"Il rumore del silenzio" | Mario Tassoni

Impressioni su carta fotografica Venice / Italy / 2008

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“L’obiettivo è quello di entrare dentro a tutto ciò che ci circonda per scoprirne le costruzioni, le incoerenze, le asimmetrie...da qui scaturisce la voglia di comporre i segni in altre forme …”
E’ la premessa che pone Mario Tassoni per un’analisi attenta della sua ricerca formale. L’artista-architetto procede alla scrittura della realtà delle cose, scompone l’immagine in microsegni e reinterpreta lo spazio, restituendone i dati alla scenografia prospettica, intesa come luogo della memoria.

Nella serie Riflessi, rielabora la ricerca di senso della percezione visiva, sperimentando un percorso unitario che sostiene la realizzazione artistica, resignifica il proprio vissuto mediante dissolvenze di macchie cromatiche e giochi sapienti di luci e di ombre.
Attraverso il segno, evoca la rappresentazione della storia privata, mediata da un esercizio del limite sempre spostato, da un’urgenza di appropriazione del grande immaginario collettivo, nel tentativo sperimentato di fissare - per sempre - possibili riflessi del sé.
Promuove, a scrittura del testo, la pluralità degli eventi, la forza degli accadimenti, rielabora il codice delle emozioni e lo rappresenta in polvere di parole - immagini.

“La mia visione sulle cose è soprattutto indagatrice” - suggerisce l’artista – “I segni astratti nascono come un vero progetto pensato…” e si traducono in “…radiografie o TAC con l’aiuto del digitale o semplicemete come impressioni su carta fotografica…” della realtà che individuano ipotesi di percorsi interiori.
Visioni del reale, letto e reinterpretato da una forte volontà di scrittura che connota l’opera come prodotto finale. Oggetto ansioso, mediato da geometrie della mente e architetture del pensiero, visioni di un proprio delirio del vivere come teatro dei ritorni, colmati da frammenti di storia e segmenti di tempo.

La serie Geometria delle lacrime propone opere di grande valenza segnica che sanno coniugare aspetti di un deciso minimalismo con l’utilizzo sapiente dello spazio cromatico e materico.
La realtà percepita viene analizzata dall’artista attraverso i micropassaggi che determinano il rituale dell’opera e individuano i percorsi di una biografia personale tradotta in narrazione visiva, in sequenza di dettagli veicolati tra memoria, vissuto e dato culturale.
La ricerca stilistica raggiunge soluzioni di grande qualità a livello di forma e di contenuto con la serie Trappola, Il fondo del bicchiere, Pioggia acida: lo spazio realizzato diventa labirinto mediatico in cui si intersecano l’universo dell’immaginario, il valore del simbolico e i feticci del contemporaneo. La pluralità del dettaglio definisce la dimensione del “fare artistico”, si traduce in sintesi di percezione esterna e di percezione interna, segni di infinite rinascite elaborate nel proprio tempo emotivo.
L’artista sperimenta ancora faticosi percorsi, tende caparbiamente a fragili recuperi di uno statuto esistenziale che gioca il gioco insistente dell’agire le proprie infanzie nel corpo, delimita, ora e per sempre, l’universo del privato e realizza la sua metafora per una completa restituzione/riappropriazione di sé.

Ricollegandosi alle frasi iniziali suggerite, Mario Tassoni continua “…come un sismografo registrare le fasi, del tutto immaginarie della loro evoluzione e natura, fissando l’immagine che più mi colpisce e lasciando di loro, a volte, solo una traccia...solo pensieri virtuali”. E’ stata metabolizzata e condivisa la lezione dell’architettura presentata nel 1996 dalla Biennale di Venezia alla 6° Mostra Internazionale di Architettura, intitolata “Sensori del futuro, l’architetto come sismografo”.
Vengono riprese e proposte tematiche forti, quali quella dell’ambiente inteso come spazio fisico e culturale, tessuto storico-sociale, condizione essenziale in cui esistono gli esseri umani.
L’architetto-artista opera come un sismografo. Registra e misura i dati al fine di migliorare l’ambiente urbano, cioè la città.

E’ in questo contesto che si colloca l’opera intitolata La macchina urbana: Madrid, griglia di percorsi-sentieri, dedalo di tracce in cui lo spazio viene destrutturato e immediatamente ricomposto, penetrazione plastica di nero e bianco, di pieno e vuoto, sintesi dei contrari che si incrociano nel contenitore urbano - corpo vissuto, trafitto dalla rugosità del tempo, luogo dell’alterità e dello sguardo assente in cui agiscono lutti e paure, perdite e riappropriazioni.
Sono opere realizzate con grande talento e finezza stilistica: vengono proposte all’ attenzione collettiva con profonda sensibilità culturale e conoscenza interiorizzata dei dettagli e degli spazi descritti.

Rappresentano, secondo l’artista, “il silenzio in cui vivono le cose”.


Gabriella Cecchini
(Critica d’arte, già dirigente della Biennale di Venezia Settore Comunicazione e Archivio Arti Contemporane)
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    Project details
    • Year 2008
    • Status Completed works
    • Type Graphic Design / Photography
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