Il paesaggio della produzione industriale | Salvo Scarpaci

Trasformazione e riqualificazione del Bacino del Mela Messina / Italy / 2010

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Il nuovo “paesaggio della produzione”, come diretto risultato di semplici necessità prestazionali senza alcuna ricerca di dialogo con l’esterno. è così diventato sempre più introverso ed anonimo nelle forma. Nella maggior parte dei casi il punto di partenza è sempre stato lo “scatolone prefabbricato” che, secondo la logica neutra del contenitore, non lasciava vedere o immaginare quasi nulla di ciò che accadeva all’interno. A cambiare saranno anche soprattutto i modi di insediarsi. Se in passato i luoghi della produzione, nella loro localizzazione, seguivano precise regole (vicinanza alle fonti di energia e forza lavoro, ad esempio) e grazie alla loro forte carica simbolica erano capaci di generare spazi complessi e talvolta intere parti di città, oggi a dominare è soprattutto l’atipicità e l’introversione. Queste particolari condizioni spaziali hanno reso questi luoghi non solo isolati ed incomunicanti, ma soprattutto, a causa di quella imprevedibilità dettata dalle esigenze del singolo, anche difficili da leggere ed interpretare. Nel descrivere il paesaggio contemporaneo, non solo urbanisti, ma anche sociologi, economisti ed antropologi, ricorrono spesso a termini quali frammentarietà, discontinuità, eterogeneità, disordine, che riconducono all’immagine di una realtà apparentemente dominata dal caos, priva di forme, difficile da comprendere e che spesso è vista come una delle cause di un nuovo e diffuso malessere individuale. L’immagine di molti paesaggi che ci circondano appare ai nostri occhi ancora più caotica proprio perché non riusciamo o stentiamo a individuarne le ragioni e regole interne. Quello che riusciamo a percepire più nitidamente è il senso di disagio, il disagio nell’osservare lo scempio dei paesaggi a noi più cari e l’impotenza nei confronti di una logica industriale ed economica che va a cozzare contro le più resistenti barriere ecologiche, morfologiche, ed insediative, un’industria che ha mutato le forme, i colori, i rumori, gli odori dell’ambiente, avvolgendosi in una cortina grigia di fumi e cemento, che sembra barattare malessere fisico con benessere economico, salute con sicurezza di lavoro, qualità della vita con speranze emancipative. Quello che si stende oggi davanti ai nostri occhi è un paesaggio crepuscolare, popolato da recinti e muri che si sollevano oltre l’altezza dell’occhio, facendo da schermo alle architetture industriali: esuberanti, monotoni ed ossessivi volumi che hanno sempre anteposto la quantità alla qualità, la funzionalità all’estetica, la cui unica componente significativa è espressa da svettanti ciminiere, punti esclamativi atti a sottolineare lo squallore di un paesaggio, di un ambiente, di un territorio, che nell’arco di pochi decenni ha sepolto tutto quello che era stato delle civiltà precedenti .
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    Il nuovo “paesaggio della produzione”, come diretto risultato di semplici necessità prestazionali senza alcuna ricerca di dialogo con l’esterno. è così diventato sempre più introverso ed anonimo nelle forma. Nella maggior parte dei casi il punto di partenza è sempre stato lo “scatolone prefabbricato” che, secondo la logica neutra del contenitore, non lasciava vedere o immaginare quasi nulla di ciò che accadeva all’interno. A cambiare saranno anche soprattutto i modi di insediarsi. Se in passato...

    Project details
    • Year 2010
    • Status Research/Thesis
    • Type Strategic Urban Plans
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