Dominus Winery, Yountville, California
Yountville / United States / 1997
55
Il paesaggio californiano a nord di San Francisco, nella Napa Valley, caratterizzato da distese di viti (è una delle prime regioni vitivinicole degli USA) e circa 250 cave di basalto, un terreno vulcanico rossastro che diviene quasi nero con le abbondanti piogge annuali, sono il contesto su cui sorge l’originale progetto delle cantine Dominus dei due architetti svizzeri.
Herzog e De Meuron hanno qui realizzato un edificio basso ed orizzontale che, se non fosse per poche rare aperture profonde, ha un’apparenza quasi monolitica, ma nasconde un’idea semplice, dal sapore arcaico ed innovativa al contempo.
La pietra locale, il basalto grigio, diviene, nonostante la sua massività, elemento di solo rivestimento/chiusura di una struttura mista di tipo puntuale, in alcune parti cementizia ed in altre in acciaio. L’involucro è costituito da gabbioni metallici (simili a quelli autostradali), i cui moduli parallelepipedi in cui essi sono divisi inglobano blocchi informi di basalto, le cui dimensioni e la cui densità variabili provocano un effetto di rarefazione della materia dal basso (più impaccato) verso l’alto (più poroso).
Questo perimetro di apparente chiusura alternativamente assume la funzione di cortina divisoria tra interno ed esterno (ove gli interni sono gli spazi di distribuzione aperti-coperti) oppure la funzione di vero e proprio rivestimento di facciata, ricoprendo le pareti di c.a. delle cantine e dei depositi al chiuso e conservando, ingenerale, un microclima adeguato all’interno dei rispettivi spazi.
Ogni modulo dei gabbioni misura cm 360x50x50 e, oltre che a ripartire il carico dei blocchi di basalto e le sollecitazioni del materiale incoerente, serve anche a dosare la pietra secondo l’altezza del “muro” per poterne ottenere differenti effetti di luce e di ventilazione. Per quanto qui il materiale lapideo venga impiegato nel modo meno tecnologicamente innovativo possibile (cioè allo stato grezzo), il concetto insito nello specifico abbinamento al metallo, che lo contiene (quasi fosse un nuovo“composito”, tra l’agglomerato ed i pannelli sandwich), e nella modulazione della massività, si può leggere come segno di una nuova antropizzazione, come fu nell’antichità per i massi informi delle mura ciclopiche, che,differentemente dalle caverne naturali, evidenziavano la presenza di un ordine razionale umano.
Le sfaccettature dei massi filtrano qui la luce in modo particolarissimo e variabile secondo i livelli, molto più sfaccettato e “random” dei muri “ordinati” di Kuma ed Höger-Hare, dando l’impressione, con la luce diurna ed il forte sole californiano, che, al posto dei massi di basalto, vi siano dei cristalli riflettenti.
Il paesaggio ha fornito ai due architetti gli strumenti basilari – il materiale ed il contesto – per realizzare un’idea originale, che contemporaneamente richiama elementi naturali, costruzioni primordiali e luci inusitate.
Ciò che viene fuori, in pratica, da un semplice accostamento ed inglobamento del naturale ad un moderno nemmeno tecnologicamente troppo avanzato, è qualcosa di completamente nuovo che, contemporaneamente, si identifica ai vari livelli con il materiale costruttivo, con l’elemento costruttivo e con l’architettura stessa, che ne è, così,completamente caratterizzata. Inoltre, questo progetto è segno che l’innovazione, anche laddove la tecnologia non venga sfruttata nelle sue più estreme ed esplicite conseguenze, può sorgere da un’idea semplice e può aprire la strada, servendosi poi anche di tecniche più sofisticate, a sperimentazioni originali ed inedite, basate, come nei progetti visti immediatamente prima, sull’ambiguità leggero/pesante e sulla de-materializzazione della solidità originaria della pietra, e che qui,da realtà massiva, portante e attiva del costruire tradizionale e del suolo californiano stesso, paradossalmente si trasfigura in rivestimento ed interfaccia passivo.
Qui il linguaggio architettonico non nega la realtà lapidea pesante ma la stravolge, da elemento di sostegno ad elemento sostenuto, da elemento di chiusura a filtro osmotico, con un’indubbia identità sfaccettata, ancora molto da sperimentare con tutti i materiali e le tecnologie possibili.
Herzog e De Meuron hanno qui realizzato un edificio basso ed orizzontale che, se non fosse per poche rare aperture profonde, ha un’apparenza quasi monolitica, ma nasconde un’idea semplice, dal sapore arcaico ed innovativa al contempo.
La pietra locale, il basalto grigio, diviene, nonostante la sua massività, elemento di solo rivestimento/chiusura di una struttura mista di tipo puntuale, in alcune parti cementizia ed in altre in acciaio. L’involucro è costituito da gabbioni metallici (simili a quelli autostradali), i cui moduli parallelepipedi in cui essi sono divisi inglobano blocchi informi di basalto, le cui dimensioni e la cui densità variabili provocano un effetto di rarefazione della materia dal basso (più impaccato) verso l’alto (più poroso).
Questo perimetro di apparente chiusura alternativamente assume la funzione di cortina divisoria tra interno ed esterno (ove gli interni sono gli spazi di distribuzione aperti-coperti) oppure la funzione di vero e proprio rivestimento di facciata, ricoprendo le pareti di c.a. delle cantine e dei depositi al chiuso e conservando, ingenerale, un microclima adeguato all’interno dei rispettivi spazi.
Ogni modulo dei gabbioni misura cm 360x50x50 e, oltre che a ripartire il carico dei blocchi di basalto e le sollecitazioni del materiale incoerente, serve anche a dosare la pietra secondo l’altezza del “muro” per poterne ottenere differenti effetti di luce e di ventilazione. Per quanto qui il materiale lapideo venga impiegato nel modo meno tecnologicamente innovativo possibile (cioè allo stato grezzo), il concetto insito nello specifico abbinamento al metallo, che lo contiene (quasi fosse un nuovo“composito”, tra l’agglomerato ed i pannelli sandwich), e nella modulazione della massività, si può leggere come segno di una nuova antropizzazione, come fu nell’antichità per i massi informi delle mura ciclopiche, che,differentemente dalle caverne naturali, evidenziavano la presenza di un ordine razionale umano.
Le sfaccettature dei massi filtrano qui la luce in modo particolarissimo e variabile secondo i livelli, molto più sfaccettato e “random” dei muri “ordinati” di Kuma ed Höger-Hare, dando l’impressione, con la luce diurna ed il forte sole californiano, che, al posto dei massi di basalto, vi siano dei cristalli riflettenti.
Il paesaggio ha fornito ai due architetti gli strumenti basilari – il materiale ed il contesto – per realizzare un’idea originale, che contemporaneamente richiama elementi naturali, costruzioni primordiali e luci inusitate.
Ciò che viene fuori, in pratica, da un semplice accostamento ed inglobamento del naturale ad un moderno nemmeno tecnologicamente troppo avanzato, è qualcosa di completamente nuovo che, contemporaneamente, si identifica ai vari livelli con il materiale costruttivo, con l’elemento costruttivo e con l’architettura stessa, che ne è, così,completamente caratterizzata. Inoltre, questo progetto è segno che l’innovazione, anche laddove la tecnologia non venga sfruttata nelle sue più estreme ed esplicite conseguenze, può sorgere da un’idea semplice e può aprire la strada, servendosi poi anche di tecniche più sofisticate, a sperimentazioni originali ed inedite, basate, come nei progetti visti immediatamente prima, sull’ambiguità leggero/pesante e sulla de-materializzazione della solidità originaria della pietra, e che qui,da realtà massiva, portante e attiva del costruire tradizionale e del suolo californiano stesso, paradossalmente si trasfigura in rivestimento ed interfaccia passivo.
Qui il linguaggio architettonico non nega la realtà lapidea pesante ma la stravolge, da elemento di sostegno ad elemento sostenuto, da elemento di chiusura a filtro osmotico, con un’indubbia identità sfaccettata, ancora molto da sperimentare con tutti i materiali e le tecnologie possibili.
55 users love this project
Enlarge image
Il paesaggio californiano a nord di San Francisco, nella Napa Valley, caratterizzato da distese di viti (è una delle prime regioni vitivinicole degli USA) e circa 250 cave di basalto, un terreno vulcanico rossastro che diviene quasi nero con le abbondanti piogge annuali, sono il contesto su cui sorge l’originale progetto delle cantine Dominus dei due architetti svizzeri.Herzog e De Meuron hanno qui realizzato un edificio basso ed orizzontale che, se non fosse per poche rare aperture profonde,...
- Year 1997
- Work finished in 1997
- Status Completed works
comment