Bisazza Foundation | Carlo Dal Bianco

Alte di Montecchio Maggiore / Italy / 2011

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The project of the Foundation - a private non-profit organization that is open to the public – arosefrom the attention and sensitivity towards the culture of design and architecture that have alwaysdriven Bisazza. The Bisazza Foundation has a dual vocation: it is intended as an exhibition space to bring together works and installations by contemporary designers and architects who, over the course of the last 20 years, have created original applications for mosaics; it is also proposed as a cultural subject in continuous interaction with other international institutions for the purposes of hosting projects and exhibitions of design and architecture, not necessarily associated with mosaics. [ITA] Il progetto della sede Bisazza è stata un’esperienza assolutamente coinvolgente, dove ogni cosa è stata discussa e progettata, magari anche direttamente in fase esecutiva, dove non c’è stato un progetto generale coordinato, ma tutto si è sviluppato per parti, ragionando di volta in volta sulle possibilità future di evoluzione della struttura. E’ dunque il frutto delle addizioni di aree e padiglioni autonomi e singoli. Il coordinamento del linguaggio coerente, in questo percorso progettuale durato dieci anni, tra gli anni 2001 e 2011, è probabilmente stata la maggiore difficoltà riscontrata. Nel progetto di Alte ci siamo confrontati con un complesso industriale degli anni Cinquanta, frutto di una lenta sedimentazione edilizia, costruito però in modo quasi simmetrico, con al centro un ingresso tangente la strada statale, che risultava insufficiente ed inadeguato. Per questo motivo si decise di trasferirlo in un luogo più idoneo per l’accesso dei molti visitatori esterni e del numeroso personale. L’ingresso fu cosi portato sul fianco dell’edificio, defilato rispetto alla posizione originaria. Era ora indispensabile creare un elemento fortemente caratterizzante e riconoscibile, una sorta di portale, un grande imbuto che attirasse a sé le persone: l’oggetto doveva affascinare e, al tempo stesso, relazionarsi con gli spazi esterni e interni. L’ingresso propone un nuovo passaggio emozionale tra l’esterno e l’interno, un’improvvisa immersione nel mondo colorato di casa Bisazza. Rappresenta questo elemento di mediazione il pergolato di rose, un elemento tra natura ed architettura, un’esperienza dolce e altamente sensoriale che qui viene rafforzata dalla grande dimensione dei fiori e dal restringimento repentino del passaggio in larghezza e in altezza, che si abbassa arrivando a farti toccare i fiori , come una sorta di grande tenda. Pensata come una grande lampada appoggiata a terra, una sorta di faro, la scatola luminosa posta su un fianco all’inizio del percorso, segnala lungo tutto il fianco dell’edificio il punto d’ingresso trasformandosi anche in un temporaneo spazio espositivo. Oltre la doppia porta d’ingresso in vetro si è proiettati nello spazio altissimo della reception coperto da una semivolta bianca, forata da nove grandi lucernari che infondono all’ambiente una luce zenitale, diffusa e particolare, che rimanda immediatamente ad uno spazio esterno. E i due grandi alberi di ficus, posti al centro come due colonne, sottolineano questa sensazione e si contrappongono al roseto rampicante della controfacciata. Quando viene meno la luce naturale tutto lo spazio è volutamente in penombra, come una grande lobby d’albergo: quattro lampade illuminano il lungo bancone rivestito in tessere d’oro bianco, le luci dal pavimento evidenziano i due alberi e illuminano il roseto. Le poltrone e i tappeti delle due aree di attesa destinati ai visitatori prendono i colori del grande mosaico. Tutto è simmetrico e rispondente, ordine e lusso sono indubbiamente protagonisti, un’armonia che lega lo spazio dell’ingresso con tutti i percorsi interni pubblici e privati dell’azienda. I pavimenti sono pensati come giusto abbinamento ai colori delle rose, un insieme di pattern a pied de poule e dama sono giocati sull’alternanza del bianco e del nero, e sono incorniciati da righe d’oro bianco poste negli assi compositivi, pensati come un tessuto Chanel bordato che si abbina molto bene alle grandi rose e al fogliame reale e virtuale in mosaico. Ai lati della reception due percorsi perpendicolari attirano l’attenzione, il primo destinato agli ambienti di lavoro, il secondo alle sale espositive della Fondazione. A destra una lunga sequenza di colonne binate si conclude su un pannello computerizzato che raffigura un particolare delle Tre Grazie, opera di Antonio Canova, un’opera che identifica l’idea progettuale di questa parte del progetto, ispirata al rigore e al fascino delle architetture del neoclassicismo, con particolare attenzione a quello tedesco di Schinkel a Potsdam. Su questa linea retta si aprono una serie di sale destinate al ricevimento e alle riunioni di lavoro, espressione, anch’esse, dello spirito di un’azienda dinamica, ma assolutamente rigorosa nelle sue proposte. Grandi portali in stile vagamente “neoegizio” introducono alle stanze, dedicate ad una serie di colori: nero, verde, rosso, blu, azzurro, viola e marrone dove al loro interno tutto è in tono, dalle pareti ai tessuti delle sedute, dalla consolle alle altissime porte d’ingresso colorate. In alcune di esse è esposta una straordinaria collezione di grandi foto in bianco e nero di Gabriele Basilico. Inserito all’interno di questa geometria classica si apre l’ufficio dell’amministratore delegato, concepito come una sorta di cannocchiale prospettico, le cui pareti, in contrasto con il pavimento ed il soffitto, sono punteggiate da una lunga teoria di scudi in gesso che rendono prezioso il paramento con interessanti vibrazioni chiaroscurali e nascondono un piccolo soggiorno privato che a sua volta si apre su un rigoroso giardino segreto in ghiaino bianco e vasi di bosso. Ritornando all’ingresso, lungo il primo percorso, si apre un vano utilizzato come cucina: è composta da una sequenza di elementi tutti uguali che contengono il necessario, un’infilata di ante in parapan bianco che contrastano con il pavimento nero in lastre di graniglia di vetro. Il mosaico è decisamente il protagonista dello spazio lungo e stretto: dal piano bordato in acciaio tessere iridescenti si snodano indistintamente sulle pareti e sulla volta del soffitto. In posizione simmetrica rispetto alla cucina trova posto il “bagno rosa”; un lungo antibagno, un percorso sinuoso totalmente di mosaico color rosa si sviluppa quasi casualmente attorno ai pilastri preesistenti, una forma organica che conduce verso due ambienti, il primo verde e il secondo blu, dove le pareti, in un vortice di colore e di luci, rendono l’ambiente quasi surreale. Il mosaico diventa per la prima volta protagonista totale ed assoluto dello spazio perché è utilizzato dal pavimento al soffitto compreso. Le pareti ondeggiando cercano la luce naturale delle finestre e prendono toni cromatici diversi con la luce artificiale delle semplici e nude lampadine, il cui supporto e’ stato realizzato su disegno. Tornati all’ingresso, simmetricamente rispetto al percorso delle sale riunioni e degli uffici di rappresentanza si sviluppa il secondo percorso, parallelo al primo, che conduce nelle sale espositive della Fondazione. Dopo aver progettato la ristrutturazione dei locali un tempo adibiti alla produzione o ai magazzini, e dopo aver progettato i nuovi padiglioni, abbiamo disposto le opere progettate da vari designer internazionali che negli anni hanno collaborato con il marchio Bisazza. Dall’ingresso, un corridoio sinuoso e dal soffitto irregolare, introduce abbassandosi fortemente alle prime sale espositive della Fondazione, rafforzando l’emozione della “sorpresa barocca” nel trovare subito dopo ampi spazi voltati da centine in cemento, bianchissime e solcate da lunghi lucernari. Dapprima si incontra l’istallazione “Pixel Ballet” firmata Jaime Hayon, un grande pinocchio in mosaico che porge due vassoi su cui stanno altrettanti cabinet in legno e mosaico. Poi nella seconda grande sala, un tempo occupata dal forni di fusione del vetro, si trova una sequenza ordinata di grandi oggetti in oro bianco del progetto “Silver Ware” firmati Studio Job con al centro il grande chandelier appeso alla volta, che per reggerlo si è resa necessaria la posa stabile di una sorta di gru, posta all’esterno. Sul fianco si apre una sala quadrata, voltata, dove al centro trova posto il progetto “Proust” in versione monumentale di Alessandro Mendini. Sul fondo una coppia di alte porte bianche con scudi a rilievo conducono agli uffici aziendali. Dalla sala uno scalone ad andamento sinuoso, rivestito in mosaico Damasco bianco, conduce ad un mezzanino che offre una vista dall’alto della sala espositiva e poi al primo piano dove si apre la grande sala conferenze, in parte anche adibita all’esposizione di arredi in mosaico, ricavata all’interno di uno spazio voltato a botte ribassata: un’aula a tre navate, intervallata da pilastri a base rettangolare, con un’ unica grande fonte luminosa posta ad ovest. Ridisceso lo scalone prosegue la sequenza delle sale espositive, in parte raccolte attorno al nuovo grande giardino interno che si apre nel centro dei nuovi padiglioni. Il giardino adorno al centro di una composizione in mosaico del designer giapponese Isao Hosoe dal titolo “Attori spaziali”, è in parte ombreggiato da un grande albero; l’area verde è l’ideale prosecuzione della galleria vetrata che lo affianca, in cui è collocato il grande paravento “By Side” firmato da Patricia Urquiola. Adiacente alla galleria la sala dedicata a Marcel Wanders. Questa sala ha due lati vetrati che si affacciano sul verde ed è caratterizzata da un soffitto a vela. Questa e buon parte delle sale seguenti sono accumunate dall’altezza costante delle vetrate che si aprono all’esterno, di forma rettangolare netta, dove il serramento quasi sempre è nascosto all’esterno del pilastro, suggerendo ancora una volta il rapporto costante tra interno ed esterno. La pavimentazione in cemento lisciato è lucidissimo e conferisce agli spazi espositivi una connotazione industriale, ma anche preziosa e sofisticata. Ogni sala è comunque concepita come un padiglione a sé stante e la luce naturale è preferibilmente proveniente da nord, per poter controllare e gestire al meglio l’illuminazione delle opere esposte. Attraverso un elemento di connessione a doppia altezza, in buona parte occupato da un gigantesco ficus, si accede ad una nuova area espositiva, la prima dedicata alla collezione “Mobili per Uomo” di Alessandro Mendini. Seguono altre due sale dedicate ancora a Jaime Hayon. Il percorso espositivo prosegue e si apre ancora su due padiglioni gemelli, bassi e larghi, che conducono, come per chiudere l’anello del percorso museale, verso il grande giardino interno su cui si aprono, verso occidente, altre tre sale di minori dimensioni, dedicate a varie collaborazioni con Mimmo Paladino, Sandro Chia ed Ettore Sottsass. Qui ogni sala è disegnata “su misura” con le opere esposte, una tra tutte l’allestimento di Sandro Chia che interpreta il linguaggio del neoclassicismo degli anni trenta, a cui le stesse figure di Chia si rivolgono. Tra le sale due colonne ellittiche reggono la volta sinuosa che idealmente si allunga sui due padiglioni che costeggiano il giardino interno, per poi concludersi nella sala Wanders, verso nord. Nell’ultima parte del percorso, che complessivamente si sviluppa su circa quattromila metri quadrati, prima di ritornare all’ingresso, si apre la grande sala dedicata a Fabio Novembre e al lavoro “Love Over All” progettato per Maison & Objet del 2002. La sala è concepita come una scatola monumentale con un ricco soffitto a cassettoni che con l’ausilio del colore nero a contrasto lo rende sospeso e leggero. Tra i cassettoni si nasconde il sistema illuminante. Seguendo il tema del fuori scala un lato della sala è caratterizzata dalla presenza di un’infilata di alte e massicce colonne che riprendono forme egizie. Circa a metà percorso si apre un’ampia area di circa duemila metri quadrati adibiti alle esposizioni temporanee. Sono tre padiglioni, uno incatenato all’altro, dove si evidenzia molto la differenza delle dimensioni. Anche qui, come in altre parti della Fondazione, c’è un voluto contrasto tra altezze e dimensioni diverse, con l’intento di sottolineare la diversità degli spazio espositivo e la caratteristica sedimentazione di forme e volumi tipica dell’architettura industriale di queste zone. Tutto è bianco e rarefatto, volutamente neutro, pronto per ospitare i più diversi e molteplici allestimenti. Ad illuminare gli ambienti ancora una volta un grande giardino, rigorosamente disegnato, dove l’infilata delle alberature favorisce un controllo e una migliore gestione della luce interna.
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    Project details
    • Year 2011
    • Work finished in 2011
    • Status Completed works
    • Type Associations/Foundations / Recovery/Restoration of Historic Buildings
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