Il grande plastico di Vema | Purini Thermes

Le fasi di realizzazione e la tecnologia informatica Biennale Venezia 2006, Padiglione italiano - mostra “La Città Nuova. Italia-y-2026. Invito a Vema” / Italy / 2006

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Il masterplan
Il lavoro di fondazione progettuale di VEMA, iniziato con un tracciato urbano proposto da Franco Purini sulla base di alcuni suoi schizzi, è ripercorribile attraverso alcune fasi qui di seguito sintetizzate. La prima ha riguardato il rapporto tra la forma generale della città e la sua articolazione in parti distinte. Inizialmente lo schema insediativo, alla cui prima stesura ha collaborato Sebastiano Giannesini, consisteva in un rettangolo di 5120x2740 m, inclinato rispetto al nord di 12 gradi suddiviso in bande parallele destinate alternativamente ad accogliere il verde e gli edifici.

Questo sistema è rimasto sostanzialmente inalterato nella sua definizione ideogrammatica attraverso tutte le successive stesure preliminari. Dopo una accurata verifica delle funzioni necessarie a una città, da organizzare secondo un modello organico e stratificato diverso da quello dello zoning sono stati distribuiti sulla sua struttura insediativa, definita da una matrice quadrata di 204x204 m, gli edifici destinati a ospitarle. In una fase ulteriore, l’elemento insediativo primario è stato precisato in una “quadra” composta da nove isolati di 120x120 metri l’uno. Tale modifica ha reso lo schema insediativo più articolato e soprattutto più complesso, consentendo una maggiore commistione tra le varie destinazioni d’uso.

In questa fase della progettazione è stato importante definire il rapporto tra la forma urbana e le infrastrutture. È stata esaminata una vasta gamma di possibilità fino alla scelta di predisporre, oltre alla rete stradale che alimenta il tessuto, raccordata da un anello viario perimetrale, tre barre infrastrutturali che solcano longitudinalmente il rettangolo. Esse contengono il trasporto pubblico meccanizzato e terminano in torri/testate di servizio.

Un altro momento decisivo per la progettazione della città è stata la messa a punto del sistema delle aree verdi. Si tratta di un grande vuoto centrale a forma di croce che contiene un lago, aree destinate a parco e il centro di produzione dell’energia. Quest’ultimo è pensato come un vero e proprio “giardino tecnologico”, dotato di innovativi dispositivi fotovoltaici ed eolici che garantiscono l’autosufficienza della città nella chiave di una sostenibilità non intesa solo sul piano tecnico, ma anche su quello della qualità ambientale e architettonica.

Nel corso di un seminario tenutosi a Roma l’11 aprile 2006, al quale hanno partecipato anche Pio Baldi e Margherita Guccione, VEMA è stata presentata a venti gruppi di giovani progettisti under 40. Dopo una serie di approfondimenti tematici e di chiarimenti sulle finalità del programma i gruppi hanno scelto i singoli argomenti da sviluppare. Avatar Architettura ha espresso la sua preferenza per il progetto del mercato, Lorenzo Capobianco per gli studi televisivi e Pier Vittorio Aureli, Dogma|Office per la progettazione del cimitero. Elastico spa + Elastico 3 ha deciso di occuparsi del polo scolastico, lo studio.eu del parco dell’energia, Giuseppe Fallacara del lago, Santo Giunta degli uffici e del municipio della città. Il gruppo Iotti + Pavarani ha preferito disegnare lo shopping mall mentre ma0 / emmeazero studio d’architettura il museo di VEMA, Antonella Mari l’ospedale, Masstudio il parco del confine, Moduloquattro la mediateca, il gruppo Raffaella Laezza, Michele Moreno, Giovanni Antamaria lo spazio sacro, Stefano Milani i depositi industriali, Tomaso Monestiroli e Massimo Ferrari il teatro, OBR Open Building Research il parco dello sport, Gianfranco Sanna il ricettivo, Andrea Stipa il polo dell’intrattenimento, Alberto Ulisse il sistema delle barre infrastrutturali. Agli architetti è stato inoltre richiesto di progettare, all’interno della quadra loro assegnata, anche le residenze, il verde e lo spazio pubblico.

Dopo un ulteriore lavoro sul “modello direttore” VEMA è stata gradualmente “deposta” sul suo sito. Questa delicata operazione ha comportato l’incorporazione di una serie di tracce
territoriali nonché la redazione definitiva dello schema insediativo più contenuto per ragioni di scala rispetto a quello di partenza, iscritto in un rettangolo aureo di 3720x2300 metri. Gli isolati sono stati ridotti fino a diventare di 72x72 metri e la trama viaria è stata oggetto di un approfondimento suddividendosi in strade di sezioni rispettivamente di 12, 18 e 24 metri.

A questa trama si è sovrapposto un sistema di canali che si collegano al Mincio e al Po ampliando le possibilità di trasporto e di percorrenza nella città. Il rapporto tra chi scrive che ha svolto le laboriose ma necessarie mansioni di city manager di VEMA e gli architetti che hanno progettato le singole parti della nuova città è stato per tutta la durata dell’elaborazione intenso e continuo, ispirato dalla necessità di conciliare le libere interpretazioni del programma da parte dei singoli gruppi con l’esigenza di pervenire a un risultato complessivo in qualche modo unitario.

In particolare l’interferenza tra le zone di tangenza delle differenti aree ha comportato una paziente e puntuale collimazione delle varie proposte. Franco Purini ha successivamente suggerito di inserire nella città la dimensione dell’arte chiedendo ai gruppi di invitare pittori e scultori a loro vicini. Per i progettisti privi di rapporti diretti con il mondo della ricerca estetica Francesco Moschini, direttore della romana A.A.M. (Architettura e Arte Moderna) ha proposto alcuni nomi di giovani artisti.

Un’ulteriore ipotesi che Franco Purini ha proposto ai gruppi è stata quella di coinvolgere progettisti esterni, anche stranieri, che fossero per i giovani invitati figure di riferimento, alle quali chiedere un contributo all’interno della loro proposta. Ciò al fine di comunicare l’idea che VEMA è già inserita in una storia, che vive già una sua evoluzione verso un futuro molteplice, che la vedrà accogliere una pluralità di linguaggi. Infine è stato chiesto ai costruttori della nuova città di accennare a un progetto di toponomastica che conferisse a VEMA una maggiore concretezza urbana, densa di metafore dedicatorie e di plusvalori narrativi. Per concludere, il lavoro di fondazione, per tutto il suo lungo percorso, è stato rivolto a sondare le possibilità e le ragioni di esistenza di una città nuova che vivrà nel 2026.

Schema insediativo iniziale
Franco Purini con Francesco Menegatti, Sebastiano Giannesini

Schema insediativo definitivo
Franco Purini con Francesco Menegatti

Hardware della città e progetto dei ponti
Francesco Menegatti con Dina Nencini
collaboratori: Laura Ferrarello, Giovanni Lucchetti, Georgios Papaevangeliou, Fabio Satriano, Carlo Stabili, Stefano Strika (rendering)

Collaborazioni esterne
Artisti: Licia Galizia, Attraverso il ponte Francesco Impellizzeri, Tema: i ponti. 2006 (coordinamento artistico: galleria A.A.M. Arte Architettura Moderna, Roma)

Architetto invitato
Clorindo Testa, Un ponte per Viedma e Un ponte per VEMA


L’allestimento - Cinque elementi per le Tese delle Vergini
Un allestimento - o un intervento di exibit design, come si preferisce dire oggi - non è un'opera autonoma e "intransitiva". Contiguo per certi versi all'installazione, ma per altri molto diverso da questo genere antico esso è infatti il tramite tra uno spazio dato e ciò che in tale spazio viene mostrato, tenendo presente che anche quest'ultimo viene esposto. Un allestimento è dunque uno strumento di intermediazione interpretativa tra due realtà, l'ambiente che accoglie le opere e le opere stesse. In questo modo si mette in scena una sorta di triangolo concettuale che vede lo spazio dato, l'allestimento e le opere dare vita a una serie spesso inesauribile di riverberazioni semantiche. Continui trasferimenti di senso si verificano cosi tra lo spazio dato, le architetture allestitive e ciò che esse accolgono.

Il progetto di allestimento delle Tese delle Vergini assume come riferimento temporalmente lontano, ma idealmente molto vicino, la straordinaria lettura che nel 1976 Joseph Beuys dette del Padiglione Tedesco ai Giardini della Biennale. Il grande spazio interno, con il suo pavimento in legno, le sue pareti in mattoni, il carro ponte e la copertura in ferro viene conservato nella sua suggestiva dimensione di importante testo di archeologia industriale.

L'allestimento, nettamente identificato nella sua astratta bianchezza, nonché nel suo carattere necessariamente provvisorio, anche se sarà utilizzato per qualche anno, si compone di cinque semplici elementi.

Il primo è una successione di stanze collegate da un percorso interno. La loro larghezza coincide con quella delle campate formate dai pilastri in ferro che sostengono il carro ponte, mentre il ritmo delle capriate metalliche della copertura, diverso da quello dei pilastri, viene trascritto sul soffitto. Dalle aperture che così si determinano è possibile ritagliare frammenti del paesaggio aereo delle capriate.
Il secondo elemento è una bussola in acciaio e vetro che incastona il cancello originale.
Il terzo è una rampa la quale porta dalla quota del pavimento a un balcone-osservatorio collocato all'altezza di circa due metri. Da questa postazione elevata, utile sia per poter osservare in modo unitario il vasto ambiente delle Tese delle Vergini, sia per apprezzarne meglio la dimensione spaziale, è possibile fotografare o filmare la mostra.
Il quarto elemento è un recinto ellittico, un panorama sul quale sarà proiettato un film sull'architettura italiana del Novecento.
Accanto al portale esterno, tamponato da una parete in ferro sulla quale si apre la bussola di ingresso, sarà realizzato il quinto elemento dell'allestimento, una "riproduzione" schematica, sempre in ferro del portale arcuato in pietra che immette nelle Tese delle Vergini, "un'impronta-bassorilievo" che diventerà il logo tridimensionale (Franco Purini).

Disegno allestitivo
Franco Purini con Massimiliano De Meo, Carlo Meo Colombo, Franco Puccetti e Valter Tronchin
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