Collegio Einaudi San Paolo | Luca Moretto

Riqualificazione collegio universitario. Turin / Italy / 2005

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L'obiettivo da raggiungere era rinnovare un collegio universitario situato a Torino, lungo il nuovo asse urbano - nord-sud - detto “spina”.

Il collegio, costruito tra la fine degli anni Cinquanta ed i primi anni Sessanta nei pressi del Politecnico, dalla pianta simile ad una “L” col lato corto piegato verso quello lungo, era angusto. Le camere erano senza bagno. I servizi igienici e le docce – madide e tristi, – erano comuni per ogni piano. Un anacronismo, anche perché ormai la Sezione non era più, come invece accadeva un tempo, prerogativa dei soli maschi.

Al di là delle esigenze di base, come: dotare le camere studenti – tutte singole – di servizi igienici indipendenti, migliorare l’isolamento acustico delle camere, realizzare locali di servizio di piano (lavanderia, etc.), ampliare le cucine; ed a quelle specifiche: introdurre un nuovo ascensore a servizio di tutti i piani, realizzare una sala studio per ogni piano delle camere, attenuare la “monotonia” dei corridoi, rivitalizzare gli sbarchi della scala principale; nel corso della progettazione sono maturate esigenze/opportunità latenti: dotare la struttura di spazi fruibili all’aperto; permettere dei punti di vista sulla fontana-igloo di Merz e sul giardino che le è accanto, ad occidente.

Un grande vincolo per la realizzazione dell’intervento era il tempo: due i mesi per la redazione del progetto (dalla fase preliminare a quella esecutiva), l’ottenimento delle approvazioni dagli Enti competenti, e l’espletamento della gara d’appalto; trecento i giorni per l’esecuzione dei lavori, onde limitare la chiusura della Sezione ad un solo anno accademico. Nove - tralasciando la copertura, - i livelli del collegio in qualche modo coinvolti dai lavori (dal piano interrato al sottotetto), per una superficie lorda di pavimento di circa ottomila metri quadrati. Centosessantacinque le camere studenti da ristrutturare. Tremilioniottocentomila euro l’importo dei lavori a base di gara.

Il corridoio principale, parallelo a via Bobbio, si presentava lungo e monotono. Percorrendolo prevalevano ormai sensazioni negative, rimandi ad un mondo passato impersonale, grigio, senza emozione, inadeguato agli occhi di oggi. Un mondo in ogni caso che non ci apparteneva più: anacronistico. Occorreva ridargli un senso positivo, stimolare la gioia di vivere, l’amore per la vita. Lo spazio estruso statico esistente è stato quindi curvato e piegato; sono stati introdotti alcuni eventi, le cui linee dilatano/rompono i confini della scatola tradizionale, tenendo a mente che, come avverte Gilles Deleuze, il “problema non è come finire una piega, ma come continuarla, come farle attraversare il soffitto e portarla all’infinito. Il fatto è che la piega non soltanto concerne ogni materia, che diventa così materia d’espressione, secondo scale, velocità e vettori differenti (montagna e acqua, carta, stoffa, tessuti viventi, cervello), ma determina e fa apparire la Forma, ne fa una forma d’espressione, Gestaltung, elemento genetico o linea infinita d’inflessione, curva a variabile unica.”

Il primo evento, quello più meccanico/dinamico, volto a vitalizzare il corridoio principale è l’inserimento - in corrispondenza del cavedio, aperto su un lato del fronte sud - dello sbarco del nuovo ascensore panoramico.

Il secondo evento è il movimento del muro di fronte alla cucina di piano, la cui parete si trasforma da opaca a trasparente con l’introduzione di una grande vetrata poliedrica ottenuta deformando una porzione del solido semiregolare di Archimede detto icosidodecaedro.

Il terzo evento è la realizzazione di uno spazio di testa, dall’andamento curvilineo, con affaccio su corso Lione, dal quale si può vedere la fontana di Merz. Tralasciando il ridisegno dello sbarco della scala principale, il quarto evento è la resa sinuosa della testata di fondo verso la scala secondaria.

Il tratto secondario del corridoio, parallelo a corso Lione, si caratterizza invece per la realizzazione della sala studio, con una vetrata poliedrica – dalla conformazione diversa rispetto a quella della cucina – che vi si espande. La vetrata della sala studio è convessa rispetto al corridoio mentre quella della cucina è concava. Altro elemento che caratterizza il tratto secondario del corridoio è l’introduzione dei balconcini di testa, verso sud, al posto delle finestre. Dai balconcini si gode un’inedita vista sia sulla fontana-igloo di Merz sia su un’area verde della “Spina 1”.

L’ascensore panoramico è installato in una torre di vetro che si affaccia sulle terrazze. La torre è coronata da una fiamma in acciaio inox che ne alleggerisce, rende più lieve, il passaggio al cielo.

Le pareti dei corridoi delle camere sono suddivise in campi geometrici colorati. Il disegno dei campi interessa/coinvolge tutti e cinque i piani delle stanze ovvero è un disegno della mente: percorrendo un corridoio il disegno non si percepisce nella sua unitarietà, si può solo ricostruire col pensiero attraverso gli indizi (visibili per un quinto alla volta). Il disegno si srotola sulle pareti chiudendosi ad anello; si forma una sorta di involucro tridimensionale sezionato a livello dei solai. I perimetri dei campi sono definiti sulle pareti da listelli di gesso i quali, quando incontrano il pavimento, si trasformano in listelli di pietra (la diorite di Traversella, della Valchiusella, del Canavese). Queste linee di pietra tagliano obliquamente la trama regolare delle piastrelle nere quadrate di grés fine porcellanato. Il disegno srotolato di partenza per la suddivisione dei campi è costituito da una sequenza regolare di triangoli, a salire ed a scendere, i cui vertici hanno passo modulare di tre metri. La trasposizione del disegno ideale dei campi sui muri dei corridoi ed il concetto di continuità della successione spezzano la simmetria delle linee in movimenti/disposizioni inattese.

Anche i colori dei campi seguono una sequenza che percorre, si svolge/riavvolge, lungo l’anello. I colori utilizzati sono i sette classici dell’arcobaleno: partendo dal rosso si giunge al violetto passando dall’arancione al giallo, al verde all’azzurro ed al blu. Con approccio ludico, s’invera la profezia di Gio Ponti: “tutto sarà coloratissimo”.

Muoversi nei nuovi spazi del collegio eccita i sensi, dalla vista al tatto - con la risposta delle diverse superfici - a quelli più “inconsci”. Gli spazi di distribuzione attingono e rimandano ad un mondo fantastico, sentimentale: “Le tonalità cromatiche, come quelle musicali, hanno (…) un’essenza (…) sottile, danno emozioni più sottili, inesprimibili a parole. Forse ogni tono troverà col tempo un’espressione materiale, verbale. Eppure ci sarà sempre qualcosa che la parola non può rendere compiutamente, e che non è il superfluo, ma l’essenziale.”

Il colore di riferimento dei piani, tema sviluppato con la ristrutturazione del collegio di corso Lione 24, è qui ripreso nel colore di fondo dei laminati serigrafati delle porte delle camere. Nei pavimenti dei corridoi varia: nel piano di un certo colore di riferimento, anche l’area a pavimento, compresa tra i campi di quel colore a parete, è realizzata in resina anch’essa di quel colore.

Non vi è diffidenza nei confronti del colore, non vi è cromofobia, ovvero ripugnanza nei confronti del colore, paura di esserne corrotti.

La casa dello studente: se la camera può rappresentare temporaneamente per lo studente – specialmente se proviene da lontano – la casa (sovente gli studenti utilizzano l’espressione “andiamo a casa” in vece di “torniamo in collegio” quando rientrano alla sera …), il corridoio (e le sale comuni) è il mondo.

La prima è solare, calda, monocroma (in un certo senso colorabile da chi ci abita), il secondo è articolato e multicolore.

Al di là dei significati riconducibili alla teoria, i sette colori impiegati nei corridoi dispiegano, a più livelli, una elaborata “bandiera della pace”, omaggio retorico, forse a parole ma trascendente nei fatti, alla dimensione multiculturale dell’ente e dello studiare in sé.

Il percorso: dal fuori lo studente arriva alla camera attraverso i corridoi dopo essere transitato sull’ascensore panoramico. Il passaggio è catastrofico, nel senso che tra la cacofonia dell’esterno e la tranquillità della camera i corridoi ne stimolano i sensi con una violenta razionale irrazionalità.

Prendendo la scala principale (A) gli sbarchi ai piani sono stati ridisegnati – ampliandoli – curvando – e colorando (del colore di riferimento del piano) – la parete che conduce, ed invita, alla porta d’ingresso ai corridoi di distribuzione.

Nel ridisegno del pianerottolo, lastre di pietra fiammata – per segnalare con la loro ruvidezza l’approssimarsi delle rampe della scala – hanno preso il posto del marmo mantenuto nella fascia perimetrale e nello zoccolo per dare continuità a quello dei gradini. Per realizzare la nuova fascia e lo zoccolo, mantenendo la coerenza della finitura del vano scala, sono stati reimpiegati i marmi esistenti rimossi con l’ampliamento dell’area di sbarco.

Prendendo l’ascensore panoramico si entra invece in una dimensione/visione dinamica – dentro, fuori, dentro – relazionandosi anche con la vita ed i colori delle terrazze.

I bagni sono abbinati a coppie e di due tipologie: quelli del lato sud e quelli del lato nord. Questa distinzione si è resa necessaria in dipendenza della presenza – su quelli a sud – di una teoria di pilastri in cemento armato. Le pareti dei bagni sono rivestite con piastrelle dai formati diversi (quadrati e rettangolari, di varie dimensioni), disposte secondo un disegno articolato.

Se il colore che prevale è il bianco, luminoso, intorno ad un pavimento giallo-zolfo, nella parte mediana della parete si distingue una specie di fascia di mega-pixel che “esplode” in alcune aree, con colori prevalentemente caldi (in parte solo bilanciati da alcuni freddi). Il colore di riferimento del piano si ritrova un po’ dissimulato nella fascia centrale in alcune piastrelle quadrate. Il laminato ad alta pressione che riveste la porta del bagno è del colore di riferimento del piano.

Le cucine sono state ampliate recuperando lo spazio dei dimessi servizi igienici comuni di piano. Se verso il corridoio la parete si contrae in forma di una vetrata poliedrica, e verso la scala principale si curva, verso l’esterno si espande nelle terrazze, uno spazio, con l’opportunità che offre di nuove fruizioni, che prima non esisteva.

I pavimenti in resina e le pareti sono colorate del colore di riferimento dei piani: alla cucina rossa del primo piano segue quella arancione del secondo piano; alla cucina gialla del terzo piano segue quella verde del quarto piano, sino a quella blu del quinto piano.

Mentre la vetrata poliedrica delle cucine si contrae attirando verso di sé, deformandola, quella del corridoio in muratura, quella delle sale studio si espande, comportando lo scartamento di chi vi transita per accedere ai – o proviene dai – balconcini della testata sud. Come per le cucine le pareti ed i pavimenti in resina hanno il colore di riferimento dei piani.

Le terrazze: il collegio non disponeva di spazi all’aperto. Con l’introduzione di una complessa struttura d’acciaio sono state realizzate sul fronte sud delle terrazze articolate nello spazio. Da esse si fruisce del sole, del verde di alcuni giardini sottostanti e della vista delle Alpi. Si crea altresì un rapporto visivo con l’arte, in maniera diretta con la fontana-igloo di Mario Merz, in maniera indiretta con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il cui contenitore minimalista è visibile a sud-ovest. Le terrazze si prestano alla vita di relazione, alla socializzazione; vi si accede – principalmente – dalle cucine, è così agevolato pranzare/cenare rilassati all’aperto, almeno nei caldi mesi di maggio, giugno e luglio, mesi periodo d’esame, fonte di intenso stress.

Al primo piano gli spazi all’aperto sono stati ricavati dalla conversione in terrazza di un lastrico solare prima solo adibito a copertura di alcuni locali sottostanti. Sul lastrico erano allocati alcuni impianti meccanici ed apparecchiature del gas metano che sono state spostate.

I colori di riferimento dei piani escono all’aperto dove sono applicati sui parapetti, in lamiera forata, sui pavimenti in cemento e sulle lamiere grecate poste all’intradosso delle terrazze. Un secondo accesso – secondario – alle terrazze è possibile dalle lavanderie.

La struttura metallica è indipendente da quella in cemento armato del collegio. Le esili bianche colonne trapassano i volumi del piano terreno e del piano seminterrato andando a scaricare le forze verticali su fondazioni, a cavalletto, che scavalcano i plinti esistenti. Tra il primo ed il quinto piano le colonne sembrano danzare nel vuoto e, inseguendosi, si inclinano tra loro in maniera sempre differente. Di notte la struttura delle terrazze, la “ballerina” - per il suo apparente movimento - ed i balconcini, si smaterializzano, perdono il peso della corporeità d’acciaio, per vibrare aerei e luminosi nello spazio, aspirando ad essere architettura di luce, architettura di colore.

Con l’approccio animista che nasce dalla confidenza “del fare” e dal sentimento del cantiere, la struttura delle terrazze è stata anche soprannominata Marilyn, memoria della bellezza delle gambe storte dell’attrice americana, da una delle Sue immagini icona: l’istante quando si china per trattenere la gonna sollevata dal vento, nonché rimando al concetto greco di bellezza, assoluto e nello stesso tempo imperfetto.

Sulla testata sud, considerato lo straordinario punto di vista sulla fontana-igloo di Mario Merz, e tenuta in conto l’area verde della “Spina 1” sottostante, sono stati introdotti degli aerei balconcini dai vetri parapetto colorati del colore di riferimento dei piani. I balconcini si trovano in prossimità delle sale studio, permettendo così a chi studia una boccata d’aria fresca e/o il fumo di una sigaretta. La sistemazione della testata sud ha compreso la rimozione delle obsolete canne fumarie che ne pregiudicavano in maniera evidente l’aspetto. La struttura di sostegno principale dei balconcini è formata da una coppia di colonne bianche, memoria di una memoria: la sistemazione superficiale dell’adiacente passante si caratterizza infatti per un sistema di illuminazione composto da una fitta sequenza di colonne bianche appaiate che, a loro volta, sono memoria dei pali binati della ferrovia, resa ctonia dalla copertura dello stesso passante.

Archimede: la forma delle vetrate poliedriche è una sorta di omaggio all’igloo di Mario Merz. Un omaggio però filtrato dalla geometria, indizio degli studi prevalentemente politecnici degli ospiti del collegio. D'altronde “… l’igloo non è solo elementarità della forma ma è anche un punto di partenza per la fantasia, è una immagine complessa, visto che io tormento in fondo l’immagine elementare dell’igloo che porto in me.” La fontana è di certo un pre-testo, ma significativo, in quanto simbolo/monumento delle trasformazioni metropolitane in atto a Torino. I poliedri delle vetrate derivano dalla deformazione, ad un tempo libera – nello spostamento dei vertici – e vincolata – nei limiti indotti dalla conformazione dello spazio nel quale inserirsi, – di uno dei tredici solidi semiregolari di Archimede: l’icosidodecaedro (icosidodecahedron), costituito nella sua unità da dodici pentagoni e venti triangoli equilateri. Per le vetrate sono state utilizzate due porzioni dell’icosidodecaedro, una per le cucine, una per le sale studio. La deformazione si è resa necessaria anche dal punto di vista filosofico, per avvicinare la geometria cristallina ad una realtà meno ideale, più avvezza al compromesso (in questo caso i vincoli della struttura).

Con spirito leggero si può rileggere l’ossessione per la geometria di Le Corbusier: “Tutto è geometria: il locale è quadrato (…). Le ore della nostra giornata trascorrono in un continuo spettacolo geometrico; i nostri occhi sono assoggettati a una costante relazione con forme quasi geometriche; dai tempi di Archimede la geometria è stata soprattutto fatto spirituale; oggi è invece onnipresente e onnipotente e agisce sui nostri sensi e sul nostro spirito.”

Le dieci vetrate tridimensionali sono colorate del colore di riferimento dei piani; per la loro difficile realizzazione sono stati costruiti in officina due prototipi, che sono poi serviti da modello per il completamento della serie.

Le pareti del collegio, piegate, curvate, rigate, colorate, trasparenti ..., sono recinto e parola: “Le mur est cette frontière qui nous permet de concevoir – de projeter et de marquer – des identités (et cela est vrai dans le domaine des cultures comme dans celui de la topologique pure), et littéralement d’exister, de sortir de son site, d’instituer le paradigme d’un foyer et d’un horizon.”

Lo spazio del collegio, con le parole di Emanuele Severino, “è configurato e ordinato secondo le categorie dell’episteme geometrico-matematica. (...) Il movimento nello spazio vuoto (...) è il simbolo del divenire del mondo, cioè del processo in cui le cose escono dal nulla e vi ritornano; la regolarità che il movimento è costretto ad assumere dal carattere geometrico delle costruzioni è il simbolo della regolarità a cui il divenire del mondo è sottoposto dall’eterno ordinamento divino. L’architettura umana (antrhropine techne) rende abitabile lo spazio vuoto (cioè sopportabile l’horror vacui), come l’architettura divina (theia techne) rende abitabile il nulla e sopportabile il suo orrore, cioè rende sopportabile il soggiorno dei mortali nel nulla che, attraversando tutte le cose dell’universo visibile, produce la forma estrema dell’angoscia.” Con l’avvertenza che qui esperiamo una geometria che supera l’immaginario convenzionale, ed una regolarità all’apparenza irrazionale.






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The aim was to bring the San Paolo section of the Renato Einaudi university hall of residence in Turin up to the standard of a contemporary one, like the Crocetta section. The Crocetta section was the precedent, it was the first of the college’s five sections to have been upgraded. Conforming does not mean copying. The hall of residence was built between the end of the 1950s and the early ‘60s, on land belonging to Fiat, not far from the polytechnic. The building has a kind of L-shape, with the short side folded in toward the longer one. It faced onto Corso Lione and what was once the railway cutting (for trains from or to Porta Nuova or France), now covered by the ‘Spina 1’ link road, to the east, Via Bobbio to the north, on its long side, and the Fergat industrial area to the south, now abandoned and partly taken up by a council house, car parks and low-rise buildings. To the east it shares a boundary wall with a block of flats. The building was cramped. The rooms had no bathrooms. The communal toilets and showers on each floor were damp and dreary. It was an anachronism, partly because this section was no longer intended only for male students. The areas with common rooms on the basement floor and ground floor had been the object of renovations between the end of the 1980s and the early ‘90s. So, for economic expediency, apart from the reception area, which has been redesigned, these were not included in the upgrading, which focused mainly on the accommodation floors. Some of the requirements for the San Paolo section were the same as those for the Crocetta: to give the student rooms – all single – their own independent bathrooms; to improve the soundproofing of the rooms; to build service rooms on each floor (laundry, etc.); to enlarge the kitchens. Other requirements were specific to the San Paolo section: to introduce a new lift serving all floors; to create a study room on each residential floor; to reduce the ‘monotony’ of the corridors; to liven up the main staircase landings. Other ‘latent’ opportunities-needs became apparent during planning: to give the section usable exterior spaces; to offer view points of Merz’s igloo fountain to the west and the garden beside it. One big constraint on the project was time: two months to draw up the plan (from preliminary to executive stage), get authorisation from the various bodies concerned and make the call for tenders; 300 days to complete the works, in order to limit closure to a single academic year. Apart from the roof, nine floors of the building were in some way involved in the work (from basement to attic), with an overall surface area of about 8000 square metres. 165 students’ rooms were to be renovated. The cost of the works according to the tender was € 3,800,000. The main corridor, parallel to Via Bobbio, was long and monotonous. It aroused negative feelings, related to a past, impersonal world; it was grey, unexciting and incompatible with modern eyes. It was in any case a world that no longer belonged here: anachronistic. It was necessary to give it a positive feeling, to stimulate the joy of living, the love of life. The existent, ‘extruded’, static space was therefore curved and folded; several ‘events’ were introduced, whose lines expand-break up the confines of the traditional box, keeping in mind that, as Gilles Deleuze advises, the ‘problem is not how to end a fold, but how to continue it, how to make it cross the ceiling and take it on to the infinite. The fact is that the fold does not only concern every material, which thus becomes material of expression, according to different scales, speeds and vectors (mountain and water, paper, fabric, living textiles, brain), but determines the form and makes this appear; makes it a form of expression, Gestaltung, genetic element or infinite line of inflection, a single variable curve’. The first event, the more mechanicaldynamic one, aimed at livening up the main corridor, was the insertion of a landing for the new panoramic lift corresponding to the atrium, open on one side of the south facade. The second event was to give movement to the front wall of the kitchen. This has been changed from opaque to transparent by the introduction of a big polyhedral window made by deforming part of the Archimedes semi-regular solid known as an icosidodecaedron. The third event was the creation of a curved end space facing onto Corso Lione, from which to view Merz’s fountain. Apart from redesigning the landing for the main staircase, the fourth event was to curve the end toward the secondary staircase. The secondary section of the corridor, parallel to Corso Lione, is distinguished rather by the creation of a study room with a polyhedral window, in a different form that that of the kitchen, which expands it. The study room window is convex with regard to the corridor while that of the kitchen is concave.

The secondary section of the corridor is also marked by the addition of small balconies, facing south, in place of the windows. These offer a new view over Merz’s igloo fountain and a green part of the ‘Spina 1’ link road. The panoramic lift is installed in a glass tower that faces onto the terraces. The tower is crowned by a stainless steel ‘flame’ that lightens it, softening the move to the sky. The room corridor walls are divided into geometric fields of colour. The design of these extends through all five residential floors, or in other words is a design of the mind: it is not perceived in its entirety when walking along a corridor, but can only be reconstructed mentally from the clues (visible a fifth at a time). The design unfolds along the walls closing into a ring; it forms a kind of three dimensional shell, sectioned at the level of the ceilings. The edges of the fields are defined on the walls by strips of plaster, which change into strips of stone (Traversella, Valchiusella and Canavese diorite) where they meet the floors. These lines of stone diagonally cut the regular weft of the

square, black, porcelain stoneware tiles. The unrolled starting design dividing the fields is made up of a regular sequence of triangles, rising and falling, whose apexes have a modular height of three metres. The transposition of the ideal design of the fields on the corridor walls and the concept of the continuity of succession break the symmetry of the lines in unexpected movements-dispositions. The colours of the fields also follow a sequence that winds-unwinds along the ring. The colours used are the seven classical ones of the rainbow: starting from red, through orange, yellow, green, blue and indigo to violet. With a playful approach, Gio Ponti’s prophecy is made true: ‘everything will be brightly coloured’. Moving through the new spaces of the hall excites the senses, from sight and touch – in the response of the various surfaces – to the more ‘subconscious’ ones.

The distribution spaces draw on and refer to an imaginary, sentimental world: ‘The chromatic tones, like musical ones, have [...] a subtle [...] essence, they give lighter feelings, inexpressible in words. Perhaps in time every tone will find physical, verbal expression. And yet there will always be something that the word cannot completely offer, and which is not the superfluous, but the essential’. The reference colour of the floors, a theme developed with the rebuilding of the hall at Corso Lione 24, is here taken up in the base colour of the screen printed laminates on the bedroom doors. It varies in the corridor floors: on the floor of a

certain reference colour, the floor area, between fields of that colour on the wall, is in resin of the same colour. There is no hesitancy in the use of colour, there is no ‘chromophobia’, or repugnance of colour, no fear of being corrupted by it.The students’ ‘home’: if the room temporarily represents home for the student – especially if from out of town (the students often use the expression ‘let’s go home’ instead of ‘let’s go back

to the residence’, when they come back in the evening), the corridor (and common rooms) are the ‘world’. The first is sunny, warm, monochrome (in a certain sense it may be coloured by its inhabitants), the second is faceted and multicoloured. Beyond the meanings arising from theory, the seven colours used in the corridors unfurl an elaborate ‘peace flag’ on several levels, a ‘rhetorical’ tribute, perhaps in words but actually transcendental, to the multicultural dimension of the organisation and to study itself. The route: from outside the students get to their rooms along corridors after ascending in the panoramic lift. The move is ‘catastrophic’, in the sense that the corridors stimulate the senses with a ‘violent’ rational irrationality, between the cacophony outside and the tranquillity of the room. Taking the main staircase (A), the floor landings have been redesigned and extended, by curving and colouring (in the floor reference colour) the wall that leads and invites to the entrance door to the corridors.

In redesigning the landing, slabs of flamed stone – whose roughness marks the approach to the flights of stairs – have taken the place of the marble retained in the perimeter strip and the skirting board, to give continuity to that of the steps.

The old marble that was removed when extending the landing area has been reused to make the new strip and skirting board, to maintain consistency with the finish in the stairwell. The panoramic lift offers rather a dynamic view-dimension – inside, outside, inside – relating also to the life and colour of the terraces.

The bathrooms are matched in pairs and are of two types: those on the south and those on the north. This distinction was made necessary because of the presence – in the south ones – of a row of reinforced concrete pillars. The bathroom walls are lined with tiles in various shapes (square, rectangular) and sizes, arranged according to a variegated pattern. While the predominant colour is bright white, around a sulphur-yellow floor, in the middle of the wall there is a kind of strip of mega-pixels that ‘explodes’ in some areas, with mainly warm colours (only partly balanced by some cold ones). The floor reference colour is subtly revealed in some square tiles in the central band. The high pressure laminate that lines the bathroom door is in the floor reference colour. The kitchens have been extended by recovering the space of the old communal bathrooms. The wall towards the corridor contracts in the form of a polyhedral window, and curves toward the main staircase, but towards the outside a space ‘expands’ in the terraces, with the opportunity it offers for new uses that did not previously exist. The resin floors and walls are in the floor reference colours: the red kitchen on the first floor is followed by an orange one on the second floor; the yellow kitchen on the third floor is followed by a green one on the fourth, through to the blue one on the fifth floor.

While the polyhedral window of the kitchens contracts, drawing the masonry wall of the corridor in towards it,

deforming it, that of the study rooms expands, meaning those going along it to get to – or come from – the south end balconies have to veer. As in the kitchens, the resin floors and walls are in the floor reference colour. The terraces: the building had no open spaces. With the introduction of a complex steel structure, terraces that are united in space were built onto the south facade. They allow the sun to be enjoyed, along with the greenery of some gardens below and a view of the Alps. A visual relationship is also created with art: directly, with Mario Merz’s igloo fountain, and indirectly with the Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, whose minimalist container is visible to the south-west. The terraces lend themselves to socialising; they are mainly accessed from the kitchens, thus facilitating relaxed outdoor dining, at least in the warm months of May, June and July: the time of exams and therefore intense stress. The open spaces on the first floor have been created by converting a roof terrace that was previously used only to cover some rooms below. Some mechanical plant and methane gas equipment housed on this have been moved. The floor reference colours come into the open where they are applied on the parapets, in perforated sheet-metal, on the concrete floors and on the notched sheet-metal of the under-terraces. Another secondary access to the terraces is possible

from the laundries. The metal structure is independent of the reinforced concrete frame of the building. The slender white columns run through the ground floor and the basement floor, unloading the vertical forces onto trestle foundations that straddle the existing plinths. Between the first and fifth floor the columns seem to dance in space and, following one another, are each inclined differently. At night the terrace structure, or ‘ballerina’, because of its apparent movement, and the small balconies dematerialise; they lose the weight of their steel body, to vibrate lightly and brightly in space, aspiring to be architecture of light, architecture of colour. With the animist approach born from the confidence of ‘doing’ and the feeling for the site, the terrace structure was also nicknamed Marilyn, in memory of the beauty of the American actress’s bent legs in one of her iconic images: the moment she stoops to hold down her skirt raised by the wind9, and also referring to the Greek concept of beauty: absolute and at the same time imperfect. On the south end, considering the extraordinary view over Mario Merz’s igloo fountain and the green area of the ‘Spina 1’ link road below, small aerial balconies have been introduced with parapets in the floor reference colour. The small balconies are located by the study rooms, therefore allowing students to go outside for a breath of fresh air and/or a cigarette. The arrangement of the south end involved removal of the obsolete chimneys, which badly impaired the appearance. The main support for the balconies is provided by a pair of white columns, in what is a memory of a memory: the surface arrangement of the adjacent link road is distinguished by a lighting system consisting of a close sequence of paired white columns which, in turn, are a reminder of the paired poles of the railway, made chthonic by the covering of the link road itself. Archimedes: the form of the polyhedral windows is a kind of homage to Mario Merz’s igloo. But one that is filtered through geometry, referring to the mainly polytechnic studies of the tenants. On the other hand ‘… the igloo is not only simplicity of form but also a starting point for the imagination, it is a complex image, given that in essence I pester the elementary image of the igloo I have inside me’. The fountain is certainly a pre-text, but a significant one, in that it is a symbol-monument of the urban changes taking place in Turin. The polyhedrals of the windows are derived from deformations of one of Archimedes’ thirteen semi-regular solids: the icosidodecahedron, made up of twelve pentagons and 20 equilateral triangles. Such deformations are both free – in the movement of the summits – and restricted – in the limits imposed by the conformation of the space into which they are inserted. Two parts of the icosidodecahedron were used for the windows, one for the kitchens and one for the study rooms. The deformation was also made ‘necessary’ from a ‘philosophical’ point of view, to move the crystalline geometry closer to a less ideal reality, more inured to compromise (in this case the restrictions of the structure). Le Corbusier’s obsession with geometry may be re-read light-heartedly: ‘Everything is geometry: the room is square [...]. The hours of our day pass in a constant geometric parade; our eyes are subject to a constant relation with almost geometric forms; from the time of Archimedes geometry has mainly been a spiritual fact; now it is rather omnipresent and omnipotent and acts on our senses and our spirit’.

The ten, three-dimensional windows are in the floor reference colours; two prototypes were made in the workshop because of the difficulty of their construction, which then served as models for the rest of the series. The walls of the building, folded, curved, striped, coloured, transparent …, are enclosure and wall: ‘Le mur est cette frontière qui nous permet de concevoir – de projeter et de marquer – des identités (et cela est vrai dans le domaine des cultures comme dans celui de la topologique pure), et littéralement d’exister, de sortir de son site, d’instituer le paradigme d’un foyer et d’un horizon’. The space of the building, in the words of Emanuele Severino, ‘is formed and ordered according to categories of the geometricmathematical episteme. [...] Movement in empty space [...] symbolises the coming into being of the world, the process by which things come to be out of nothing and go back to it; the regularity that movement is forced to make by the geometric nature of the constructions is the symbol of the regularity to which the becoming of the world is subject by the eternal divine order. Human architecture (anthropine techne) makes the empty space habitable (i.e. the horror vacui tolerable), as divine architecture (theia techne) makes nothing habitable and its horror tolerable, that is, it makes tolerable the stay of mortals in nothing which, crossing all the things of the visible universe, produces the extreme form of anxiety’. With the warning that here we accomplish a geometry that goes beyond the conventional image, and an apparently irrational regularity.
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    L'obiettivo da raggiungere era rinnovare un collegio universitario situato a Torino, lungo il nuovo asse urbano - nord-sud - detto “spina”. Il collegio, costruito tra la fine degli anni Cinquanta ed i primi anni Sessanta nei pressi del Politecnico, dalla pianta simile ad una “L” col lato corto piegato verso quello lungo, era angusto. Le camere erano senza bagno. I servizi igienici e le docce – madide e tristi, – erano comuni per ogni piano. Un anacronismo, anche perché ormai la Sezione non...

    Project details
    • Year 2005
    • Work started in 2004
    • Work finished in 2005
    • Main structure Reinforced concrete
    • Client Collegio Universitario di Torino "R. Einaudi"
    • Contractor Edart
    • Cost 5.000.000,00 €
    • Status Completed works
    • Type Interior Design / Student Halls of residence / Recovery/Restoration of Historic Buildings
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