Da sempre la conformazione della città si lega ai modelli produttivi prevalenti nelle varie epoche storiche. Dietro la struttura di un centro urbano c’è il principio che questo sia funzionale alle attività che in esso si svolgono.
La città medievale, ad esempio, aveva la caratteristica di essere fortificata, chiusa totalmente rispetto al territorio circostante da alte mura. Questo avveniva, non perché a quel tempo erigere mura fosse semplice, ma per difendere la città dai nemici. Ciò che veniva difeso era una serie limitata di servizi, che la città non poteva permettersi di perdere. C’era inoltre un regime autarchico, legato al modello agricolo, che permetteva l’autosufficienza nonostante la chiusura verso l’esterno.
Molti anni dopo si è affermata la città moderna, la cui conformazione si legava al modello industriale. Il concetto alla base della pianificazione della città era lo zoning, cioè il dividere il territorio in macro aree, ognuna con una funzione precisa. Le funzioni venivano segregate in zone diverse, senza possibilità di intrecciarsi.
La città contemporanea, invece, si basa sull’informazione e presenta una società completamente diversa dalla precedente, dove i dati viaggiano veloci e le distanze sono totalmente azzerate. Nella produzione di qualsiasi bene attuale l’informazione svolge un ruolo prevalente. Non a caso la popolazione si occupa più che altro dei beni terziari.
Ciò che è cambiato, tra le altre cose, è il concetto di tempo.
L’idea di tempo nella città industriale era legata alla rotazione. Il tempo era organizzato in fasi, scandite dalle lancette dell’orologio. Il momento dell’entrata in fabbrica, quello della pausa, quello dell’uscita: tutto si ripeteva, eterno e regolare. Esistevano fasi nettamente distinte a cui corrispondevano spazi diversi.
Nella società odierna il concetto di tempo è frantumato. Non esistono più le fasi regolari, ma il tempo si manifesta come un momento unico, in cui possono avvenire più processi contemporaneamente.
Simbolo della città moderna era l’automobile, necessaria per spostarsi da una parte all’altra della città e quindi da una funzione all’altra. La città contemporanea, invece, trova la sua icona nel computer, che è sia il prodotto simbolico che il modello di azione della società.
Per queste ragioni, dunque, il concetto di zoning è stato nel tempo demolito. Quella che sembrava essere la soluzione migliore per la città industriale si è rivelata la scelta peggiore per la città informatica, un concetto non più in sintonia con le esigenze dei cittadini.
Dividere la città in zone omogenee, mettere le aree in sequenza logica una con l’altra, non risulta più essere la decisione migliore per una città che vuole essere smart, accogliente e di qualità.
Se prima ogni zona era ottimizzata per rendere al meglio una specifica funzione, oggi questo concetto di separazione è stato sostituito dall’idea di mixitè.
Il termine mixitè rimanda ad una strategia progettuale, ormai consolidata nella contemporaneità, volta alla creazione di una rete di relazioni e legami trasversali tra aspetti funzionali, sociali e morfologici.
Perseguire la mixitè funzionale significa progettare una città antizoning, un piano che incentiva le sinergie e trae benefici dai fenomeni che si generano sul territorio dovuti all’integrazione di attività differenti.
Il progetto contemporaneo è composto da caratteristiche diverse, compresenti in percentuali variabili a seconda della forza trainante. Questi “ingredienti” possono essere mixati in infiniti modi, tutti con il medesimo obiettivo di creare una rete di relazioni e suggestioni.
La giusta interazione tra queste categorie fisse ha come risultato la qualità urbana.
La componente della residenza è essenziale per rendere vivi i territori, per riempire attraverso le relazioni umane un posto e renderlo luogo. È necessario aggiungere il commercio, per garantire un continuo scambio di merci, prodotti e servizi. Fondamentale poi, nella vita di una città e dei suoi cittadini, è l’organizzazione del tempo libero. Uno spazio ben progettato offre ai suoi abitanti una ricca offerta culturale e creativa, che possa stimolare le persone a vivere ancor più nel profondo un luogo.
A queste tre categorie di base bisogna aggiungere le infrastrutture, forse la parte più importante di un organismo come la città. Le infrastrutture rappresentano lo scheletro di un progetto, ciò su cui si basa tutto il resto. Garantiscono collegamenti, accessibilità e interazione tra le diverse componenti e rappresentano di per sé una parte del contesto urbano.
Non può mancare, infine, la componente naturalistica, il paesaggio, il . L’aspetto più primitivo e romantico dell’uomo, che egli riporta all’interno dello scenario urbano per mitigare l’istinto a costruire con la predisposizione all’ammirare.
Da ormai diversi anni è cambiata la sensibilità, del progettista e del singolo cittadino, nei confronti del territorio, perciò ogni operazione deve essere sostenibile e dare indietro una certa quota di naturalità.
Nella contemporaneità l’Urbanistica ha l’obiettivo di realizzare una città complessa, ma non complicata, caratterizzata da una rete di legami nuovi e trasversali. Questo non sempre è possibile, specialmente nelle periferie, dove si continuano a realizzare quartieri dormitorio, avulsi dal resto dell’organismo cittadino, senza seguire un’idea totale ed inclusiva della città.
Continuare a lavorare per singoli interventi, slegati e autoreferenziali, non migliora la qualità urbana, ma anzi allontana dall’obiettivo del nostro tempo: perseguire una mixitè funzionale.
articolo interessante . peccato che a Milano , anche se qualche sforzo si sta faceno, vale ancora la regola dei palazzoni ...Milano che, tanto bistrattata , ha delle potenzialità ( per fortuna) ancora altissime e dove la Mixite sarebbe anche facile da conseguire. Grazie