Monumento ai caduti di Nassirya vittime dell'attentato del 12 novembre 2003 | Franco Pettrone
Rome / Italy / 2004
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L'area prescelta per la collocazione dell'opera e' il Parco Schuster sulla via Ostiense presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura in Roma.
RELAZIONE
“La vista delle rovine ci fa fugacemente intuire
l’esistenza di un tempo puro, non databile,
assente da questo nostro mondo violento
le cui macerie non hanno più il tempo di diventare rovine.
Un tempo che, a volte, l’arte riesce a ritrovare.”
Marc Augé, Rovine e macerie, Bollati Boringhieri, Torino 2004
Concorso per il monumento ai caduti di Nassiriya
Progetto di Giuseppe Ansovino Cappelli (capogruppo),
arch. Franco Pettrone
Consulente per le strutture: Ing.Paolo Celotto,
per l’illuminotecnica: Per.ind.Valentino Pelizzi
La nostra opera propone l’immagine di un muro “miracolosamente” rimasto eretto dopo una distruzione.
Non un cumulo di macerie ma un artefatto, un oggetto che l’intenzionalità estetica ha trasfigurato in una possente e dignitosa “rovina”.
“La rovina mette in evidenza l’originaria inimicizia tra le parti” ha scritto George Simmel in Die Ruine, nel 1911.
Estetica della rovina ed estetica del conflitto, definiscono un ambito teorico generale al quale possono essere ricondotte molte ricerche artistiche dell’ultimo decennio e , in questo ambito sentiamo di poter collocare anche il nostro lavoro.
La rovina vive di un significato autonomo e nuovo rispetto “all’intero" che forse è stata; essa è come una nuova opera nata dal conflitto tra uomo, natura e storia, un ibrido che brilla del suo precario equilibrio.
La rovina unisce senza armonizzare, mantenendo nella differenza le rispettive identità degli elementi e delle parti.
Trovandoci a Roma, ovviamente, oltre al significato teorico più generale al quale abbiamo accennato, la rovina si carica anche di molteplici implicazioni particolari legate al carattere eccezionale di un luogo che ha ispirato l’immagine del paesaggio artistico da Poussin a Lorrain, a Piranesi.
Attraverso George Simmel possiamo cogliere la rovina come “unità conflittuale”, attraverso Walter Benjamin come “allegoria”, attraverso Teilhard de Cardin come dispositivo comunicativo a “rete”, attraverso Umberto Eco come “opera aperta”.
Possiamo fare riferimenti a maestri come Alberto Burri e Arnaldo Pomodoro ma anche ragionevolmente pensare che molti aspetti del recente “decostruzionismo” possano essere ricondotti al più generale “paradigma estetico della rovina”.
Un discorso che può riguardare artisti come Nicola Carrino e Giuseppe Uncini, ma anche architetti come Luigi Moretti e Angelo Di Castro, ai quali si è ampiamente ispirato Peter Eisenman.
Il senso comune leggerà quindi, nella nostra proposta, l’immagine che rievoca il tragico evento della distruzione, ma, da un livello più profondo, emergerà anche l’auspicio che nel conflitto sia contenuto il germoglio di un paradigma più aperto, di un nuovo spazio di civiltà e di libero confronto delle differenze e, nel momento in cui la città di Roma rende omaggio a questi uomini e li
consegna a futura memoria, come non ricordare le parole del Manzoni: “Ai posteri l’ardua sentenza, nui chiniam la fronte |…|”.
Descrizione
Il “muro” in posizione verticale è alto 5 metri nel suo punto massimo ed è composto da tre pezzi:
uno grande e due piccoli. Il frammento più grande si rende espressivamente presente attraverso un “equilibrio precario”, drammaticamente accentuato da un notevole sbalzo.
L’intero “muro” è ridisegnato e commentato, nelle sue linee principali, sul piano orizzontale, da un pavimento-piedistallo dello stesso materiale: un piano di travertino, segnato da tagli e rigature, sul quale è appoggiato trasversalmente un lungo parallelepipedo a base quadrata che funge da
seduta. Da questo piano emerge anche una stele, opportunamente illuminata, che porterà incastonati con lettere di bronzo i diciannove nomi dei caduti.
Una struttura principale, realizzata con putrelle di acciaio zincato e verniciato, sorregge una trama secondaria, sempre in acciaio, sulla quale sono disposte le lastre di travertino martellinato.
La scelta del travertino si commenta da sola, ma, rispetto alla fin troppo ovvia sua appartenenza al contesto romano, si è voluto proporne un uso “straniato”, con l’intento di far vedere con occhi nuovi un materiale consueto. Le sue caratteristiche di durevolezza, resistenza, bellezza e affidabilità e, la possibilità di poterlo usare sia sul piano orizzontale che su quello verticale ci hanno convinto a riproporre l’uso di questo materiale millenario.
Le scanalature che determinano l’effetto “cretto” saranno realizzate fissando due lastre l’una sull’altra con un sistema brevettato di incollaggio.
L’aggancio della struttura secondaria a quella principale sarà realizzato in modo da consentire l’assorbimento delle vibrazioni e le dilatazioni termiche. Una opportuna fondazione a platea consentirà di distribuire i carichi in modo da non superare i limiti di carico e di profondità indicati dal bando.
Collocazione planimetrica.
Riguardo alla collocazione del monumento, abbiamo scelto un posizionamento che, rispettando i vincoli posti, riqualifica questa area che ora è troppo marginale. L’intero monumento è collocato su uno slargo pavimentato a cemento e ciottoli, che raccorda le due direzioni: quella che conduce
alla basilica di S. Paolo e quella del vialetto obliquo, a cui si affianca la panchina che funge da margine verso il fiume.
Tale posizione evita anche di interferire con le utenze presenti nell’area. Un nuovo muretto sostiene e disegna la scarpata erbosa verso il Lungotevere.
Particolare attenzione è stata riservata al controllo delle relazioni che il progetto stabilisce con l’intorno. Coloro che provengono in automobile dalla Piramide, lungo la via Ostiense, potranno vedere, già da una certa distanza, il monumento nella sua massima altezza, accentuata dall’inclinazione della lastra proprio nel senso delle fughe prospettiche. Giunti in prossimità della
deviazione che immette sul Lungotevere si avrà la sorpresa di scoprirne il fianco in tutta la sua potenza, esaltata dalla luce e dai chiaroscuri del “cretto”.
Sempre arrivando dalla via Ostiense, senza impattare la visione del transetto della chiesa, l’opera si pone sulla destra come indispensabile quinta di appoggio per una migliore percezione prospettica.
Assume inoltre grande significato anche il porsi dell’opera in perfetto parallelismo con il fronte principale della vicina sede universitaria e perpendicolare al suo ingresso principale.
Ma la percorrenza pedonale principale resta quella di coloro che provengono dalla basilica di S.Paolo: verso questa direzione è orientata la stele su cui sono incisi i nomi, che si pone come riferimento visivo e punto fermo a fronte del tumulto delle lastre che, da questo punto di vista, si possono interamente cogliere nella loro impennata antiprospettica.
Il sistema delle luci L’illuminazione diffusa del nuovo piazzale in cemento e ciottoli è realizzata con luci (tipo Walki della iGuzzini 14W) incassate nel muretto che sorregge la scarpata erbosa verso il Lungotevere.
Questo determina una lunga e suggestiva scia luminosa. Sono inoltre stati posizionati dei fari luminosi unidirezionali che illuminano, da sotto, le chiome degli alberi più importanti, creando un alone di luce diffusa.
Il monumento sarà illuminato:
- con lampade di forma allungata ad incasso (tipo Linealuce della iGuzzini fluorescenti da 1260mm/28W e da 700mm/14W con ottica asimmetrica), poste a illuminare sia la lapide con i nomi, sia il muro, esaltandone la parte a sbalzo;
- con un sistema luminoso (tipo Powerled da 3,5W), collocato all’interno delle scanalature, delle putrelle e delle varie sconnessioni delle lastre, sia in orizzontale che in verticale.
RELAZIONE
“La vista delle rovine ci fa fugacemente intuire
l’esistenza di un tempo puro, non databile,
assente da questo nostro mondo violento
le cui macerie non hanno più il tempo di diventare rovine.
Un tempo che, a volte, l’arte riesce a ritrovare.”
Marc Augé, Rovine e macerie, Bollati Boringhieri, Torino 2004
Concorso per il monumento ai caduti di Nassiriya
Progetto di Giuseppe Ansovino Cappelli (capogruppo),
arch. Franco Pettrone
Consulente per le strutture: Ing.Paolo Celotto,
per l’illuminotecnica: Per.ind.Valentino Pelizzi
La nostra opera propone l’immagine di un muro “miracolosamente” rimasto eretto dopo una distruzione.
Non un cumulo di macerie ma un artefatto, un oggetto che l’intenzionalità estetica ha trasfigurato in una possente e dignitosa “rovina”.
“La rovina mette in evidenza l’originaria inimicizia tra le parti” ha scritto George Simmel in Die Ruine, nel 1911.
Estetica della rovina ed estetica del conflitto, definiscono un ambito teorico generale al quale possono essere ricondotte molte ricerche artistiche dell’ultimo decennio e , in questo ambito sentiamo di poter collocare anche il nostro lavoro.
La rovina vive di un significato autonomo e nuovo rispetto “all’intero" che forse è stata; essa è come una nuova opera nata dal conflitto tra uomo, natura e storia, un ibrido che brilla del suo precario equilibrio.
La rovina unisce senza armonizzare, mantenendo nella differenza le rispettive identità degli elementi e delle parti.
Trovandoci a Roma, ovviamente, oltre al significato teorico più generale al quale abbiamo accennato, la rovina si carica anche di molteplici implicazioni particolari legate al carattere eccezionale di un luogo che ha ispirato l’immagine del paesaggio artistico da Poussin a Lorrain, a Piranesi.
Attraverso George Simmel possiamo cogliere la rovina come “unità conflittuale”, attraverso Walter Benjamin come “allegoria”, attraverso Teilhard de Cardin come dispositivo comunicativo a “rete”, attraverso Umberto Eco come “opera aperta”.
Possiamo fare riferimenti a maestri come Alberto Burri e Arnaldo Pomodoro ma anche ragionevolmente pensare che molti aspetti del recente “decostruzionismo” possano essere ricondotti al più generale “paradigma estetico della rovina”.
Un discorso che può riguardare artisti come Nicola Carrino e Giuseppe Uncini, ma anche architetti come Luigi Moretti e Angelo Di Castro, ai quali si è ampiamente ispirato Peter Eisenman.
Il senso comune leggerà quindi, nella nostra proposta, l’immagine che rievoca il tragico evento della distruzione, ma, da un livello più profondo, emergerà anche l’auspicio che nel conflitto sia contenuto il germoglio di un paradigma più aperto, di un nuovo spazio di civiltà e di libero confronto delle differenze e, nel momento in cui la città di Roma rende omaggio a questi uomini e li
consegna a futura memoria, come non ricordare le parole del Manzoni: “Ai posteri l’ardua sentenza, nui chiniam la fronte |…|”.
Descrizione
Il “muro” in posizione verticale è alto 5 metri nel suo punto massimo ed è composto da tre pezzi:
uno grande e due piccoli. Il frammento più grande si rende espressivamente presente attraverso un “equilibrio precario”, drammaticamente accentuato da un notevole sbalzo.
L’intero “muro” è ridisegnato e commentato, nelle sue linee principali, sul piano orizzontale, da un pavimento-piedistallo dello stesso materiale: un piano di travertino, segnato da tagli e rigature, sul quale è appoggiato trasversalmente un lungo parallelepipedo a base quadrata che funge da
seduta. Da questo piano emerge anche una stele, opportunamente illuminata, che porterà incastonati con lettere di bronzo i diciannove nomi dei caduti.
Una struttura principale, realizzata con putrelle di acciaio zincato e verniciato, sorregge una trama secondaria, sempre in acciaio, sulla quale sono disposte le lastre di travertino martellinato.
La scelta del travertino si commenta da sola, ma, rispetto alla fin troppo ovvia sua appartenenza al contesto romano, si è voluto proporne un uso “straniato”, con l’intento di far vedere con occhi nuovi un materiale consueto. Le sue caratteristiche di durevolezza, resistenza, bellezza e affidabilità e, la possibilità di poterlo usare sia sul piano orizzontale che su quello verticale ci hanno convinto a riproporre l’uso di questo materiale millenario.
Le scanalature che determinano l’effetto “cretto” saranno realizzate fissando due lastre l’una sull’altra con un sistema brevettato di incollaggio.
L’aggancio della struttura secondaria a quella principale sarà realizzato in modo da consentire l’assorbimento delle vibrazioni e le dilatazioni termiche. Una opportuna fondazione a platea consentirà di distribuire i carichi in modo da non superare i limiti di carico e di profondità indicati dal bando.
Collocazione planimetrica.
Riguardo alla collocazione del monumento, abbiamo scelto un posizionamento che, rispettando i vincoli posti, riqualifica questa area che ora è troppo marginale. L’intero monumento è collocato su uno slargo pavimentato a cemento e ciottoli, che raccorda le due direzioni: quella che conduce
alla basilica di S. Paolo e quella del vialetto obliquo, a cui si affianca la panchina che funge da margine verso il fiume.
Tale posizione evita anche di interferire con le utenze presenti nell’area. Un nuovo muretto sostiene e disegna la scarpata erbosa verso il Lungotevere.
Particolare attenzione è stata riservata al controllo delle relazioni che il progetto stabilisce con l’intorno. Coloro che provengono in automobile dalla Piramide, lungo la via Ostiense, potranno vedere, già da una certa distanza, il monumento nella sua massima altezza, accentuata dall’inclinazione della lastra proprio nel senso delle fughe prospettiche. Giunti in prossimità della
deviazione che immette sul Lungotevere si avrà la sorpresa di scoprirne il fianco in tutta la sua potenza, esaltata dalla luce e dai chiaroscuri del “cretto”.
Sempre arrivando dalla via Ostiense, senza impattare la visione del transetto della chiesa, l’opera si pone sulla destra come indispensabile quinta di appoggio per una migliore percezione prospettica.
Assume inoltre grande significato anche il porsi dell’opera in perfetto parallelismo con il fronte principale della vicina sede universitaria e perpendicolare al suo ingresso principale.
Ma la percorrenza pedonale principale resta quella di coloro che provengono dalla basilica di S.Paolo: verso questa direzione è orientata la stele su cui sono incisi i nomi, che si pone come riferimento visivo e punto fermo a fronte del tumulto delle lastre che, da questo punto di vista, si possono interamente cogliere nella loro impennata antiprospettica.
Il sistema delle luci L’illuminazione diffusa del nuovo piazzale in cemento e ciottoli è realizzata con luci (tipo Walki della iGuzzini 14W) incassate nel muretto che sorregge la scarpata erbosa verso il Lungotevere.
Questo determina una lunga e suggestiva scia luminosa. Sono inoltre stati posizionati dei fari luminosi unidirezionali che illuminano, da sotto, le chiome degli alberi più importanti, creando un alone di luce diffusa.
Il monumento sarà illuminato:
- con lampade di forma allungata ad incasso (tipo Linealuce della iGuzzini fluorescenti da 1260mm/28W e da 700mm/14W con ottica asimmetrica), poste a illuminare sia la lapide con i nomi, sia il muro, esaltandone la parte a sbalzo;
- con un sistema luminoso (tipo Powerled da 3,5W), collocato all’interno delle scanalature, delle putrelle e delle varie sconnessioni delle lastre, sia in orizzontale che in verticale.
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