Concorso Ufficio ideale, gli spazi dell'accoglienza | Salvatore Samaritano

“Ninfalidi", sistemi modulari per l’arredo ufficio.

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“Dar forma a una durata è l’esigenza della bellezza, ma è anche quella della memoria […] c’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio […] nella matematica esistenziale questa esperienza assume la forma di due equazioni elementari: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria, il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio” Milan Kundera, La 1.Premessa senso di alienazione, un sentimento di astio e irrequietezza nei confronti di un qualcosa che non ci appartiene, che non sentiamo “nostra”, ci assale quando entriamo in un ufficio pubblico; anzi, nella pianificazione del nostro futuro, solo il pensiero di dover affrontare un impegno in un ambiente che non sia casa nostra, provoca in noi un senso quasi di angoscia che si riflette sui comportamenti sociali e sulla percezione che abbiamo del tempo. Se un utente ci sorpassa lungo la fila davanti ad uno sportello della posta o un operatore dell’anagrafe inizia a conversare con un collega infischiandosene della nostra attesa, improvvisamente la percezione che abbiamo del nostro tempo assume uno spessore e una densità diversa e ciò ci induce a modificare l’atteggiamento verso chi ci sta attorno e quindi le relazioni spaziali. Viceversa il tempo si contrae o si dilata secondo il tipo di emozioni che proviamo: quando si è felici e spensierati passa più in fretta e quando si è tristi o irritati sembra non passare mai. E’ nostra convinzione che le relazioni interpersonali si traducano fisicamente in relazioni spaziali (e la prossemica lo insegna), che le qualità in senso lato dello spazio (forme colori materiali) modifichino i modelli comportamentali e quest’ultimi, corrispondentemente, siano in grado di far percepire in maniera diversa le qualità dello spazio. In una concatenazione a doppio senso di cause ed effetti dunque, gli stati d’animo condizionano la percezione del tempo, la diversa percezione del tempo modifica quella dello spazio e quindi i modelli comportamentali del fruitore. Quando siamo fuori dal nostro “habitat” domestico ci sentiamo più vulnerabili, facilmente irritabili e questo, come abbiamo già sottolineato, condiziona negativamente la “naturalezza” del nostro atteggiamento nei confronti del mondo; tutto può diventare motivo di tensione e di disagio. Viceversa in un ambiente “familiare” ci rilassiamo e il tempo si dilata. Come riuscire dunque a dare significato al trascorrere del tempo? Solo nella creazione di una aspettativa si ha la possibilità di “giocare” col tempo dilatandolo o contraendolo, e questo si può ottenere segmentando lo spazio della durata di una visita di un ufficio in fasi successive ognuna delle quali assume, all’interno di una logica unitaria, un “carattere” diverso tale da condizionare le reazioni psicofisiche dell’utente e indurlo alla concitazione o alla rilassatezza. La durata della visita è suddivisa in tre tempi: La prima accoglienza (informazione, immediatezza, visibilità) L’attesa (lentezza, il tempo non ha più tempo, scelta) Il dialogo utente-operatore (velocità, efficienza, il tempo riacquisisce la sua qualità di tempo) A queste tre fasi corrispondono tre oggetti i quali esprimono ognuno una diversa condizione del tempo immaginario. Abbiamo associato la linea obliqua alla dinamicità (il tempo si contrae) e la linea orizzontale alla staticità (il tempo si dilata): nella fase della prima accoglienza la prevalenza delle linee oblique esprime la condizione del tempo concitato, il concetto dell’ immediatezza; nella fase dell’attesa la prevalenza delle linee orizzontali esprime la condizione del tempo rallentato. Il volo di una ninfalide assurge a simbolo del trascorrere del tempo: nella prima fase essa sta arrivando, nella seconda si è posata per poi riprendere il volo liberamente diventando icona del terzo ed ultimo momento, quello del dialogo utente-operatore, e forma del desk. 2. Prima accoglienza e attesa: costruire il proprio spazio In che modo far sentire “a casa” l’utente che trascorre una parte del proprio tempo in un ufficio pubblico? L’abate Laugier nel suo Essai sur l’architecture (1753) postulava una architettura applicabile universalmente a partire da una forma originaria, la “capanna primitiva” dei primordi, che consisteva in quattro tronchi d’albero che sorreggevano un tetto a falde: questa è, in effetti, la figura che si ritrova persino nei disegni di un bambino perché tale è l’idea (in senso platonico) di una casa, tale cioè, è l’immagine impressa nella coscienza collettiva. Lo spazio della casa è, nella memoria tramandataci dalle generazioni precedenti, lo spazio dell’intimità, lo spazio segreto, il rifugio, la caverna primordiale. A partire da queste considerazioni ci si propone di indagare la possibilità di instaurare un rapporto empatico tra l’utente e l’ambiente dell’ufficio ricreando un’atmosfera di “domesticità” in grado di mettere a proprio agio il fruitore attraverso la forza simbolica dell’immagine archetipa della casa. Si è pensato dunque di far riferimento all’archetipo-casa nei suoi elementi costitutivi essenziali ovvero sostegni e orizzontamento, elementi portanti e portati, pareti e soffitto, e di tali elementi si è deciso di assumere quello verticale come necessario a creare un ambito spaziale più ristretto in cui ritrovare una propria intimità, un ambiente accogliente perché capace di ricordare una casa dissimile da ogni casa reale ma proprio per questo potenzialmente simile alla casa di ognuno di noi. L’elemento del trilite così decomposto (l’elemento visivo verticale) diventa materico, proiezione bidimensionale di un microcosmo in cui oggetti come un televisore e un vaso da fiori diventano allusivi di un comfort domestico. In questo modo, come le bucature in un prospetto, la parete ospita arredi essenziali come le sedute, lo scrittoio e una mensolina porta oggetti che, incassati nello spessore della parete, possono essere all’occorrenza ribaltati. L’informazione è offerta tramite il personale di prima accoglienza e un touch screen anch’esso incassato nella parete. Il singolo pannello è costituito da una cornice lignea (Medium Density impiallacciato in frassino verniciato al naturale) che assume la sagoma della “casa”. All’interno di essa il tamponamento è realizzato con una struttura in lega di alluminio a finitura cromo lucida che sorregge un sistema di doghe in frassino. Tali pannelli possono essere assemblati tra loro incernierandoli lungo i lati e, con questo meccanismo, i sistemi così ottenuti consentono di ottenere svariate configurazioni in funzione dello spazio a disposizione dando la possibilità anche all’utente di potersi scegliere o, potremmo dire, “costruirsi” il proprio habitat. Essi sono previsti di tre altezze per adattarsi ad ambienti diversi: centimetri 200, 250 e 300. Nell’accorpamento di più box si vuole riproporre un ideale paesaggio urbano. 3. Lo spazio di front-office: il rapporto confidenziale utente-operatore Il motivo della ninfalide diventa dominante nel momento del colloquio tra utente e operatore concretizzandosi nella forma del desk: questo è costituito da piedi e accessori in lega di alluminio cromo lucidi, un elemento centrale costituito da una scatola in lamierino laccato contenente i cavi, ispezionabile attraverso due ribaltine in Medium Density bilaminato (colore a scelta tra bordeaux e blu) e da due top in Medium Density impiallacciato in frassino verniciato al naturale. Si è scelto di porre i due top (utente e operatore) alla medesima altezza dal piano di calpestio affinché non si crei alcun distacco gerarchico tra i due evitando di intimorire la figura dell’utente. La morfologia del top, grazie ad una concavità bilaterale, assicura un avvicinamento reciproco con un dialogo faccia-faccia, consentendo altresì un dialogo ancora più confidenziale, ed è tale che la sua componibilità con altri top consente l’utilizzo di questo singolarmente o in libere configurazioni lungo la diagonale.
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    • Year 2003
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