RECINTI MURGIANI | Stefano Lorusso architetto

Altamura / Italy

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L’Alta Murgia è uno di quei luoghi che non cattura lo sguardo, se non quello proteso all’in-canto e alla profondità e, chissà, proteso anche alla ricerca di tutto quello che può custodire l’indifferente banalità di linee che segnano i confini dell’orizzonte. Con l’orizzonte l’Alta Murgia ha un rapporto del tutto particolare, in quanto nulla sembra contrastare la vista a chi la percorre a piedi, in bicicletta, in macchina o a cavallo. Non un fiume e neanche il più piccolo e nascosto ruscello l’attraversa, anche se le basse pareti di pietra che, infinite, si snodano accanto all’asfalto o ai tratturi, o delimitano i confini delle proprietà e dei recinti per le bestie, danno l’idea dello scintillio biancastro di acque che riflettono le traiettorie planetarie nelle notti d’estate. La “visita” ideale bisognerebbe farla sospesi in un aliante per rendersi conto degli snodi variabili di linee che si intrecciano e si susseguono, ora racchiuse come rughe, ora protese come le vene contorte e morbide dei vecchi. Alcuni boschi e, qua e là, grumi di macchia mediterranea che affiorano bassi sui crinali dell’altopiano, mentre i timidi tentativi di rimboschimento di conifere, subiscono il destino di una toppa il cui colore è diverso dal vestito su cui è cucita: il più delle volte stona a tal punto da farci rimpiangere il buco. Un paesaggio duro, ma anche delicato e puro, che estende i suoi colori e i suoi profumi su un’area in cui si riscontrano quasi tutti i maggiori fenomeni del carsismo, con centinaia di grotte e di inghiottitoi naturali. In questo scenario si dispongono e si confondono, senza distonie con l’ambiente circostante, le opere varie e complesse dell’ingegno e dell’arte contadina e pastorale, frutti di un lavoro secolare. Chilometri e chilometri di muri a secco, tratturi, trulli, splendidi jazzi e masserie, testimoniano un fenomeno di altissimo valore storico e culturale . RECIINTI MURGIANI vuol essere una sorta di “rilettura” di questi fenomeni. Recinti orizzontali come gli infiniti chilometri di muri a secco, o come gli splendidi jazzi vengono riletti come spazi espositivi all’aperto, come percorsi, addirittura come esperienze di land art. Le masserie invece diventano quinte scenografiche come la maestosa masseria fortificata di jesce. Viene quindi riletta la pianta, ciò che è fuori terra. Recinti verticali come le neviere “trasformate” in case (kejs come si direbbe in dialetto altamurano), scatole contenenti invece che neve, una teca espositiva. Recinti verticali come gli spazi ipogei che cinquant’anni fa erano dimore di contadini e di bestiame. La rilettura quindi avviene in sezione. Ed è proprio in uno di questi spazi ipogei che si svolge la mia esperienza progettuale. Una piccola architettura che faccia leggere un’architettura esistente. il piano di progetto è quello che lega i volumi fuori terra con lo spazio ipogeo. Un piano che si piega , si contrae, si espande senza mai toccare l’architettura esistente. Una esperienza progettuale quasi a proteggere ciò che l’uomo ha costruito in tanti anni. Un architettura del recinto quindi, che non si contrappone soltanto ai movimenti ma spesso si definisce su di essi e costruisce recinti per facilitarli ( movimenti interni, per esempio o passaggi attraverso aperture che il recinto prevede. La passerella che si poggia sulle pieghe e definisce un percorso interno è stata pensata volutamente senza parapetto perché in ogni momento lo spettatore può creare, nuovi percorsi, nuove esperienze o come parlerebbe Peter Zumthor, nuove atmosfere. Infine il ruolo dei lucernari che sostituiscono quelli esistenti con dei volumi di luce che penetrano nello spazio ipogeo. Le grotte trasformano lo spazio solido in un vuoto e sostituiscono l’oscurità con la luce. Le tavole sono state montate in orizzontale, per ricalcare l’orizzontalità del paesaggio murgiano. Inoltre ho cercato di riproporre quello che faceva Jackson Pollock con la sua action painting: ho immaginato il mio foglio come mezzo ettaro di terreno ed ho “versato”, ho seminato i miei recinti racchiudendoli in bande orizzontali dettate dalle varie unità di misura usate dai contadini (scarro,porca, praie) Chiudo con una frase di Tommaso FIORE: MI CHIEDERAI COME HA FATTO QUESTA GENTE A SCAVARE ED ALLINEARE TANTA PIETRA. IO PENSO CHE LA COSA AVREBBE SPAVENTATO UN POPOLO DI GIGANTI. QUESTA è LA MURGIA PIù ASPRA E PIù SASSOSA; PER RIDURLA A COLTIVAZIONE FACENDO LE TERRAZZE [...] NON CI VOLEVA MENO DELLA LABORIOSITà D’UN POPOLO DI FORMICHE.
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    L’Alta Murgia è uno di quei luoghi che non cattura lo sguardo, se non quello proteso all’in-canto e alla profondità e, chissà, proteso anche alla ricerca di tutto quello che può custodire l’indifferente banalità di linee che segnano i confini dell’orizzonte. Con l’orizzonte l’Alta Murgia ha un rapporto del tutto particolare, in quanto nulla sembra contrastare la vista a chi la percorre a piedi, in bicicletta, in macchina o a cavallo. Non un fiume e neanche il più piccolo e nascosto ruscello...

    Project details
    • Status Research/Thesis
    • Type Parks, Public Gardens / Urban Furniture
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