CONTRACT ITALIA: it's time to fly together

Mercato in crescita. In Italia però le aziende non fanno gruppo per proporsi a livello internazionale. Alcune sono in ascesa perché hanno la forza di una divisione contract

by Monica Botta
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«Male, perché ne facciamo pochissimo. È un problema atavico. Non che non se ne faccia, ma potremmo fare meglio, soprattutto nel settore alberghiero. Per problemi di costi, strutture aziendali, dimensione, mancanza di collaborazione tra aziende e mancanza di sostegno».

Inizia così questa inchiesta sul contract, con la risposta alla domanda su come si posizioni questo settore nel mercato internazionale. A rispondere, Massimo Grassi (MatteoGrassi S.p.A.), referente di ICDI - Italian Contract Design Industy, l’associazione nata due anni fa e che ha il compito di veicolare le aziende italiane verso questo settore. «Facciamo tantissima fatica a essere competitivi», - continua Grassi - «a essere chiamati a partecipare a gare, perché la maggior parte delle nostre aziende sono molto piccole e oggi nel mondo ci sono contract di grandi dimensioni, sia per quanto riguarda il settore alberghiero sia per quanto riguarda l’edilizio. Siamo molto bravi nel dettaglio, quando viene consultato l’architetto di turno, ma purtroppo dove si fanno veramente i soldi e i numeri noi italiani…manchiamo».

Le ragioni? «Abbiamo tutte le caratteristiche per poterci proporre al mercato internazionale, però nel contract esistono gruppi che sviluppano fatturati di centinaia di milioni di euro perché riescono a lavorare su progetti chiavi in mano, completi, anche su appalti tecnici, infrastrutturali, non legati solo agli alberghi. Il contract italiano ne fa solo una parte; non facciamo grosse azioni di marketing a livello di sistema. E tutto quello che è il marketing è lasciato alla ditta singola, che seppur grande a livello nazionale, è microscopica su base internazionale », dice ancora Grassi.

L’IMPORTANZA DI FARE SQUADRA

In Italia, si evince dalle sue parole, non c’è predisposizione a creare associazioni temporanee di impresa. Questo porterebbe le aziende ad avere la forza di proporsi, di essere competitive con le realtà internazionali del contract come fanno gli americani o i nostri vicini di casa austriaci e i tedeschi, che conoscono le strategie del mercato e hanno supporti statali.

Un’azione di marketing costante e non a spot, potrebbe mettere i riflettori su questo settore, che è in forte crescita, nonostante il periodo turbolento che stiamo affrontando.

«Pur avendo la capacità del fare, non siamo in grado di portare a casa la commessa. Con il mercato del contract, potremmo salvare molte compagini italiane da questo momento di crisi. Alcune aziende che hanno strutturato una divisione contract, avendo credibilità» esperienza e potendo garantire i tempi e la qualità, possono vincere appalti per poter far lavorare molte piccole aziende artigianali, che hanno capacità di fare il prodotto ma non di acquisire grandi progetti», dice Giovanni Anzani, presidente di Assarredo nonché Amministratore Delegato del gruppo Poliform.

Il contract è un obiettivo importante per salvare una cultura delle piccole imprese, soprattutto in un momento come questo. La qualità esportata può diventare la sopravvivenza delle aziende, se si riesce a fare gruppo. Ed è proprio da una profonda analisi del momento contingente che un progetto presentato a livello governativo prevedeva di aiutare attraverso il sistema contract la ricettività italiana e i lavoratori di aziende in difficoltà.

Anzani ci spiega che «...agli enti governativi era stata fatta una proposta: “rottamare” le nostre strutture alberghiere e, al posto di pagare la cassa integrazione ad alcune aziende, operare per migliorare l’ospitalità degli alberghi italiani. Questo perché gli standard europei e internazionali si stanno alzando sempre più e purtroppo noi abbiamo molte strutture fatiscenti, non tutte all’altezza delle richieste internazionali. Per portare il turismo di livello in Italia, è necessario migliorare i servizi e la ricettività. Questa proposta permetteva di farlo a costi bassi». Questa interessante idea aveva lo scopo di aiutare il settore migliorandolo e di creare occupazione e attenzione verso la produzione italiana di qualità, in questo momento in forte discussione. 

I DUE LIVELLI DEL CONTRACT

Una visione chiara del problema italiano - certamente dettata da uno spirito aziendale che il mondo del contract lo conosce bene e lo “pratica” da anni - è quella di Roberto Barbazza, Sales & Marketing Manager della divisione contract di B&B Italia. Per capire questo settore e il suo mercato in Italia, è importante fare un distinguo riguardo alle aziende che vi si rivolgono. ( contract B&B per Mandarin Oriental, Barcelona, W Retreat & Spa )

«Il mercato del contract è spaccato su due livelli: il primo si occupa con un’attenzione particolare di progetti che hanno contenuti qualitativi molto elevati: aziende che hanno struttura ed esperienza per affrontare commesse considerevoli, con impegni finanziari alti, e quindi parliamo di pochissime realtà in Italia. Poi esiste un secondo livello che si interessa di hotellerie e - pur occupandosi di hotel a cinque stelle - ha progetti qualitativi meno elevati con fatturati derivanti dal, e attenti al, numero di progetti. Le aziende del primo livello sono di settore alto; non producono niente ma coordinano le attività tecniche e di producement presso terzi e di istallazione presso cantieri».

 

Ecco quindi la forte differenziazione. Vincenti sono le grandi aziende che hanno saputo negli anni affrontare il progetto e non solo la produzione del prodotto. Per citare una frase di  Roberto Moroso, tratta da una intervista di qualche tempo fa: «In Italia c’è cultura del prodotto, ma bisogna innamorarsi della cultura del progetto».

Le aziende italiane che hanno una divisione contract da tempo, o che hanno capito l’urgenza di strutturarsi per rivolgersi al mercato internazionale, sono quelle che non hanno sentito troppo questo momento di difficoltà. Fare contract significa pensare al progetto a 360° e non a vendere item. Se le grandi aziende possono permettersi, grazie alla lungimiranza e la capacità imprenditoriale, di spostare importanti investimenti economici verso questo settore ed essere conosciute nei mercati internazionali, le piccole e le medie imprese, invece, pur avendo un prodotto di qualità, non riescono e non hanno la forza di proporsi da sole.

Nelle gare internazionali, la committenza non spezza le attività in più suppliers, ma richiede un general contractor; quindi la forza è quella di riuscire a rispondere con coesione o con una struttura interna all’azienda che sappia far fronte a progetti imponenti dove gli attori sono molteplici.

IL PUNTO DI VISTA DEI FRUITORI

Due punti di vista chiariscono meglio i meccanismi e i sistemi del contract. Da una parte abbiamo raccolto il punto di vista delle aziende che lo praticano, gestendo grandi commesse per la realizzazione di hotel, centri congressi, resort. Dall’altra abbiamo intervistato chi del contract usufruisce per la gestione dei suoi brand.

Alan Mantin Senior Development Director Southern Europe & Africa Hilton Worldwide, ci ha spiegato i processi del contract quando si parla di questa catena alberghiera. . L’approccio di Hilton verso questo settore è distinto per i suoi sei marchi che vanno dal lusso alla cosiddetta fascia economica. Il modo di fare contract cambia in base alla fascia. E cioè, quando l’albergo è dedicato al business, con un brand di livello più economico, il contract è fortemente ingegnerizzato.

Gli studi di design che se ne occupano sono interni a Hilton, e indirizzano il progetto, che verrà poi sviluppato in partnership con lo studio del posto. Questa fascia ha una progettazione che definisce degli elementi rigidi, di forte riconoscibilità del marchio, con elementi di arredo standard, ma che lascia spazio alla personalizzazione delle aree pubbliche. Pur avendo dei modelli precisi, che introducono sempre lo stesso tipo di sedia piuttosto che di materasso, è consentito inserire degli elementi realizzati ad hoc da aziende locali.

«Salendo di fascia abbiamo un team di architetti e di interior designer interni che, in affiancamento agli studi di progettazione scelti dalle varie proprietà, controllano che ciascun progetto sia attinente alle specifiche dettate da ciascun brand. In ogni Paese la realtà Hilton ha aziende di riferimento cui rivolgersi, che vengono coinvolte in via preferenziale, in quanto è comprovata la loro capacità di trasferire quanto il team di progettisti vuole per gli specifici marchi».

Alan Mantin ci spiega poi che, per quanto caratterizzati, tutti prodotti possono essere realizzati localmente nelle sedi in cui si va a costruire o ristrutturare un albergo. A parte alcuni item, che sono di riconoscibilità del marchio, tutto può essere realizzato su misura. Invece, sui prodotti di fascia alta, si lavora molto sulla creatività, abbandonando il prodotto di serie per una scelta più oculata e dal design originale.

La scelta delle aziende per la fornitura contract spesso è dettata dal progettista, ci spiegano dal Gruppo Palenca Luxury Hotel, che conferma che le catene alberghiere italiane di alta gamma, seppur di contenute dimensioni, si rivolgono al mercato del contract passando quasi sempre attraverso la consulenza del progettista.

LA SFIDA GLOBALE

Attorno a un progetto contract ruotano dalle 30 alle 50 aziende che si possono occupare della produzione degli imbottiti come degli impianti, del dettaglio tecnico come del componente artistico. Alcune aziende nazionali che fanno contract da tempo non producono niente, ma hanno la forza e la capacità di sviluppare e ingegnerizzare idisegni dell’architetto, reperire le aziende produttrici specifiche per quel materiale e farlo in outsourcing.

Gli oggetti e gli arredi che andranno all’interno di grandi alberghi, stazioni, aeroporti o complessi residenziali, possono essere scelti direttamente dalle collezioni delle aziende produttrici, basta che rispondano alle normative ed essere oggetti contract. Ciò nonostante il processo di realizzazione di un progetto ha solo il 10% di prodotti da catalogo, il resto viene progettato e realizzato ad hoc. Da qui il successo delle aziende che riescono a coordinare anche all’estero la produzione di prodotti che sono stati progettati da designer, architetti o ingegneri.

Il nostro Paese è leader nella produzione di prodotti per la fascia alta di mercato. Il mercato italiano è indirizzato verso un contract che gestisce principalmente progetti navali, di hospitality, residenziali, di uffici, aeroportuali e di centri benessere.

«Non c’è un Paese straniero che non ami il Made in Italy o che non guardi all’Italia come sinonimo di qualità; certo è che più si va lontano più è difficile. Il mercato russo e il mercato del nord Africa, per esempio, si stanno sviluppando molto. Anche i Paesi del Golfo Persico, come Abu Dhabi, Qatar, Barhein, stanno facendo grossissimi investimenti dal punto di vista del settore dell’hotellerie. Tutto il sud est asiatico e la Cina, infine, sono Paesi che non si possono dimenticare», fa presente Massimo Grassi.

 

Barbazza conferma l’importanza dei Paesi emergenti: la Russia è uno dei mercati in maggiore espansione e acquista molti prodotti italiani, mentre altre realtà, come ad esempio il mercato indiano, hanno una diversa percezione del prodotto di qualità.

Stessa opinione per Anzani: alcuni mercati sono difficili da “portare a casa” perché «… ci sono Paesi che non hanno la cultura della qualità. Certi colgono i requisiti di unicità, altri hanno solo bisogno di contenere i costi, optando quindi per standard qualitativi bassi».

Le previsioni dell’indotto del contract per il 2011 sono positive, nonostante le perplessità di Grassi, anche se non si hanno numeri vista la sensibilità dei dati. «È un settore in crescita, di cui vedo le potenzialità.

La mia perplessità riguarda il fatto che il fatturato potrebbe crescere in maniera esponenziale, ma invece aumenta solo di qualche punto percentuale perché manca di struttura». Preoccupazioni condivise anche dagli altri intervistati, che vorrebbero vedere il settore diventare trascinante per la nostra economia.

È pur vero che la qualità e la professionalità del Made in Italy sono valori indiscussi. Però forse ci siamo gongolati troppo sul prodotto finale, affinando tecniche di produzione e di dettaglio, a scapito di un marketing vincente e di una progettualità che miri a fare gruppo, e a sapersi imporre sui mercati internazionali attraverso logiche produttive e di vendita attuali.

Le generazioni di giovani imprenditori che hanno preso il testimone aziendale dai loro genitori sono riusciti pochissimo o solo in parte a gestire e a evolvere l’imprenditorialità in tal senso in questo millennio. Il mercato del contract è una delle tante finestre aperte per vedere quanti hanno saputo aderire a dinamiche mondiali, che non possono più far conto solo su una produzione locale o su un acquirente nazionale, ma devono lavorare con un respiro globale. E qualche azienda italiana questo l’ha capito bene.

Certo è che il momento contingente di difficoltà del nostro Paese, un sistema istituzionale in recessione, una - da sempre - difficoltà a ottenere finanziamenti e fondi, non aiutano l’imprenditoria italiana; tantomeno quella del contract che deve affrontare anche legislazione, contrattualità e gestione di imponenti progetti nel resto del mondo. 

Approcciare al mercato internazionale significa avere in mano la regia del binomio progetto - imprenditoria.

Le forniture per grandi cantieri, le commesse dall’altro capo del mondo - per essere supportate, gestite, ma soprattutto per essere “accalappiate” - devono prevedere una struttura a sistema.

Obbligatorio fare squadra, strutturarsi, scendere in campo coesi per ottenere vittorie non solo per la qualità della produzione - nostro indiscutibile valore aggiunto - ma per la capacità di gestione strategica del progetto.

Le forniture per l’arredo di un complesso residenziale, un villaggio turistico, un hotel nel Barhein o a Hong Kong, possono essere l’argano per risollevare aziende che hanno una produzione di qualità.

In un momento in cui l’economia mondiale è in sofferenza, il mercato delle grandi commesse è in fermento. L’imperativo, non solo morale, è avere il coraggio di proporsi e imporsi oggi. Di volare.

 

(inchiesta  su 2MORROW nr.3 - 2011) 

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    Mandarin Oriental, Barcelona

    Barcelona / Spain / 2010

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    Vieques Island / Puerto Rico / 2010