Ritorno al futuro di un architetto

Della vita degli architetti prima dell'avvento della tecnologia moderna

by Marco D'Andrea
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Qualche mattina fa come al solito mi siedo alla mia scrivania per iniziare a lavorare, controllo l’agenda, accendo il comput…accendo il…computer non si accende. Panico. Il mondo che fino a un secondo fa mi aveva sorriso regalandomi tramonti struggenti, arcobaleni cavalcati da unicorni, gente sempre felice e pace nel mondo si era trasformato in una landa desolata popolata di lupi, lo schermo rifletteva in scuro la sagoma della mia testa, i circuiti interni avevano deciso di organizzare un silenzioso sit-in nei miei confronti, in parole povere il mio lavoro, anzi i miei lavori, progetti, documenti e via dicendo erano prigionieri dell’argenteo monolite. Già mi vedevo a rompere il pavimento della cantina con una mazza da cantiere per dissotterrare la cassa dove ho rinchiuso la mia vecchia attrezzatura da disegno (ringrazio Keanu Reeves in “John Wick” per l’opportunità di usare questa immagine come citazione).

In realtà la tragedia è durata solo una giornata, 24 ore durante le quali mi sono posto dei quesiti pseudo-esistenziali sulla caducità della vita e sui limiti della nostra condizione umana sempre più legata a doppio filo usb alla tecnologia.
Così, mentre attendevo di riabbracciare il mio cibernetico aiutante mi sono tornati alla mente gli anni di università, quando i primi timidi tentativi accademici di avvicinarci all’informatica erano molto limitati rispetto alla progettazione analogica, insomma la vecchia carta e penna (pennino, china, matita e via dicendo).

Sono convinto che molti di voi si rivedranno nelle parole che seguono, perciò non posso che dire “Amici, designer, prestatemi orecchio”.

IL CONTROLLO DEL MATERIALE

I primi ricordi chiari di progettazione risalgono ai tempi del liceo artistico. Ricordo ancora con un fremito di terrore le lezioni di disegno tecnico, quando il professore alzatosi col piede sbagliato esordiva con un barbarico “CONTROLLO MATERIALE!” ovvero la verifica militaresca che noi sbarbatelli avessimo tutti gli strumenti da disegno ben allineati davanti a noi, un’immagine che mi ricorda vagamente il capolavoro “La Grande Fuga”, solo che il ruolo del recidivo fuggitivo Steve McQueen era interpretato una volta dalla gomma per la china, un’altra dal righello e via dicendo. Nessuna fucilazione prevista in caso di colpevolezza ma spietate raffiche di 4 in pagella accompagnate dagli improperi lanciati con tono baritonale del gargantuesco professore.

IL MULTITASKING

Un altro flashback legato a quanto sopra è quello che definirei “multitasking analogico”. Ciò che sullo schermo di un computer è rappresentato da diverse finestre aperte, davanti a me studente di liceo si materializzava su due – dico due – tavoli da disegno contigui. Il foglio davanti a me, riga e squadre a destra, gomma a sinistra, un assetto che mi rendeva più simile ad un dj che si destreggia da un piatto all’altro della console, mancava solo l’impianto audio e luci adatto.

L’IMPORTANZA DI RIMANERE LUCIDO

Inteso non tanto come concentrazione da dedicare al progetto, ma ai fogli da lucido, quei particolari fogli in materiale plastico semi opaco che noi architetti usavamo e usiamo tutt’ora. Quello che sul computer si risolve aggiungendo un layer (un livello) con un tasto, per verificare la sovrapposizione dei diversi piani, nel mondo analogico si riassumeva in: srotolamento di immensi fogli sul tavolo, fissaggio allo stesso con N pezzi di scotch antistrappo, disegno con pennini a china di diverso spessore che viaggiavano lungo i bordi di squadre da disegno schiacciate con forza contro il foglio per evitare sbagli e sbavature, che venivano eliminati utilizzando una lametta da barba per grattare l’inchiostro in eccesso con la leggiadria di un maestro zen, tenendo conto che se si fosse bucato il foglio per l’eccessivo raschiamento la nostra zenitudine avrebbe lasciato spazio al più becero imprecatore genere pensionato che perde a briscola.

MATITE DI UN CERTO SPESSORE

La matita è lo strumento re del disegno a mano, utilizzata per disegni e progetti terrestri, nello spazio come strumento di scrittura dagli astronauti russi (mentre gli statunitensi schieravano orde di ingegneri per creare una penna che funzionasse a gravità zero, con un sistema che spingesse l’inchiostro fuori dal pennino).

2F, F, 2H, H, HB, 2B non sono tentativi di affondare l’incrociatore di battaglia navale ma alcuni dei codici che indicano la durezza delle matite, di norma passando dalla più dura per segni di precisione alle più morbide per definizione degli spessori maggiori.

Bellissimo strumento che ha lasciato un grande segno nei nostri cuori di disegnatori e grandi sbavature di grafite sui fogli da lucido e sul lato inferiore delle nostre mani.

STRUMENTI DA DISEGNO FANTASTICI E DOVE TROVARLI

Se la matita è il re della giungla degli strumenti del progettista i suoi cortigiani non sfigurano di certo per originalità. Attrezzi di creazione di massa dalle più svariate forme e funzioni, così tanti che ne cito solo alcuni come le mascherine di plastica trasparente sulle quali erano incise le sagome di arredi e sanitari, oppure il curvilinee, uno strumento probabilmente nato dall’incubo di un liutaio del 1500 per creare appunto linee sinuose.

E concludiamo questo punto con un dispositivo amato e odiato: il retino da disegno, fogli adesivi di diversi colori e grafiche, tanto costosi per il portafoglio quanto odiosi per chi li utilizzava. Si staccavano con estrema difficoltà, una volta incisi con il taglierino 9 volte su 10 si strappavano, in compenso erano tipetti affezionati, ritrovavi i loro pezzetti per settimane, tra i fogli, nello zaino, nelle scarpe. E pensare che ora basta un click senza rischiare di tagliarsi mezzo dito o senza appiccicosi avanzi.

DA MODELLO REALE AL VIRTUALE

Ormai tutti o quasi sanno cos’è un render, una immagine più o meno realistica di un oggetto o uno progetto realizzata al computer. Immagini che richiedono grande maestria e mi limito a dire ciò evitando dettagli tecnici poco interessanti per i non addetti ai lavori. Basti sapere che al contrario di quanto sia il sentito comune non è sufficiente “schiacciare un bottone” ma curare diversi dettagli, un lavoro certosino che richiede ore di attento lavoro. Potremmo allora dire “beati i vecchi tempi andati” dunque? Dipende, se alla sana carnagione color bianco smunto e gli occhi rossi dovuti all’esposizione prolungata davanti allo schermo preferite le dita per metà incollate tra loro e per l’altra metà mezze tagliate da taglierini troppo esuberanti sotto le poche dita sane rimaste ma stanche di ritagliare elementi architettonici infinitesimamente piccoli.

Ad ogni modo la realizzazione di plastici resiste, sia nei corsi accademici che in ambito professionale, con studi specializzati che li producono per architetti o studenti svogliati ma dal portafoglio spesso.

Insomma, facce da zombi con occhi rosso pompeiano o mani rovinate come un fabbro di Manchester negli anni ’50, ognuno sceglie la sua tortura. Personalmente ho optato per una scelta borderline, render per i miei progetti intervallati da castelli di principesse, torri multicolore e improbabili mezzi di trasporto realizzati in mattoncini Lego con le mie figlie.

Questo decisamente non è tutto, ma anche solo con questi pochi aneddoti sono certo di avere intaccato la superficie dei ricordi di molti di voi, quindi non vi resta che condividere le vostre esperienze e arricchire questo racconto che fa parte della vita di tutti noi del mondo del design!

 

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    • Marco D'Andrea

      Marco D'Andrea

      Architect

      Milan / Italy

      MARCO D’ANDREA Architecture+Interior Design is an italian architectural practice based in Milan. We realize residential and commercial spaces with a keen eye for a neat style combined with a creative twist. The use of high-quality materials and attentive colors palette is the key to find the real essence of any space, being always respectful to our client’s identity.)