tanto da provocarne lesioni su tutto il fusto. Le lesioni sono state risarcite e consolidate e sono state inserite adeguate cerchiature lungo tutto il fusto.


Gli edifici storici originari, la “Sala lavorazione Pomidoro”, la “Sala Stagnini”, il locale della caldaia, la fornace, i magazzini e le abitazioni degli operai sono in muratura portante in calcarenite e porzioni di laterizio, hanno copertura a falda con capriate lignee o in ghisa e copertura piana con soffitto di pianelle alla “trapanese” o voltine in pietra. Hanno altezze da 6 a 9 metri e formano insieme un impianto a corte centrale.


Sono stati restaurati, lasciando le murature più integre a faccia vista ed evidenziando i tratti della fabbrica tardo ottocentesca, facendo si che questi divenissero linee guida per la definizione del nuovo progetto di riuso.


Nel complesso sono state realizzate 18 abitazioni/loft a due elevazioni. Le zone giorno sono a doppia altezza e strategicamente illuminate da luce naturale proveniente dai lucenari sul soffitto a doppia falda, le scale interne a una o più rampe conducono alla zona notte o alla terrazza sul tetto. Attraversano gli spazi, leggere o solide, colorate o minimali, rispecchiando la personalità di chi le abita.


I loft sono circondati da giardini privati, risorsa molto rara per chi vive in centro storico, e si affacciano sul giardino della piazza condominiale centrale che fa da tessuto connettivo ed ha una forte funzione sociale per i residenti.
Al finale della stradina di ingresso è stato realizzato un parcheggio a raso con 18 posti auto per i residenti.


Per le attività turistico ricettive si è scelto di destinare l’area con ingresso da via dello Spasimo, potenzialmente quella più adatta per la vicinanza al polo culturale di Santa Maria dello Spasimo.
Sono stati realizzati due affittacamere e tre case vacanza nell’edificio su tre elevazioni che era destinato a residenza degli operai e nel capannone della lavorazione del pomidoro.


L’intervento complessivo non ha previsto nessun tipo di aumento di volume, ma un risanamento del manufatto preesistente, costituito dai residui edilizi abbandonati da una produzione industriale che si è delocalizzata.
Seppur in un contesto storico, gli edifici, eretti per scopi produttivi, non presentavano particolare nobiltà nelle finiture come altri esempi più conosciuti, ma conservavano qualità e potenzialità che potevano essere valorizzate da nuove soluzioni e strategie.


Per cui è stato possibile, con il massimo rispetto dell’esistente, attuare un intervento di “risanamento creativo” giocando con lettering e colori tono su tono che sono diventati il filo conduttore di tutto il progetto. Una palette di gialli, rossi, verdi, azzurri, bruni, su pareti di svariate tonalità di grigio.


Sul prospetto dei “magazzini” campeggia la scritta FABBRICA DI POMIDORO, come se fossimo davanti a un warehouse con le tipiche scritte giganti dipinte sui muri; scritta che ormai ha dato il nome a questo luogo, visto che tutti lo chiamano così!
Nell’edificio “Fornace” le finestre sono dei grandi tondi, che ricalcano l’impronta del portellone della caldaia che era all’interno.


Bande rosse evidenziano gli ingressi originari; inserti in ceramica nello spazio tra le finestre del primo piano e le porte del piano terra, rimandano ai bricks, i tipici mattoncini da fabbrica, vibranti pattern geometrici tono su tono, alternano lucido e opaco, come pixel di un’immagine sgranata, tutti diversi, per distinguere una casa dall’altra.


I macchinari e le tubature della produzione di un tempo, ritrovati accatastati tra i rifiuti, fanno parte di un’installazione permanente nel giardino condominiale, convertiti in arredi e corpi 


illuminanti, per metà ruggine e per metà dipinti, raccontano con un gioco di parole la storia della fabbrica.
L’intervento, che ha ridato carattere e dignità a un luogo da troppi anni svilito dall’incuria e in più occasioni vandalizzato, ha l’intento di ricucire una delle ferite urbane del tessuto storico della città e punta a rigenerare un contesto fortemente degradato trasformando una problematica in una risorsa.


Nell’ottica di una riqualificazione che non si limiti a interventi puntuali e sporadici, ma globale e diffusa sul territorio, l’intervento potrebbe costituire un esempio pilota per altri recuperi del patrimonio architettonico industriale di Palermo come l’ex fabbrica chimica all’Arenella o le fabbriche lungo la costa di Romagnolo ed essere quindi un’occasione per lo sviluppo della città. 



Ex Fabbrica di salsa di pomidoro e conserve alimentari Nicolò Dagnino

Localizzazione: Palermo, Via dello Spasimo 72 – Piazzetta dei Bianchi 2
Estensione: 3000 mq
Destinazione d’uso: residenziale e turistico-ricettiva


Numero di unità residenziali: 18
Numero di unità ricettive: 5


Progetto: Arch. Anna Patti – studio PL5 Architettura
Direzione Lavori: Arch. Giovanni Franzitta
Assistenti alla Direzione Lavori: Arch. Anna Patti, Arch. Pietro Messina
Strutture: Ing. Margherita Franzitta, Ing. Valentina Giacobbe
Committenza: privata
Collaboratori: Arch. Alice Franzitta, Arch. Chiara Bruno, Arch. Rita Franzitta, Arch. Cristina Gelardi, Arch. Fabrizio Favuzza, Arch. Rosita Nocifora

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