Slow town VEMA
Biennale Venezia 2006, Padiglione italiano - mostra “La Città Nuova. Italia-y-2026. Invito a Vema” Venice / Italy / 2006
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È possibile immaginare modi di abitare e vivere il territorio diversi da quelli attuali? Queste modalità possono prendere le forme della città, e in particolare di una “città di fondazione”? “VEMA 2026” propone di indagare alcune linee di sviluppo di una tale ipotesi, proiettate in un futuro prossimo anche se non immediato.
Se prendiamo atto che la società attuale continua a produrre un’occupazione del territorio dispersa e disaggregata, dobbiamo immaginare, a premessa del nostro esercizio, che solo una società diversa possa “costruirsi” una nuova forma di insediamento. Il gruppo di progettazione aderisce all’idea che una forma “urbana” possa nuovamente rappresentare una possibilità di abitare vicina ai desideri di un’ampia collettività, assumendo come riferimento l’immagine di una città “intensa” anziché “densa”. Il futuro cui si fa riferimento nella nostra sezione di città è necessariamente una proiezione “personale”, in cui convivono tendenze già in atto e trasformazioni – sociali, economiche, politiche e scientifiche – desiderate. Ma proprio nella individuazione di una situazione ideale di “committenza” della città del futuro, crediamo consista il valore di tale proposta, ingenua e un po’ romantica come ogni utopia, ma portatrice di una suggestione e di una volontà di individuare degli obiettivi, operazione fondamentale quindi per lo sviluppo reale delle nostre città e del nostro territorio. «La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare… Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone…» (Italo Calvino).
Slow town VEMA cerca, come ogni città ideale, un principio d’ordine: la relazione diretta e necessaria tra costruito e spazi aperti costituisce la scelta primaria del progetto, antidoto al “deserto” di oggetti senza regia di tanta città contemporanea. Crediamo infatti che su questa relazione si basi la possibilità di configurare nuovamente “luoghi” anziché “spazi”, elementi connettivi di un tessuto sociale e architettonico compatto, per quanto eterogeneo, sfaccettato, portatore di identità plurime.
Il progetto indaga quindi una forma urbana che articola pieni e vuoti come unica materia e non procede per pezzi isolati ma per brani di paesaggio, trattandola come organismo frammentato e complesso ma unico. La stessa divisione tra tessuto urbano e parco viene sfumata nel nostro progetto in una continuità in cui le categorie si intersecano e si compenetrano, senza perdere le loro identità: viene anzi massimizzata la superficie di contatto tra elemento artificiale e naturale ad aumentare il piacere visivo del contrasto. Una sequenza di spazi che ibridano le caratteristiche di piazza, strada e parco diventa così il principio organizzativo dell’insediamento, infrastruttura verde continua e coinvolgente che si dilata e si restringe ad assecondare un movimento fluido ed organico tra “paesaggio artificiale” e “paesaggio naturale”.
Slow town VEMA è pensata come città a misura d’uomo, città in cui muoversi nuovamente a piedi; crediamo che il piacere della velocità possa trovare luogo fuori dalla città, senza che la stessa ne risulti impoverita, né visivamente né come intensità di scambi ed eventi che questa può generare. In questo si contesta radicalmente il modello della città diffusa, dimensionata e organizzata sull’uso convulso e frenetico dell’auto e pensata quindi per muoversi e consumare (suolo, tempo, energia…); immaginiamo una società più consapevole delle proprie esigenze e dei propri limiti, che – forte di uno sviluppo tecnologico finalmente allineato con una coscienza collettiva ecologica (ad esempio con trasporti compatti, leggeri, automatizzati e sicuri) – riscopra la necessità e il piacere della prossimità.
L’architettura stessa si pone in opposizione alla “logica del gesto isolato”, dalla forte valenza iconografica quanto dalla velocità con cui viene “consumata”: per “farsi città”, l’architettura vuole rimanere uno sfondo, ricco quanto discreto, assecondando una lettura della città italiana quale tessuto scenografico ma non “spettacolare”. In questo il progetto aspira a prefigurare spazi dall’identità marcata, senza volerli descrivere, tracciando invece la condizione di attesa, di sospensione, di una città improbabile, ma possibile.
www.slowtown-vema.eu
Se prendiamo atto che la società attuale continua a produrre un’occupazione del territorio dispersa e disaggregata, dobbiamo immaginare, a premessa del nostro esercizio, che solo una società diversa possa “costruirsi” una nuova forma di insediamento. Il gruppo di progettazione aderisce all’idea che una forma “urbana” possa nuovamente rappresentare una possibilità di abitare vicina ai desideri di un’ampia collettività, assumendo come riferimento l’immagine di una città “intensa” anziché “densa”. Il futuro cui si fa riferimento nella nostra sezione di città è necessariamente una proiezione “personale”, in cui convivono tendenze già in atto e trasformazioni – sociali, economiche, politiche e scientifiche – desiderate. Ma proprio nella individuazione di una situazione ideale di “committenza” della città del futuro, crediamo consista il valore di tale proposta, ingenua e un po’ romantica come ogni utopia, ma portatrice di una suggestione e di una volontà di individuare degli obiettivi, operazione fondamentale quindi per lo sviluppo reale delle nostre città e del nostro territorio. «La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare… Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone…» (Italo Calvino).
Slow town VEMA cerca, come ogni città ideale, un principio d’ordine: la relazione diretta e necessaria tra costruito e spazi aperti costituisce la scelta primaria del progetto, antidoto al “deserto” di oggetti senza regia di tanta città contemporanea. Crediamo infatti che su questa relazione si basi la possibilità di configurare nuovamente “luoghi” anziché “spazi”, elementi connettivi di un tessuto sociale e architettonico compatto, per quanto eterogeneo, sfaccettato, portatore di identità plurime.
Il progetto indaga quindi una forma urbana che articola pieni e vuoti come unica materia e non procede per pezzi isolati ma per brani di paesaggio, trattandola come organismo frammentato e complesso ma unico. La stessa divisione tra tessuto urbano e parco viene sfumata nel nostro progetto in una continuità in cui le categorie si intersecano e si compenetrano, senza perdere le loro identità: viene anzi massimizzata la superficie di contatto tra elemento artificiale e naturale ad aumentare il piacere visivo del contrasto. Una sequenza di spazi che ibridano le caratteristiche di piazza, strada e parco diventa così il principio organizzativo dell’insediamento, infrastruttura verde continua e coinvolgente che si dilata e si restringe ad assecondare un movimento fluido ed organico tra “paesaggio artificiale” e “paesaggio naturale”.
Slow town VEMA è pensata come città a misura d’uomo, città in cui muoversi nuovamente a piedi; crediamo che il piacere della velocità possa trovare luogo fuori dalla città, senza che la stessa ne risulti impoverita, né visivamente né come intensità di scambi ed eventi che questa può generare. In questo si contesta radicalmente il modello della città diffusa, dimensionata e organizzata sull’uso convulso e frenetico dell’auto e pensata quindi per muoversi e consumare (suolo, tempo, energia…); immaginiamo una società più consapevole delle proprie esigenze e dei propri limiti, che – forte di uno sviluppo tecnologico finalmente allineato con una coscienza collettiva ecologica (ad esempio con trasporti compatti, leggeri, automatizzati e sicuri) – riscopra la necessità e il piacere della prossimità.
L’architettura stessa si pone in opposizione alla “logica del gesto isolato”, dalla forte valenza iconografica quanto dalla velocità con cui viene “consumata”: per “farsi città”, l’architettura vuole rimanere uno sfondo, ricco quanto discreto, assecondando una lettura della città italiana quale tessuto scenografico ma non “spettacolare”. In questo il progetto aspira a prefigurare spazi dall’identità marcata, senza volerli descrivere, tracciando invece la condizione di attesa, di sospensione, di una città improbabile, ma possibile.
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È possibile immaginare modi di abitare e vivere il territorio diversi da quelli attuali? Queste modalità possono prendere le forme della città, e in particolare di una “città di fondazione”? “VEMA 2026” propone di indagare alcune linee di sviluppo di una tale ipotesi, proiettate in un futuro prossimo anche se non immediato. Se prendiamo atto che la società attuale continua a produrre un’occupazione del territorio dispersa e disaggregata, dobbiamo immaginare, a premessa del nostro esercizio, che...
- Year 2006
- Status Competition works
- Type Shopping Malls
- Websitehttp://www.iotti-pavarani.com
- Websitehttp://www.padiglioneitaliano.org
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