Il Museo archeologico di Elea-Velia | Marco Bianchini

Concorso di progettazione Salerno / Italy / 2004

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Il progetto per il Museo Archeologico rappresenta l’occasione per creare attorno ad una specifica funzione di museo, un sistema di collegamento tra la zona a sud (fiume Fiumarella) e le zone archeologiche a nord e in più riesce a polarizzare, attraverso la grande piazza, parte dell’attenzione del paese che si trova al di là della ferrovia.
Il terreno proposto dal concorso e l’arbitrarietà degli spazi da costruire hanno suggerito una struttura non unitaria, ma frammentata, come strategia di occupazione. Si tratta di evitare “la casualità”, di trovare una regola su cui basare la costruzione.
Il progetto si caratterizza per il rifiuto delle tipologie classiche e delle ideologie o superfici iconografiche del museo di provincia andando a connotare invece uno spazio globale complesso.
L’idea guida di questo progetto è la creazione, non di un contenitore per i manufatti storici, ma di un museo della storia, un parco a tema. Le linee direttrici principali che scandiscono la struttura del complesso si ispirano ad una maglia ortogonale come il cardo e decumano, antico tracciato principale degli isolati delle città romane: la composizione della maglia si interseca con la direttrice degli scavi che guarda verso l’Acropoli. La planimetria oltre che derivare dalla rigidità di una scacchiera romana, ricorda l’armonia delle geometrie di Mondrian.
Forme semplici, linearità ed essenzialità definiscono la struttura museale: il progetto si inserisce nel contesto urbano e allo stesso tempo ha una propria identità.
Data una certa invariazione nella modalità del rapporto fra il visitatore e l’oggetto esposto, si è pensato di intervenire sulle variabili spaziali non solo strutturali, ma anche percettive come i volumi di luce che si materializzano all’interno dei padiglioni, capaci di modificare profondamente il sistema oggetto/persona/spazio che storicamente definisce la dimensione espositiva all’interno dei musei.
La ricerca dei materiali, così come la scelta formale del progetto, sono state dettate dalla particolare collocazione dell’edificio, che intende da un lato valorizzare il paesaggio fondendosi con esso e dall’altro rappresentare un contrasto con i dintorni. Un segno, uno studiato taglio nel terreno crea una piazza che funge da base per una ben bilanciata composizione di elementi.
La pianta, come strumento regolatore dell’edificio, tende a perdere gli elementi distintivi di una specializzazione spaziale e distributiva e annulla le partizioni in favore di ambiti flessibili legati alle necessità, non in ragione di una vuota neutralità modernista, ma di una contemporaneità di elementi, di spazi e della simultaneità di morbide articolazioni.
Non vogliamo interrompere lo scorrere del tempo sul luogo, ma permettere al luogo di scorrere nel futuro, e neppure è nostra intenzione di preservare il passato congelandolo in quel luogo: lo scopo è “rigenerazione”.
L’edificio non appartiene all’iconografia di un vedutismo fotografico, quanto piuttosto all’astrazione fisica di un’antica via di un tempo, non ben definita.
Per sfruttare lo stupendo scorcio sull’Acropoli e armonizzarsi con il paesaggio circostante, il progetto sorge ad una quota ribassata rispetto all’attuale quota del piano terreno, eccezione fatta per il padiglione trasversale.
Un unico edificio composto da più parti tra loro scollegate ma continue: il complesso si scompone, infatti, in una serie di corpi di fabbrica dalla geometria regolare. Questo sistema di articolazione, ribassando la quota di calpestio di un piano, permette di accogliere un programma funzionale di notevole superficie con un impatto non aggressivo sull’intorno. Una volta all’interno della grande piazza, ci si sorprende per la grande unità volumetrica e spaziale in contrasto con il grande vuoto esterno. E’ nostro volere che la piazza appartenga agli abitanti come spazio di incontro e cultura, luogo di eventi temporanei quali mostre e spettacoli teatrali, che possono svolgersi sia all’aperto che in alcuni dei padiglioni. La pavimentazione della piazza è scolpita, spezzata da tagli di luce aperti, animati, movimenti che suggeriscono direzioni opposte e, nello stesso tempo, collegano ed articolano gli spazi esterni. E’ una sorta di sito archeologico, una via ritrovata, senza luogo e senza tempo.
I semplici volumi rivestiti in materiali leggeri (rame, acciaio) contrastano con i fronti quasi ciechi in pietra locale (questi materiali sono usati anche perché riducono al minimo i costi di manutenzione). I padiglioni si identificano con una “pelle” di rame verde, che esalta il concetto di “reperto”, così come il volume “belvedere” che sovrasta gli stessi, è interamente rivestito in pannelli di acciaio corten che richiamano i colori della terra; tutti materiali questi che ci ricordano lo scorrere inesorabile del tempo attraverso il continuo mutare della materia.
Il complesso utilizza un linguaggio che, in assenza di ogni ornamentazione, esalta maggiormente il gioco spaziale e percettivo.
I muri spogli dei padiglioni focalizzano l’attenzione sulla spazialità interna. Questo minimalismo diventa in realtà un sistema ingegnoso per sovvertire uno spazio tradizionale solo all’apparenza.
La regolarità planimetrica del progetto è rotta dall’irregolarità del padiglione in acciaio corten che, con una sorta di forzatura, passa dalle direttrici Nord-Sud e Est-Ovest che guidano tutto il progetto, ad un’ipotetica linea visiva che lega il fruitore del nuovo spazio all’Acropoli attraverso una grande vetrata orizzontale che di notte si trasforma in un grande schermo luminoso.
La variazione del rivestimento da rame verde, dei padiglioni, ad acciaio corten, del volume per il ristoro, fa sembrare il massiccio volume quasi sospeso nel vuoto: è progettato per essere una presenza nitida nel profilo che si scorge al di là della ferrovia.
Se si osserva la planimetria si vede che i singoli edifici appaiono come “ritagliati” dai percorsi in un unico volume immaginario racchiuso da un muro perimetrale.
Il progetto presenta una volumetria spaziale che si basa sulla manipolazione delle componenti strutturali, sull’alternanza di pieni e di vuoti, e ricorre a superfici inclinate che vanno a creare forme tridimensionali tra loro in grande armonia.
“Fare di un luogo un monumento piuttosto che costruire un edificio-monumento” (opera di Sidney): questa l’intenzione del progetto, che cerca di realizzare un programma ambizioso in modo integrato, in nessun caso mediante un atto di violenza nei confronti del luogo.
Nella frammentarietà dei volumi e nell’atipicità delle forme ritroviamo, a fianco di una espressione formale e figurativa non convenzionale, una classica sequenza di sale rettangolari che ospitano le funzioni museali.
I corpi scale collocati tra i padiglioni e le varie inclinazioni delle pareti creano scorci, prospettive suggestive e percorsi funzionali che portano dentro al progetto, ma che permettono anche di attraversarlo in qualsiasi punto ci si trovi e fungono anche da uscite dalla piazza ribassata verso l’esterno.
L’austerità delle pareti cieche che prospettano verso l’esterno dello spazio museale è rotta dagli accoglienti vuoti delle scale che invitano ad entrare.
Si accede all’edificio dal piano terreno alla fine della zona destinata a parcheggio e in prossimità del grande scavo/piazza.
Il percorso museale inizia nello spazio di ingresso a quota terreno con la grande hall di accoglienza, illuminata da tagli verticali sulle pareti che proseguono sul soffitto creando suggestivi tagli di luce, per poi snodarsi nella sua semplicità circolare attorno alla grande piazza ribassata, memoria del letto di un fiume prosciugato dove fluttuano ancora anime perse di un’antica e gloriosa civiltà e dove sono evidenti i segni della memoria del tempo passato.
Su questo spazio si affacciano in modo pacato, attraverso fronti quasi ciechi scavati da parallelepipedi orizzontali i vari padiglioni che, con i loro rivestimenti in rame verde, ricordano architetture effimere, precarie, tettoie che ospitano i reperti archeologici.
Il piano terreno ospita nei due padiglioni longitudinali, la hall di ingresso e la parte direzionale di uffici. Da questi spazi è possibile accedere, attraverso due corpi di scale sghembe con ascensore, al piano seminterrato che ha funzioni di museo con book-shop e sala multimediale, e al piano primo che ha la funzione di ristoro.
Gli spazi di lavoro e di deposito sono separarti e indipendenti dal percorso museale.
L’illuminazione si articola in tre categorie distinte: una luce diretta che filtra da fenditure nella materia e genera ombre ben definite, una indiretta che non distribuisce ombre, data dai lucernari e infine una luce artificiale direttamente sugli oggetti.
All’esterno è prevista una piantumazione lineare di alberi per separare il progetto dalla zona del parcheggio e una sorta di piccolo bosco sulla zona Nord-Ovest.
L’articolazione esterna degli spazi si sviluppa intorno al museo ed è stata pensata una zona a verde, con sedute: lo spazio è concepito come un luogo di incontro fatto per sostare, per confrontarsi o passeggiare, un vero e proprio spazio urbano pensato per avvenimenti all’aperto. I percorsi pedonali, costituiti da listoni di legno rialzati dal terreno con una struttura in acciaio, si snodano intorno al complesso museale, collegando quest’ultimo alla Fiumarella, al parco archeologico e all’Acropoli.
Il museo è dotato di uscite e di scale di sicurezza in vari punti del complesso e risponde alla normativa per i disabili in materia di spazi pubblici.
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    Project details
    • Year 2004
    • Client Comune di Ascea-Elea-Velia
    • Status Competition works
    • Type Museums
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