Chiesa di San Francesco Palena (CH | DOMENICO SCOPA

Restauro conservativo, consolidamento statico Opere Architettoniche, Opere Pittoriche Palena / Italy / 2006

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RELAZIONE STORICA Capitolo 1 Una delle prime notizie della fondazione della Chiesa e convento di San Francesco ci viene fornito da fra Polino da Venezia quando scrive nel testo “Provinciale Vetustissimum” redatto tra il (1334 ed 1344 m.), annovera la chiesa francescana di Palena, questa notizia ci informa che la struttura al tempo doveva essere già ultimata. Palena, unitamente ad altre pochissime città abruzzesi può vantare uno dei primi “locus” dove i francescani alla fondazione dell’Ordine insediarono proprie comunità. Motivo dell’insediamento alle pendici della valle dell’Aventino, fu che Sa Francesco ebbe a risolvere una controversia fra i signori Orsini ed un’altra famiglia, ed i primi, grati al Santo concedettero il terreno su cui sorge la chiesa. La tradizione orale vuole che la chiesa fu fondata addirittura da San Francesco che nel pozzo posto nel chiostro su una pietra il Santo scrisse “fra Francesco poverello”. Dovendo attestare con certezza gli avvenimenti storici accaduti e non essendovi fonti certe di quanto sopra, possiamo però attestare che negli annali dell’Ordine francescano nel secolo XIV troviamo annoverato la chiesa di Palena titolato a San Francesco. A conferma della veridicità degli elenchi, concorre l’Antinori nel quale nelle sue “Memorie” sostiene che nel 1308 la chiesa era completata. A ragione di quanto trascritto riporta che il “Vescovo di Valva, da cui dipendeva Palena, per aiutare i frati, a costruire la chiesa concedette ai fedeli che elargivano limosine una quarantena di indulgenze” Come di consuetudine i francescani utilizzarono una precedente fondazione per erigere la loro chiesa, testimonianza di questo è il campanile. Come sovente accade le antiche torri di avvistamento nel basso medioevo furono quasi tutte trasformate in campanili. L’antichità del campanile è documentato nel fatto che ancora nella seconda guerra mondiale esisteva una grande campana risalente a l’anno mille, la chiesa in questione era intitolata alla Beata vergine del Loco. Altro dato dell’antichità del campanile è dovuto ad una pietra che funge da architrave per una finestra del campanile dove troviamo una data presumibilmente 961 (cfr. relazione soppressione P. Nicola Petrone). Non essendo a conoscenza di tutta la documentazione storica, possiamo dire che i primi secoli di vita del monastero passano nella più assoluta tranquillità. Abbiamo una notizia che in questa chiesa trovava posto e quindi possedeva una altare, la confraternita dei Disciplinanti che successivamente fu aggregata alla cappella di Santa Maria della Neve posta adiacente alla chiesa di san Francesco. Anche sulla data di soppressione non c’è concordanza, c’è una versione che indica il 1596 ed un altra che indica il 1653, per effetto della Bolla di Innocenzo X. Il Ricciotti nel suo volume “Antologia francescana”, unitamente a Cervone attestano che nel 1636 << al presente sono delli sacerdoti et delli laici nel quale hanno abitato quel loco insieme a Mons. Cont. Giovanni Battista Sonnino”, essendo sacerdoti e non frati e che vi anno abitato la soppressione è antecedente a questa data. Il Salimbeni nel testo “Architettura francescana in Abruzzo”a pag. 156, alla nota 13 si afferma che dei 69 conventi presenti nel territorio abruzzese ne rimangono 41 e tra quelli soppressi vi è anche il convento di Palena. Riportiamo di seguito le relazioni sulla soppressione del convento: nell’apprezzo stilato agli inizi del XVII secolo, periodo della soppressione la chiesa viene cosi descritta “ la chiesa di San Francesco, la quale è a una nave coverta con tetti. Il cappellone (abside) è coverto con lamia, dove è l’altare maggiore con una bellissima custodia indorata, in isola (del Gran Sasso?) sopra detto altare, dove assiste il Santo, dietro il choro, alla destra è la Cappella di Santa Maria del Carmine, et nella nave sono sette cappelle sotto diversi nomi di Santi, di bon pittura con la sacrestia, campanile, et campane>> . Ed ancora: nell’apprezzo del 1636 fatto S.M. Jab Giordano, il convento viene così descritto,<< De fuore vi è poi portaria con antro coverto con la bocca della cisterna, introno vi è refettorio, cocina, dispensa, cantina, et altre stanze terranee per comodità dal quale si esce da un giardino. et per gradini di fabbrica si ascende alli dormitorii coverti con tetti ; in piano sono le celle coverte con lamia et sopra tetti; il quale è capace per 20 religiosi. >> In fine: “Relazione del convento di San Francesco dell’ordine dei Minori della terra di Palena << il convento sui monastero di San Francesco dell’Ordine dei Minori Conventuali, situato nella terra di Palena diocesi di Valva e di Sulmona è fuori della terra ma nel borgo in strada publica. La fondazione di detto convento non si trova ma dicono i cittadini haver tempo inteso da loro antichi fosse concesso il luogo dall’Università al Padre Serafico Fancela Madonna di Loreto anzi nella sagrestia vi è il ritratto di San Francesco depinto, e dicesi fosse fatto quando San Francesco vi dimorò per spazio di tre giorni, ne si puol orgumentare l’anno per essere il medesimo scasso per l’antichità. La chiesa sta sotto il titolo et invocazione di San Francesco. L’anno 1631 con l’autorità di Urbano VIII fu prefisso il n° di quattro bocche ma al presente vi habirano di famiglia due sacerdoti, un laico, ed et un terziario. Il convento è di struttura quadrata, è per ogni posto o lato e di lunghezza canne quindici e mezzo sicché intorno intorno sono canne sessantadue e l’altezza canne quattro per ogni parte. La chiesa è lunga canne dodici e mezzo il coro canne due e palmi dui e il rimanente è di muraglia fatta di pietra e di calce, la larghezza sono canne quattro capace e comodo per il popolo. Nella chiesa vi sono nove altari, il coro e la sagrestia, due campane e la maggiore ha seicento cinquanta anni fu fatta. La parte della chiesa riguarda il coro verso il mezzogiorno, da un lato verso l’oriente e dall’altro verso occidente. Nell’entrato al convento si sono oltre il chiostro depinto intorno intorno con la vita di San Francesco da Genefri, et con l’horto col pozzo in mezzo vi sono stanze dieci , cioè refettorio dispense, cucina il cucinotto, la cantina, legnaia con due stalle e pagiari per fieno. Dal parte di sopra a metà salita vi è una stanza da tener legna, e di pianta oltre la cantina per mezzo del dormitorio e le tre logge che sono corrispondenti al chiostro inferiore, vi sono stanze piccole. Ha quasi di fronte nella chiesa di santa Maria della Neve la quale sta attaccata con la chiesa del monasterio, e per essere sito del convento ove è fondata la predetta chiesa di Santa Maria se ne riceve carlini due l’anno per annuo canone. La metà della cera che si pone intorno al defonto e per ciascheduno defunto vi si seppellisce, baiocchi cinque per la sopraffossa. Ha giurisdizione anco nella chiesa di San Nicola situato nella montagna di socci e deii suoi beni tutti per bolla pontificia confermato da Clemente ottavo e da Urbano ottavo, ultimamente con patto e peso di rimarcare detta concessione ogni ventotto anni e di pagar ogni anno due libre di cera al capitolo dei Canonici di San Pietro di Roma. Fatto determinante è che quanto i frati di San Francesco si trasferirono a quello di Sant’Antonio, sempre in Palena, vita della chiesa cambio radicalmente, sia per le linee architettoniche, che miriamo ancora oggi, ma soprattutto quando in questa chiesa vi si insedio prima l’Ordine Secolare e successivamente nel 1681 la Confraternita del Suffragio con il Monte dei Morti, che all’epoca voleva dire una disponibilità economica ragguardevole. . Palena, un di forse capitale dei Peligni, oltre a personaggi ragguardevoli per cittadine imprese e virtù, ebbe a dare alla Chiesa di Dio il famoso Vescovo di Troja, e poscia Arcivescovo di Palermo, Gelatieri di Palena, figlio del Conte Gran Cancellerie del Regno nel 1155; Giovanni Ranellucci, prima Vescovo di Penne nel 1395 e poscia di Orvieto; nonché il Beato Niccolò, morto a Roma in S.Onofrio; la Beata Florisenda, Clarissa in Sulmona; ed il Venerabile P. Falco Gesuita, morto in Nola il 1762. Ebbe molti Provinciali Francescani. A ragione di questo nella chiesa vi sono due sepolture, la loro pietra tombale ormai molto consunta tanto che si fa molta fatica a leggere la dedicazione, (ci ripromettiamo di esaminare attentamente quando si svolgeranno i lavori di restauro), con la speranza di ritrovare le spoglie di qualche provinciale se non addirittura di qualche vescovo . L’intero Abruzzo ed in maniera ed in maniera particolare i monti della Maiella che ne fu l’epicentro nel 1706 venne scosso da un violento terremoto. Anche Palena fu colpita e riporto notevoli danni da questi eventi non fu risparmiata la chiesa di San Francesco. Vennero così intrapresi i lavori di rifacimento dell’intero complesso monumentale, questo comporto grandi trasformazioni se non di volume ma quanto di carattere stilistico. Con ogni probabilità la chiesa doveva essere molto spoglia al suo interno con le coperture a capriate a vista, mentre con le trasformazioni “secondo la moda del tempo” fu trasformata totalmente, furono realizzate le volte i cornicioni, altari, ciclo di affreschi e tutte quelle opere per rendere in stile Barocca. Questo fu possibile perché la Confraternita poteva accedere a molti cespiti tanto che i lavori furono svolti molto agevolmente, infatti tenuto conto che gli affreschi sono gli ultimi lavori svolti all’interno possiamo documentare che nell’anno 1759 tutti i lavori erano conclusi. Inoltre la confraternita era aggregata alla Basilica Lateranense di San Giovanni a Roma (come si evince anche dalla scritta posta sul frontale dell’ingresso principale), e pertanto poteva usufruire di maestranze qualificate, queste provenienti anche dalla scuola napoletana . Questa possibilità economica è documentata attraverso i registri contabili del Catasto Onciario di Palena, per l’anno 1753, la Venerabile Chiesa di San Francesco e SS Suffragio risultava al secondo posto per introiti ed era tenuta a versare un totale di 327,9 once, subito dopo la Chiesa parrocchiale di San Falco. Dai registri contabili della confraternita (di cui riportiamo solo gli interventi svolti alle strutture), non evinciamo molto sotto l’aspetto squisitamente di interventi architettonici. Dalla data di ultimazione dei lavori, da far corrispondere a quella incisa sull’affresco della vergine morente 1759, i lavori al suo interno o esterno sono proseguiti ordinariamente, potremmo dire con un termine moderno nel campo del restauro “è stato svolto accuratamente una manutenzione ordinaria”, sino a quando la chiesa è stata officiata. La chiesa di San Francesco altri due momenti importanti doveva conoscere nella sua millenaria storia e dopo il sisma del 1706,la seconda guerra mondiale che distrusse completamente quello che restava “dell’antichissimo Cenobio ove “Frate sole” pose la prima pietra con la semplice scritta “Fra Francesco Poverello” e l’intervento di rimozione completa delle coperture. Il primo ha spazzato definitivamente quello che era l’antico impianto urbanistico dell’area, il secondo la lettura delle antiche capriate prima che si realizzassero le volte. ATTIVITA’ MANUTENTIVA DELLA CONFRATERNITA ALLA CHIESA DI SAN FRANCESCO Capitolo 2 “Libro della Cassa del Monte de’Morti di Palena, eretto nella Veneranda Chiesa di San Francesco, e Santissimo Suffragio, amministrata dalli Confratelli, in vigore di Bulla di Monsignor di Solmona, ove si registrano gl’Introiti, ed Esiti di detto Monte, come dalli libretti manuali di ogni anno, 1792” -1940 Anno 1792 Contribuzione nuova strada Ducati 1,04 Anno 1793 Per l’imposizione nuova strada Ducati 1,06 Anno 1794 Per la strada Ducati 00,34 Anno 1795 Per la strada Ducati 1,04 Anno 1796 Per contribuzione nuova strada Ducati 1,04 Anno 1797 Per la strada Ducati 1,04 Anno 1798 Per la strada Ducati 1,04 Anno 1799 Per la strada Ducati 1,04 Anno 1800 Per la strada Ducati 1,04 Sei “Fraschi” per l’altare del Sacro Monte Ducati 3,30 Anno 1801 Strada Ducati 1,04 Dodici candelieri piccoli Ducati 3,00 Anno 1802 Strada Ducati 1,04 Anno 1803 Strada Ducati 1,04 Anno 1804 Strada Ducati 1,04 Anno 1805 Strada Ducati 1,04 Anno 1806 Strada Ducati 1,04 Dal 1807 a 1826 Spese varie messe sacerdoti sagrestani organista ceri Ducati 50,00 Anno 1827 Sei candelieri di zinco Ducati 15,50 Riparazione porta chiesa Ducati 6,20 Anno 1833 Comprati due calici Ducati 12,30 Pennacchio stendardo Ducati 19,60 Anno 1836 Per marmorizzare gli altari del Monte della Natività – Altare Maggiore Ducati 22,80 Anno 1843 Imbianchitura dell’altare del Monte con colla Ducati 1,36 Anno 1844 Spese della fabbrica della sacrestia £105,76 Spese della fabbrica della sacrestia (coperture) £8,88 lavori di ristrutturazione della chiesa £100,80 Anno 1845 Spese per la facciata della chiesa £79,12 Porte della chiesa £14,27 Anno 1847 Per l’altare maggiore £59,00 Per l’accomodo dei tetti £6,57 Anno 1852 Diritti pagati in Roma per mezzo di Don Ferdinando Perticone per rimuovere l’indulgenza dell’agregazione della Basilica Lateranenzi £5,25 Anno 1853 Spese per il completamento dei nuovi magazzini £397,55 Anno 1854 Accomodi tetti compresi n°520 travicelli £8,92 Ricostruzione volta e gradini quartini del chiostro £5,22 Anno 1855 Spese per la pittura del coro e della sacrestia £103 ,8 Spese per le nuove vetrine e telai nel coro e sacrestia £14,16 Spese pere lavamano e stipo della sacrestia e del gradino del coro £36,7 Spese per la pittura e doratura in parte della chiesa (scrittura privata) £69,7 Anno 1856 Per accomodi tetti nella casa al chiostro per il pavimento della sacrestia £3,79 Vetrine (corrispondenti alla zona sacrestia) £1,30 Anno 1857 Coperture chiesa £6,80 Anno 1859 Per accomodi coperture chiesa e locali adiacenti £ 3,95 Anno 1864. Spese di culto Accomodi di arredi sacri £120,7 Accomodi tetti e vetrate della chiesa £25,50 Contributo fondiario dell’anno 1864 rendita £79,26 Anno 1867. Spese di culto Accomodi di arredi sacri £124,1 Accomodi vetrate della chiesa £21,25 Anno 1871 Accomodi di arredi sacri lampade votive,cere,olio,vino incenso £57,5 Anno 1872 Tetti e vetrate £61,50 Anno 1873 Tetti e vetrate £59,00 Anno 1874 Tetti e vetrate £62 Anno 1875 Tetti e vetrate ,olio vino, olio lampada votiva £57 Anno 1876 Tetti e vetrate £59,44 Spese di culto Accomodi di arredi sacri £124,1 Accomodi vetrate della chiesa £21,25 Anno 1877 ricostruzione del corridoio della chiesa £497,55 Anno 1878 spese riparazione chiesa £40,00 muratore £43,70 muratore £23,00 Anno 1882 Muratore £24,00 Spese di riparazione £40,00 Anno 1883 Muratore per lavori di riparazione in chiesa £40,00 Falegname £2,64 Anno 1884 Falegname £15,00 Muratore £65,00 Fune campana £9,21 Spese per organo £23,60 Porta nuova £13,80 Accomodo manubrio campana £1,50 Anno 1885 Accomodi campana piccola £6,00 Accomodi campana grande £35,80 Accomodi canaloni £4,00 Lavori di falegnameria £19,90 Lavori tetti chiesa £10,85 Anno 1886 Spese per suppellettili e statue per la chiesa £54,65 £18,15 falegname £20,25 scalandrone nuovo muratore per accomodi tetti £17,00 acquisto di piccoli oggetti comprati per la chiesa £9,00 Anno 1887 falegname £5,00 muratore per tetti chiesa £21,00 lavori di ferro £24,00 Anno 1888 lavori in ferro £8,50 sedie banchi e altri lavori in legno £22,0 lavori in muratura £19,50 Anno 1889 spese per pavimento,coro,presbiterio, £346,02 manutenzione chiesa £50,00 lavori di falegnameria £6,60 lavori alla campana £2,20 pittura £4,40 lavori in ferro £3,40 lavori di muratura £24,64 Anno 1890 manutenzione chiesa £50 lavori di muratura £20,10 pavimento sagrestia chiesa £29,90 Anno 1891 riparazione tetti chiesa £23,10 vetrate e finestrone facciata chiesa £9,70 Anno 1892 muratore per manutenzione fabbricati £49,90 canali di latta per la chiesa £55,59 tetto della sagrestia £26,91 Anno 1893 manutenzione di fabbricati £50 lavori di muratura £26,16 canaloni £21,84 Anno 1894 accomodi per tetti £44,70 lavori di falegnameria £29,35 accomodi di legno £15,95 muratore £14,65 ferraio £19,90 Anno 1895 spese per la campana nuova £151,35 Anno1896 muratore per riparazione fabbricati £86,27 muratore per riparazione fabbricati £86,27 manutenzione chiesa £40,00 Anno 1899 accomodi tetti chiesa £22,20 falegname per banchi porta chiesa £11,45 fabbro per canalone,gradinata,tintura £14,83 Anno 1901 lavori di muratura accomodi nicchia del santo £12,65 Anno 1904 riparazioni tetti chiesa £80,00 spese per lavori di ristrutturazione tetti £224,11 cupola del tetto £27,35 Anno 1905 tetti canali lavaggi finestroni £12,50 finestrone nuovo £6 riparazione tetti £50,00 Anno 1908 riparazione tetti canali e tintura chiesa £43,75 riparazione porte chiesa £30,75 Anno 1909 falegname per porte e finestre £41,45 fabbro per campanile £5,25 riparazione a fabbricati £3,00 riparazione coro sagrestia e canale tetto £110,30 Anno 1910 tegole per tetti della chiesa £209,50 riparazione ai tetti £190,20 riparazione straordinaria di fabbricati £4,00 Anno 1913 riparazione pianerottolo chiesa £4,50 acquisto tappeto altare maggiore £63,00 Anno 1914 riparazione scala per altare maggiore £9,00 Anno 1920 venduti marmi altari vecchi ricavati £290,00 comprato volante asso e manifattura organo £205,00 DESCRIZIONE DEL MONUMENTO Capitolo 3 Come già evidenziato nella relazione storica tutto il complesso monumentale di San Francesco, Chiesa e convento sono state fondate a cavallo del 1300 e più esattamente tra il 1290 ed 1330. Mentre il campanile risale intono all’anno mille, quando in primigenita era una torre di avvistamento e successivamente quando fu inglobata nella chiesa di Santa Maria del Loco fu trasformato in campanile. Dei primi secoli di vita del monumento non sappiamo nulla di come si strutturava architettonicamente la chiesa. Dalle varia pubblicazioni inerenti l’insediamento francescano in Abruzzo ed in particolare nella custodia di San Bernardino deduciamo che la chiesa rientra nella comune tradizione edilizia francescana e cioè: chiesa a navata unica, non molto slanciata in altezza, con copertura a capanna e capriate a vista, campanile posto in fondo alla chiesa e convento con chiostro centrale. La chiesa è posta nel centro storico della cittadina di Palena, situata nella parte più alta del centro storico, l’impostazione planimetrica è la seguente: la chiesa si sviluppa lungo l’asse longitudinale nord-sud alla sua destra vi era il convento, posto ad una quota più alta rispetto alla chiesa per via dell’orografia del terreno, all’estremità sud-ovest posto a cerniera si attesta il campanile. Unico elemento architettonico che ha subito modeste modifiche. I grandi cambiamenti che trasformano radicalmente la chiesa di San Francesco sono quattro: nel 1635 la soppressione della comunità francescana, nel 1700 quando nella zona vi si verificò un violento terremoto, nel 1945 secondo conflitto mondiale, nel 1984, a causa di un ulteriore evento sismico. Alla soppressione francescana sia la chiesa che il convento passano a fa parte dell’ordine secolare, ed intorno al 1650 vi si insedierà la Confraternita del Suffragio con il Monte dei Morti, che ne cambio radicalmente tutta la struttura interna riadattandola allo stile Barocco molto in voga in quel periodo. Nel 1700 tutto l’area del massiccio della Maiella fu scosso da un violento terremoto, provocando distruzione e morte, anche Palena fu colpita e molti edifici religiosi riportarono notevoli danni tra cui anche la Chiesa di San Francesco. Questo evento diede la possibilità di trasformare completamente tutto l’interno della chiesa e con ogni probabilità le facciate esterne furono intonacate, creando modanature cornicioni che la chiesa non presentava visti i sondaggi svolti sulla muratura. Il paese di Palena doveva conoscere un ulteriore periodo buio della sua lunga storia ( il riferimento va alla seconda guerra mondiale e alla particolare importanza di Palena come nodo strategico militare dell’intera valle dell’Aventino). I massicci bombardamenti hanno distrutto gran parte del paese, la chiesa di San Falco fu completamente rasa al suolo, mentre sorte migliore ebbe la chiesa di San Francesco di cui la parte che andò completamente distrutta fu il convento Intorno agli anni ottanta furono ricostruiti completamente le coperture della chiesa, non sappiamo se questo intervento è dovuto all’evento sismico o al pessimo stato in cui versava le coperture o da entrambi i fenomeni. Sta di fatto che l’intervento realizzato ha completamente modificato il sistema di copertura costituito da capriate lignee arcarecci pianelle e coppi, al loro posto si è intervenuti massicciamente con il cemento armato realizzando cappe armate, cordoli di coronamento ed un grande solettone costituito da travi in cemento armato precompresse, tavelloni e manto di copertura in coppi. Questo intervento oltre ad avere compromesso definitivamente di ciò restava delle antiche coperture ha creato un sovraccarico oltremodo eccessivo per le strutte sottostanti e un quadro fessurativo non sufficientemente risolto, tanto che unitamente ad infiltrazioni di acqua piovana e perdite da condotte fognarie ed idriche contribuiscono al cedimento del terreno sulla parte destra della chiesa tanto che gli archi che sorreggono il tamburo e cupola si presentano lievemente depressi in chiave soprattutto lungo lasse trasversale. Pertanto la descrizione riguarderà solo la chiesa ed il campanile essendo il convento andato completamente distrutto con l’evento bellico. La chiesa si presenta a navata unica “lunga canne dodici e mezzo, ed il coro canne due e palmi dui ed è larga canne quattro capace e comoda per il popolo”, tradotto in m. abbiamo la navata lunga m.26,42, per una ampiezza di m. 7,70, alta m. 14,92, mentre in chiave alla cupola abbiamo m. 18,47, il coro ha una dimensione di m. 7.26 per m. 6,20 per una altezza di m. 7.33, mentre l’attigua sacrestia ha dimensioni m.6,45 per m. 3,63 ed una altezza di m.5,75. Per chi varca il portale in pietra non pensa minimamente di trovarsi davanti una ricchezza decorativa così importante tanto da lasciare stupefatti e con una domanda come in piccolo paese alle pendici della Maiella si custodisca al suo interno una così importa magnificenza architettonica. In questa chiesa tutto è magnificato, dalla Confraternita che ha permesso questa realizzazione al periodo stilistico con cui è stata trasformata, cornici statue, modanature, racemi, affreschi, il tutto senza eccessi ed in una visione prospettica molto calibrata ed attenta. Quando si passa dalla chiesa al coro lo stile non cambia nella parte bassa rimane ancora il coro ligneo seicentesco luogo di preghiera dei frati, mentre nella parte alta attraverso le immagini ed i segni inconfondibili tutto ci racconta della Confraternita. La confraternita avendo la pietà dei morti godeva di una certa capacita finanziaria tanto da poter gestire una scuola materna all’interno del convento, avere in affitto degli appartamenti a Napoli e molti abitazioni in Palena e non da ultimo vantava la aggregazione alla Basilica Lateranense di San Giovanni in Roma a cui poteva attingere a maestranze qualificate per rendere la chiesa così fastosa. Entrando, come in uno specchio quello che vediamo a sinistra è uguale a quello di destra, troviamo il coro in legno sorretto da due colonne, avanzando lateralmente leggermente incassati nella muratura troviamo l’altare di Santa Lucia a destra e quello di Sant’Anna a sinistra, tra i due altari vi sono leggere differenze dovuti alla virtù delle sante espresso più nelle decorazioni che nella struttura organizzativa stilistica. La differenza più emergente è rappresentato dal gruppo marmoreo ad alto rilievo presente nell’altare di Santa Lucia. Al centro della rappresentazione scenica del fondale dell’altare troviamo un grande ellisse su cui si incassavano le tele votive, mentre nella parte alta sempre a rilievo è stato rappresentato la scena madre della vita della santa. Andando oltre in prossimità del presbiterio al disotto della grande cupola vi sono gli altari dedicati al fondatore dell’Ordine francescano e a quello che più di altri ha diffuso il francescanesimo in tutto il mondo, molto cari alla tradizione francescana, a sinistra è collocato l’altare di sant’Antonio da Padova e a destra quello di San Francesco d’Assisi, di cui si narra che abbia fondato questo convento. Questi altari si presentano molto imponenti e con una gerarchia architettonica molto ben definita, non essendo incassato nella muratura si presentano piuttosto pronunciata dal filo murario. Tutto il complesso scultoreo si suddivide in tre parti: - la base costituita dalla mensa in pietra di Maiella, ed una riquadratura ad elementi geometrici a doppio livello, come se costituisse il basamento di un tempio, - al disopra vi sono poste delle colonne circolari con capitelli ionici e paraste nonché delle statue femminili che sorreggono testi sacri e palme in gesso di buona fattura, all’estremità vi sono due medaglioni raffiguranti scene della vita del santo al centro vi è posta la nicchia, realizzato in cartapesta da scuola leccese, - sopra i capitelli si sviluppa tutta una trabeazione in parte rettilinea parte curvilinea, in sommità troviamo degli angeli che sorreggono un medaglione, in cui vi è rappresentato la vergine che colloqui con dei fanciulli, altre figure scultore unitamente a vasi con fiori, racemi concludono il fondale dell’altare. Sulle stesse linee architettoniche si sviluppa l’altare di San Francesco, unico variante è rappresentato dalle statue che sono maschili e sorreggono delle tavole su cui vi sono incise delle frasi proclamate dal Santo e del putto posto in sommità che sorregge un cartiglio su cui è inciso una frase sempre del santo. Nella parte conclusiva costituito dal presbiterio, altare maggiore, e fondale scenico molto esuberante nelle sue linee architettoniche. L’altare pur essendo entrato nella memoria storica non è coevo al periodo di realizzazione dello stile barocco anche se il tentativo di imitazione risulta molto goffo realizzato con ogni probabilità intorno agli anni cinquanta. Il fondale che conclude il presbiterio chiude anche tutto il ciclo architettonico della navata autentico pezzo di arte barocca esplode in tutta la sua monumentalità, con doppio ordine di colonne affiancate una circolare e l’altra tortile di memoria berniniana accanto vi sono due statue ciclopiche con un movimento dei corpi molto accentuati questo ancora più evidente nelle vesti. Le due statue rappresentano Re Davide, e Re Salomone. Al centrodell’altare è collocato un dipinto ad olio su tela, firmato Girolamo Cenatiempo (da Napoli notizie dal 1700 al 1744 m.), raffigurante Madonna con Bambino e San Francesco che sembra essere stato commissionato appositamente per quell’altare. Come sappiamo l’arte barocca incentra tutta la sua potenzialità nella scenografia attinge le sue forme nella natura tutto deve stupire colpire lo spettatore quasi a nichilirlo infatti la monumentalità dell’altare e del suo sfondo prende sia in larghezza che in altezza tutta la parete di fondo. Il coro luogo di intima preghiera dei frati troviamo ancora gli scranni, al di sopra di essi si sviluppa tutta la scenografia con immagini e simboli della “Morte”, o comunque del passaggio tra la vita terrena e l’aldilà, oltre ad aver tenuto i simboli del francescanesimo. Questa parte è decorata sia con stucchi che con immagini e prende tutto l’ambiente sia sulle pareti verticali che sulle volte. A tutto questo non va dimenticato gli affreschi di ottima fattura, realizzati nel 1756 come si legge sull’affresco che rappresenta il trapasso della Vergine. Il ciclo pittorico inizia con la scena posta sull’ingresso rappresentante la fuga in Egitto della Sacra famiglia, in prossimità della cupola vi è un grande affresco che ritrae il trapasso della vergine, mentre sul presbiterio l’affresco rappresenta una scena di vita quotidiana di Cristo. Ad uno sguardo più attento denotiamo che non tutti gli affreschi sono della stessa mano con sufficiente certezza abbiamo gli affreschi posti sulle volte sono tutti della stessa mano mentre quelli posti sui verticali sono stati realizzati da altri. Ai lati dei due finestroni posti sotto la cupola vi sono rappresentati le quattro virtù teologali, questi riportano anche la firma dell’autore.negli altri spazi residui troviamo figure tratte dall’antico testamento nonché successori di Pietro. Questo luogo è rappresentativo della confraternita luogo di riunione e di decisone, tutto esprime la gloria e la potenza e economica di questa antica confraternita nota intorno agli anni 1650 e vissuta fino agli anni 1950, anche se ne troviamo traccia sino della sua attività sino agli anni 1970, ma ormai solo poco che una semplice istituzione. Certo oggi con tutto lo stato di degrado che giorno dopo giorno si sta impadronendo il complesso monumentale da un segno di tristezza e di rovina più di quanto in realtà forse non sia, certo che con il restauro che ci apprestiamo a svolgere siamo sicuri di riportare al suo antico splendore la chiesa di San Francesco d’Assisi. In tutto questo splendore anche se con le sue forme austero non va dimenticato il campanile, nato come torre di avvistamento prima del mille successivamente quando fu eretta la Chiesa di Santa Maria del Loco trasformato un campanile. Con ogni probabilità quando nel settecento fu modificata la chiesa anche il campanile è stato ingentilito proprio nella parte che fu sopraelevato intorno all’anno mille. Le modifiche riguardano gli angoli ed un suntuoso cornicione di coronamento. RELAZIONE TECNICA SCIENTIFICA E METODOLOGIA DI INTERVENTO Capitolo 4 Premessa Il degrado, nel suo più ampio significato, interessa i singoli componenti la struttura nel disfacimento progressivo del loro materiale costituito per azioni meccaniche, chimiche, cause più o meno naturali, ecc. ma è allo stesso tempo causato dal venir meno del funzionamento globale della struttura, o di sue parti, con la progressiva perdita nella fabbrica dell’equilibrio statico preesistente e la conseguente diminuzione dei fattori di sicurezza. La struttura, molto semplicemente, è la parte resistente, maglia portante o “scheletro” di un manufatto ed è formata da tanti quelli elementi, che hanno il precipuo compito di ricevere i carichi, sostenerli e trasmetterli, secondo gerarchie e logiche ben precise; logiche, o comportamento d’assieme, su cui si fonda la stabilità ed il mantenimento della fabbrica, o di sue parti, e di tutti quei valori, funzioni e requisiti che in essa si riscontrano, per i quali essa è stata voluta e che devono prolungarsi nel tempo. Da sempre qualunque fabbrica nasce con un preciso scopo e per un ben determinato fine, e di valori e messaggi che travalicano nel tempo l’oggetto materico ponendolo a simbolo ed immagine di fatti, personaggi, ecc.; sono costruzioni fatte per “sfidare il tempo” o la loro durata è indipendente dagli eventi che la possono colpire sia di origine naturale che umana. Proprio il materiale, quello “strutturale” per primo, ha avuto da sempre un ruolo fondamentale per la fabbrica tenendo conto del fatto che la inevitabile autarchia in cui si muovevano i costruttori di un tempo, a causa di oggettive difficoltà di reperimento e di trasporto dai luoghi di produzione, obbligava gli stessi, dall’artigiano, all’operaio di cantiere, al progettista, a una continua ricerca di soluzioni per sfruttare al meglio la materia in loro possesso. Ogni momento storico, più o meno lungo, più o meno definito, legato inoltre ad esigenze d’uso che mutano, ha quindi un suo proprio costruito al pari di ogni regione, di ogni contrada dove l’uomo ha lasciato traccia perché i materiali e le tecniche edificatorie che ne conseguono lo “segnano” in modo preciso. Il primo passo quindi per affrontare il degrado della struttura di un manufatto antico è quello di saperne leggere ed individuare con chiarezza la struttura medesima con le relative anomalie dal modello originario voluto dal progettista. L’intervento successivo sul manufatto – dopo la fase di profonda, ma anche “umile” conoscenza – sarà del tutto in linea con lo stesso perché il restauratore diverrà l’interprete e non il prevaricatore di fatti materiali sopravvissuti al loro tempo e pervenutici da un mondo sostanzialmente diverso. E’ molto importante, dunque, leggere in modo chiaro la struttura di una fabbrica, estrarla dal suo contorno, per quanto possibile, senza dimenticare le difficoltà che ciò comporta quando ci si rivolge al passato; un passato che bisogna conoscere a priori nei materiali che ne costituiscono le opere, nei modi che si sono “messi assieme” e coesistono oggi, nelle tecniche (definibili talvolta “artifici costruttivi”) con cui sono state realizzate maglie esistenti che travalicano con il comportamento d’assieme quello dei singoli componenti. Bisogna, per questo, cominciare a pensare la fabbrica nella interezza, come una macchina unica, talvolta complessa, tal altra più semplice, al cui funzionamento concorrono numerosi fattori ed elementi all’apparenza, o inizialmente, non proprio strutturali: infatti le costruzioni, entro certo limiti, riescono ad adattarsi a mutate condizioni di carico, a “violenze” più o meno naturali perpetrate ai loro danni, ricercando al loro interno schemi alternativi di compromesso e di risorsa statica, nuove condizioni di equilibrio. In questa nuova assegnazione di ruoli i vincoli si modificano, variano i contatti tra i componenti e l’equilibrio del tutto si stabilisce e si mantiene per il contributo di altri protagonisti della logica strutturale del manufatto. La logica strutturale, secondo cui la fabbrica esiste, prende origine da tale disegno, è ancora il medesimo a volte, ma è il frutto più spesso di successivi adattamenti a mutate condizioni al contorno, manomissioni, trasformazioni e “sofferenze” che il manufatto può avere subito nel tempo e di cui reca tracce più o meno evidenti; per mantenere in efficienza i requisiti di equilibrio, pur diversi da quelli assunti inizialmente, alcuni elementi strutturali avranno mutato il loro ruolo e modificato il loro apporto, altri avranno abbandonato magari quella funzione di riserva statica iniziale per diventare protagonisti attivi ed indispensabili della sopravvivenza del manufatto, altri saranno addirittura “usciti di scena” in modo definitivo, anche se presenti. La difficoltà di lettura per comprensione dei “malesseri”, o del degrado statico del costruito, risiede proprio nel distinguere per prima cosa i compiti di tutti gli “attori del gioco strutturale” verificarne l’efficacia singola, o d’assieme, e ricondurli, quando e se possibile, a schemi e formule consueti; ciò significa pure scomporre la fabbrica, organismo resistente fortemente iperstatico, in più sistemi staticamente determinati. Il degrado E’ possibile ora prendere in esame il degrado, inteso come progressivo venir meno di una logica strutturale valida nella fabbrica, pur diversa da quella originale, che non trova più al suo interno risorse e meccanismi di risulta alternativi ad altre forme di equilibrio statico; tale logica può venir meno sia per deficienza dei singoli componenti, sia per meccanismi che interessano la maglia resistente nel suo complesso . Il primo sintomo di tali sofferenze è allora la lesione, la perdita di continuità del materiale che denota il raggiungimento delle sollecitazioni unitarie di rottura per le cause le più svariate. Al di là di certi aspetti canonici, per andamento e forma, delle lesioni (a 45° per sollecitazioni da taglio, lenticolari per sforzi predominanti di compressione, ecc.) va subito chiarito che mentre il rapporto causa-effetto è del tutto univoco, non lo è altrettanto quello effetto-causa. Troppi infatti i componenti che la fabbrica richiama nel rispondere a situazioni anomale di carico, a cedimenti differenziati nelle sue fondazioni, troppe le variabili in gioco, prima tra tutte i materiali e i loro legami. Le tipologie costruttive e i materiali impiegati (la fabbrica stessa in sostanza) dovrebbe suggerire sempre, o sconsigliare magari, certi interventi. Tra gli esempi di debolezza diffusa più comuni, almeno per il passato, si colloca l’inserimento del cordolo continuo in calcestruzzo lungo la muratura portante per dare appoggio ad un solaio in latero cemento in sostituzione di quello ligneo originario. Certe murature infatti, non particolarmente compatte o ben legate, male sopportano la riduzione di sezione che non viene ripristinata dal cordolo in opera, anche perché i diversi materiali non si legano a sufficienza Problematiche connesse al restauro Nell’ambito degli interventi sui beni architettonici e, più ampiamente sul costruito preindustriale, ricorrono situazioni che spesso vengono risolte in maniera estremamente semplicistica, con atteggiamento superficiale e contraddittorio tra l’enunciato teorico e i risultati che si possono ottenere nel contesto storico in cui si opera. Soprattutto questi modi di procedere vengono talvolta giustificati ricorrendo a termini consolidatisi negli anni, nell’ambito degli addetti al restauro e/o alla conservazione, e spesso sono diventati significati assoluti, veri e propri assiomi da perseguire necessariamente. In effetti usare concetti dai significati assoluti nell’ambito del restauro dei monumenti, difficilmente imbrigliabili in schemi predeterminati, è assai arduo, in quanto ogni volta necessitano scelte progettuali diverse, difficilmente separabili dalla capacità di sintesi del progettista, il quale dovrebbe operare non secondo schemi preconfezionati (questo non significa non seguire determinate raccomandazioni, ad es. i Normal), ma in funzione di una singolare procedura, originale per tutti i progetti. Il progetto di restauro non è solo una serie di sterili indagini iniziali fini a se stesse, ma diventa parte integrante della progettazione architettonica, rapportandosi direttamente con la difficile opera di salvare il costruito che già esiste e non con quello che ancora si deve costruire, come avviene invece nella progettazione ex novo. Di seguito si riportano alcuni di questi aspetti terminologici a cui noi ci riferiamo. La reversibilità è uno dei concetti più complessi; ricercata voluta da tutti i restauratori, anzi uno dei concetti base del restauro, risulta nella realtà estremamente complessa, e in alcuni casi anche poco chiara, a causa della molteplicità di sfaccettature che essa può assumere Brandi, “che essenziale scopo del restauro non è solo quello di assicurare la sussistenza dell’opera nel presente, ma anche di assicurare la trasmissione nel futuro: e poiché nessuno può mai essere certo che l’opera non avrà bisogno di altri interventi, anche semplicemente conservativi, nel futuro, occorre facilitare e non precludere gli eventuali interventi successivi”. La compatibilità è tra le componenti che caratterizzano gli interventi sull’antico, il concetto di compatibilità dovrebbe sempre interessare tutte le fasi del progetto e dell’esecuzione. Come nel caso della reversibilità anche questo termine ha un ventaglio di diversi possibili significati. Il più immediato è sicuramente la compatibilità di tipo chimico-fisica con i materiali preesistenti e la compatibilità meccanica tra materiali vecchi e nuovi. Ma la compatibilità è anche di ordine critico, e investe la sfera dell’immagine del monumento, per cui occorrerà valutare ogni volta l’opportunità di inserire una determinata struttura in funzione della lettura globale del costruito storico, mettendo in rapporto tra loro i concetti di compatibilità, reversibilità e durabilità nel tempo, innescando cioè il complesso processo critico che deve essere alla base di qualunque intervento di questo genere. I materiali da utilizzare nell’ambito di un intervento di restauro dovrebbero essere caratterizzati da proprietà simili ai materiali già in sito per quanto riguarda soprattutto la durabilità. La compatibilità dei materiali impiegati deve essere valutata dal punto di vista sia chimico che fisico, nel caso si tratti di interventi nei quali sono utilizzati materiali metallici è necessario considerare anche gli aspetti elettrochimici. Ai fini dell’intervento sul costruito storico, la caratteristica da valutarsi prioritariamente è la compatibilità chimica, ovvero si deve decidere se i materiali da utilizzare possono reagire o no tra di loro. Diventa di conseguenza indispensabile valutare, sin dalla fase delle indagini preliminari, durante l’iter progettuale e, a maggior ragione, durante il corso dei lavori di restauro, in continua evoluzione, la reattività chimica (compatibilità) dei materiali da usarsi con quella dei materiali già in opera. Anche il concetto di durabilità può suscitare alcune perplessità interpretative, dovute a quanto è stato detto per la reversibilità oltre alla tendenza attuale a porre un limite di durata per ogni prodotto. Anticamente la durabilità di un materiale era pensata con valenza centenaria, oggi esiste tuttavia un’altra tendenza, legata al consumismo imperante del mercato attuale: si tratta di una regola non scritta, ma semplicemente serpeggiante all’interno di vari cantieri di restauro, oltre che di quelli in cui si costruisce ex novo. L’uso di determinati materiali viene ormai valutato su un tempo medio di dieci anni. Il minimo intervento si presta ad una letteratura amplissima e può considerare esempi assai diversi tra loro; tra questi si possono classificare anche casi non solo strettamente legati alle sole murature intese come aspetto materico, ma ad esempio anche inerenti i parametri microclimatici all’interno di una struttura architettonica che deve avere funzioni di tipo non e/o museale. L’autenticità di qualsiasi intervento è dato dalla necessità dalle integrazioni da effettuarsi su qualsiasi tipo di monumento noi stiamo intervenendo. Le parti di nuova esecuzione utilizzate come integrazione dovrebbero essere riconoscibili per consentire la distinzione delle parti originali da quelle integrate. Questo vale a tutti i livelli, dalla sostituzione del lapideo perché gravemente e irreparabilmente danneggiato, all’integrazione dell’intonaco in lacune che come tali possono essere ulteriore veicolo di immissione umida all’interno dello stesso paramento intonacato. La manutenzione negli ultimi trent’anni ha rivestito un grande ruolo nel dibattito del restauro, altro termine assai ambiguo nei suoi molti significati. A seconda di come si opera la manutenzione è considerata il miglior modo di intervenire e conservare, oppure un metodo distruttivo del bene, un atto di conservazione o la continua manutenzione del bene, stratificando in questo modo interventi successivi non tutti consoni alla conservazione. Tantomeno sono di aiuto le definizioni di legge relative alla manutenzione, che come ormai noto da molto tempo, significano operazioni completamente diverse dal termine manutentorio con cui vengono indicati i lavori che precedono le voci “restauro” e “ristrutturazione”. I termini ordinaria e straordinaria manutenzione sembrano oggi oltre che usati addirittura abusati, spesso in forma maldestra. Solo il nuovo regolamento da una definizione più confacente alla materia “…per restauro si intende l’intervento diretto sul manufatto volto a mantenere l’integrità naturale e ad assicurare la conservazione e la protezione dei suoi valori culturali . È significativo al riguardo come descritto nel cap. 2 come la Confraternita annualmente svolgeva una manutenzione sistematica e sistematica quando venne meno questa pratica ne giro di pochi decenni le coperture si sono dovute ricostruire completamente. La vera manutenzione su un manufatto sano dovrebbe essere quella preventiva, da mettersi in atto prima che il bene deperisca, o quantomeno presenti sintomi che fanno presagire il suo mutamento. Intervenire dopo che il male si è già manifestato è già una cura, e quindi un modo per tamponare un danno già in atto. I piani di manutenzione dovrebbero essere considerati in questa logica, attraverso operazioni di pulitura superficiale, non traumatica, eliminando elementi che si depositano periodicamente su quella determinata parte del monumento, evitando infiltrazioni umide, ecc.. Il contesto della manutenzione dovrebbe essere assai vicino a quello del minimo intervento, non in una fase restaurativa, quindi già di cura, ma in precedenza, per evitare di entrare in una fase patologica. Intervento di restauro sui materiali Il delicato argomento del restauro implica problemi assai complessi, che devono essere ben focalizzati prima di intraprendere qualsiasi operazione, anche preliminare. “la problematicità culturale del restauro, quale intervento che si pone come equivalente metodologico e operativo dell’azione critica, risiede nella questione basilare, in cui convergono tutta la dialetticità e ogni valutazione, della precisazione dei limiti, non concettuali ma reali e concreti della conservazione (….). Il compito difficile della cultura, in questo campo, è proprio quello di delimitare e regolare l’intervento, per far coincidere concetto e metodo, teoria e prassi, momento valutativo e momento operativo della critica, scopi e risultati di una larga e comprensiva accezione dell’ambito categoriale” (Carbonara). Ed ancora “il dilemma fondamentale, conservazione o intervento, storicità o esteticità del restauro, resta comunque sempre presente e non basta a risolverlo negare uno dei termini, agendo da un lato, da disinvolti innovatori e dall’altro da accaniti conservatori; esso può e deve essere affrontato ogni volta con un atto ed una scelta critica che, in quanto tale, è soggettiva, ma non pre questa infondata o arbitraria (Carbonara). Il soggettivismo della scelta non è da intendersi come personalismo progettuale di tipo distruttivo, ma come atto cosciente e meditato in funzione della maggiore conservazione possibile del bene su quale si deve intervenire. A questo punto, “frammentando” idealmente il concetto di restauro inteso nella sua globalità si vuole entrare unicamente nell’ambito squisitamente tecnico dell’intervento sui singoli materiali, ovvero passare a quella fase successiva, dove almeno parzialmente, è già stata definita la logica che presiede l’intero ciclo operativo. E’ notorio che, in un cantiere di restauro, le scelte anche se seguite all’atto del progetto del restauro, a seguito di indagini diagnostiche preliminari, devono essere modificate, adattate a quanto viene alla luce durante i lavori, per cui è necessario continuarle anche durante la fase operativa, e questo succede frequentemente anche quando le campagne di studi e diagnostiche preliminari sul bene da restaurare sono state lunghe e approfondite. STATO DI DEGRADO La bellezza artistica e il messaggio storico dei monumenti non bastano a sottrarli agli inevitabili effetti della seconda legge della termodinamica e della irreversibilità dei suoi processi. E’ importante tener presente che viviamo in un universo pervaso dal divenire in cui l’immutabilità non può applicarsi al mondo fisico e materiale ma solo trascendere nell’astratto e nel metafisico. Per rallentare il degrado dei monumenti sono indispensabili, come “purtroppo” è avvenuto per la chiesa di San Francesco, degli efficaci interventi conservativi e non ci si può accontentare di una manutenzione (come in questo caso assente per decenni), più che altro contemplativa praticata nei giorni nostri. Le tecniche di restauro e di conservazione, per lungo tempo abbandonate ad un confuso empirismo si sono evolute in maniera considerevole negli ultimi decenni grazie al notevole contributo di una pluridisciplinarietà legata all’architettura, ingegneria, scienza dei materiali, biologia, climatologia e scienze umane. Si tratta quindi di tessere insieme questi vari aspetti della scienza e della tecnica per giungere ad una visione plurima del monumento, costituita da tante sfaccettature. Le condizioni con cui i nostri monumenti arrivano sino a noi sono tanti, a volte quasi come ruderi, a volte di fatiscenza avanzata, a volte come nel nostro caso piuttosto compromesso. Se a questi stati di conservazione dei nostri monumenti si aggiunge forti rimaneggiamenti e trasformazioni ci si può facilmente rendere conto in quali condizioni i nostri monumenti ci raggiungono. A tutto ciò va aggiunto un ulteriore fattore che è quello più grave e che affliggono la stragrande maggioranza dei nostri monumenti e cioè la scarsa manutenzione, o ancor di più quanto per lunghi anni non vengono utilizzati. La suddivisione ormai classica fra cause “intrinseche” ed “estrinseche” già introdotte dall’Alberti “i difetti degli edifici possono essere quasi congenite e connaturati da cause esterne. Cause intrinseche: - dovute al sito in cui è stato edificato, in special modo la Chiesa poggia le sue fondamenta parte su banco di roccia lato sinistro, terreno compatto lato desto e su porzioni di stratificazioni su precedenti insediamenti (chiesa del Loco); - dovute a difetti di progettazione, che possiamo accostare alle varie epoche e metodologie di edificazione, soprattutto considerando l’ultimo intervento svolto alla metà degli anni ottanta; - dovute ai materiali alle tecnologie costruttive; i vari materiali impiegati laterizi, pietra, blocchi di marmo, in alcuni parti costruzione a sacco, in altre parti costruzione continua cemento per cordoli ed intonaci esterni, ecc,. - cause estrinseche naturali ad azione prolungato nel tempo primo fra tutte: l’umidità sia di costruzione che per capillarità, igroscopia, condensazione dell’umidità atmosferica, infiltrazione. Gli effetti nocivi dell’acqua E’ quasi a malincuore che, dovendo trattare di scienza dei materiali, bisogna purtroppo ammettere che l’acqua è il nemico comune della maggior parte dei materiali da costruzione. Il deterioramento della pietra, la disgregazione delle strutture cementizie, la corrosione dei metalli la decomposiozione del legno, l’invecchiamento delle materie plastiche comportano tutti delle reazioni più o meno dirette con l’acqua. L’acqua può manifestare la sua azione distruttrice tramite fenomeni puramente fisici come ad esempio il caso del gelo, oppure può comportarsi da veicolo dai sali solubili e provocare processi di dissoluzione, cristallizzazione e idratazione. Fenomeni di dilavamento sono presenti sulla retrofacciata del rosone, in alcuni punti sottostanti i finestroni laterali e persino su uno dei pennacchi della volta dove sono presenti gli affreschi con i quattro evangelisti. Dopo aver visto alcune caratteristiche peculiari macro e microscopiche dell’acqua passiamo ad analizzare le cause principali di umidità presenti. E’ importante tener conto dei tre fattori che determina l’umidità: l’umidità residua, l’umidità meteorica, l’umidità di condensazione, condensazione superficiale, pioggia e risalita capillare, da infiltrazione dovuto allo scarso funzionamento dei pluviali. Questi fenomeni tutti presenti in varie parti della Chiesa (in alcune zone meno presenti, in altri parti in piena fase evolutiva), fa si che il recupero di tutta la struttura si presenti estremamente complesso Il degrado degli intonaci L’intonaco tradizionale è lo strato di materiale applicato al muro per proteggerlo, o meglio per consentire al muro di regolare autonomamente l’assorbimento dell’acqua dall’ambiente che lo circonda, o il passaggio osmotico tra interno ed esterno. E’ di conseguenza un elemento fondamentale per l’esistenza del muro, e diventa assai importante la sua manutenzione. In alcuni edifici storici, l’intonaco è stato trattato in superficie con diverse tecniche di decorazione quali affresco, marmorino, graffito, ecc. per cui assume ancora più importanza l’aspetto della manutenzione per una buona conservazione del bene. Mentre per quanto quello esterno è in cemento è l’alto spesso re ha ricoperto le modeste modanature presenti. Il degrado degli intonaci è provocato da vari fattori: - interazione dei vari strati componenti l’intonaco stesso, quali ritiro e dilatazione termiche differenziali, rigonfiamenti dovuti ad assorbimento d’acqua, incompatibilità chimica tra i vari materiali; - azione connesse al supporto murario, come tensione di assestamento, umidità, efflorescenze, fattori questi che provocano in genere il distacco dell’intonaco. Tra le offlorescenze, particolarmente pericolosi sono i solfati, la cui presenza nelle murature può produrre ettringite per reazione con gli alluminati di calcio della malta idraulica o thaumasite per reazione con i silicati di calcio idrati anch’essi contenuti nella malta. Mentre la formazione di ettringite da luogo a rigonfiamenti e distacchi dell’intonaco, la thaumasite associata all’effetto dilavante dell’acqua piovana o infiltrazione della stessa, genera una asportazione progressiva della malta; - azione dovute all’aggressione dell’ambiente esterno, che si è trasferito internamente; - dilatazioni e contrazioni dovute agli sbalzi termici, gelo, condensazione ed evaporazione dell’acqua in seguito a variazioni igrometriche, atmosfere aggressive, attacchi biologici. Il degrado si manifesta in questo caso con perdita di coesione superficiale, spolveramento, distacco degli strati di intonaco l’uno dall’altro o distacco intonaco/muratura. Fattori metereologici e climatici Le condizioni atmosferiche sono in rapporto con lo stato di salute di un monumento la pioggia, il vento, il soleggiamento o addirittura determinano direttamente il degrado dell’edificio. Aggressione biologica Per aggressione biologica si intende l’azione alterativa prodotta da microorganismi vegetali e animali, da vegetali superiori, da insetti e da organismi marini da guano degli uccelli. Si prende cosi in considerazione l’ambito dell’alterazione derivante da fonte organica, tralasciando quello inerente al diretto intervento di forma animali superiori, contraddistinti in genere da caratteri di accidentalità e da meccanismi di natura fisica. La dinamica del biodeterioramento muove da una prima fase di contaminazione del materiale, cui seguono la proliferazione in superficie e lo sviluppo in profondità; quest’ultima fase è in particolare responsabile dell’azione alterativa diretta di natura fisico-chimica. Successivamente la colonizzazione di microrganismi può provocare danni indiretti, tramite l’accumulo di sostanze morte o di rifiuto metabolico, pericolose perché permettono la crescita di agenti superiori di degrado o perché esse stesse possono produrre alterazioni chimiche. Inquinamento: polveri – patine di cere incombuste A differenza di quanto avviene per l’uomo la gravità del danneggiamento apportato al monumento non è tanto legato ai picchi d’intensità di inquinamento, quanto alla costanza del fenomeno. I materiali a contatto con gli elementi inquinanti reagiscono secondo meccanismi simili indipendentemente dalla quantità percentuale dell’elemento e non possiedono la capacità degli organismi viventi, di adattarsi, entro un certo limite di tollerabilità, alle condizioni ambientali. L’anidride carbonica a contatto con l’acqua si trasforma in acido carbonico, un tipo di acido “debole” in grado di produrre una modesta alterazione dei materiali lapidei e metallici, soprattutto mediante i meccanismi della carbonatazione e dell’ossidazione, l’aumento di anidrite carbonica nell’aria contribuisce a innalzare il contenuto di acidità dell’acqua meteorica. Il processo fisico di alterazione si distingue da quello chimico perché non comporta la modifica e si attua essenzialmente tramite sforzi e sollecitazioni anche a livello mollecolare. I processi chimici sono dunque più profondi anche se in genere più localizzati ma non è raro trovare una conteporaneità d’azione dei due diversi meccanismi come avviene ad esempio, nei metalli in presenza di corrosione sotto “fatica”. Alterazione fisica: nuova conformazione dei materiali, ossidazioni, cristallizazioni I meccanismi fisici di alterazione si esplicano a scala macroscopiche; i primi riguardano la costanza strutturale dell’elemento coinvolto e richiedono la compressione dell’intero funzionamento statico dell’organismo architettonico; i secondi sono relativi alle sollecitazioni agenti sul singolo elemento resistente e possono consentire in stres “esterni”, diretta conseguenza dei fenomeni macroscopici di alterazioni statica oppure dovuti a cause termiche, e “interni”, derivanti da cristallizzazione dei sali o da gelività. Sollecitazione di carico: problematiche di ordine statico – quadro fessurativo Il meccanismo dell’alterazione per sollecitazione meccanica consiste nell’applicazione di sforzi di trazione e compressione sul materiale e nella differente risposta di quest’ultimo, legata alla sua natura dell’elemento sollecitato (comportamento elastico-plastico dei metalli, comportamento elasto-fragile dei laterizi ecc.). A livello microscopico l’osservazione del fenomeno rivela che i legami atomici del materiale si oppongono alla sollecitazione da carico fino a un certo limite, oltre il quale l’elemento si microfrattura; la presenza di microfratturazioni provoca concentrazioni di tensione nell’apice delle fratture, aggravando localmente lo stato di sollecitazione e portando alla rottura progressiva dell’elemento. Entità e tipologia delle deformazioni grandezza delle forze in gioco e dimensioni del fenomeno variano con i materiali interessati e in ragione del loro ruolo nella costruzione . A questo punto il termine degrado non rappresenta un termine generico in cui far confluire tutta una serie di problematiche molto spesso generici che hanno poca corrispondenza con il maanufatto su cui l’architetto prima ed il restauratore poi intervengono per risanare il monumento da situazioni di “sofferenza”. Il quadro diagnostico che si affaccia dopo un attento sopralluogo visivo è piuttosto variegata, in estrema sintesi le situazioni di maggior degrado riscontrate sono: - ampi brani di intonaco decoeso dall’apparecchio murario; - cornici e stucchi scollati dal supporto murario; - sovraccarichi eccessi; - cedimenti del terreno - variazione della risultante delle forze di equilibrio; - sollevamento dei pavimenti sul lato sinistro della navata, ed abbassamento sul lato destro; - inflessione degli archi su cui si imposta il tamburo della cupola lungo l’asse trasversale; - microrotazione in atto del lato destro; - presenza di umidità discendente dovuto ad infiltrazione di acqua piovana anche se le coperture staticamente sono efficienti ma l’ondulina catramate in più punti è completamente lacera e non riesce più ad assolvere da strato di isolante senza parlare del manto di copertura essendo la maggior parte ciccati e smossi anche loro contribuiscono a far filtrare l’acqua meteorica; - umidità ascendente dovute ad infiltrazione dovuto al terreno soprattutto su lato destro avendo a monte il terreno che formava l’antico chiostro ed inoltre con ogni probabilità al disotto del pavimento passa una antica fognatura mai ispezionata; - distacco di pellicola pittorica in tantissime parti dovute essenzialmente ad infiltrazione di acqua piovana che continua ancora; Saggi di scopertura Nella maggior parte dei centri storici ci si trova ad intervenire su fabbricati con facciate stratificate, che hanno cioè subito nel tempo modifiche nelle aperture, nelle finiture superficiali e nei colori. In fase di restauro ci si pone spesso il problema di quali di queste sovrapposizioni recuperare, per ricostituire l’identità visiva dell’edificio, a maggior ragione se si tratta di un edificio religioso. Spesso il compito non è facile, ed è di competenza dei progettisti, della direzione dei lavori e delle Soprintendenze preposte; potremmo dire tutti, fuorché l’operatore. Per decidere il tipo di sistemazione delle facciata sia esterne che interne o di finiture da applicare è necessario aver prima verificato quanto esisteva in precedenza. L’operazione è spesso complessa e non è sufficiente fermarsi ad una ricognizione visiva generica, ma al contrario va diffuso l’utilizzo sistematico di saggi di scopertura, avendo chiari cosa cercare e dove cercare. I saggi sono procedimenti di scopertura graduale delle stratificazioni che compongono la “pelle” esterna della muratura,; si compiono rimovendo progressivamente i tinteggi e gli strati di intonaco sovrapposti attraverso l’uso di spatole, lame o bisturi, lasciando in vista una casella omogenea per ogni intervento riscontrato. La visualizzazione completa degli interventi effettuati nel tempo permette una lettura storica delle trasformazioni dell’edificio. Perché questo genere di operazione sia attendibile è necessario fare attenzione alla localizzazione dei saggi: puo capitare che un unico provino interessi l’intonaco di tamponamento di una finestra, oppure una muratura rifatta da poco tempo, fornendo così indicazioni sbagliate per il resto dell’edificio; altre volte può risultare difficile la lettura, ad esempio su più intonaci con tinteggi diversi l’uno dall’altro. È necessario quindi procedere per comparizione e conferma dei risultati in diversi punti, eseguendo “campagne di saggi, dai 2-3 fino ai 10-15 ed oltre quando si tratta di affreschi, a seconda della complessità riscontrata. Le zone protette da cornicioni, mensole e bancali sono le più adatte in quanto meglio conservate, ma è necessario completare le provinature anche al centro di zone estese. La scoperta del paramento porta spesso ad indizi rivelatori per una nuova lettura degli stessi. Qualora il provino e l’esame visivo risultassero insufficienti, saranno prelevati più campioni sui frammenti verranno eseguite analisi chimico-fisiche secondo la stratigrafia in appositi laboratori, in modo da fissare i dati che permettono la lettura e la conseguente riproposizione dei materiali originali. Stato di conservazione, osservazione dei danni L’esame dello stato di conservazione significa identificare le forme di alterazione, l’origine e i processi del degrado risalendo dagli effetti alla causa; significa anche ricostruire la cronologia degli accadimenti e delle alterazioni: il risultato ci presenta com’è l’opera alla data dell’osservazione, ma anche com’era allo stato originale e come si è trasformata, quali sono state le alterazioni subite dalla sua materia. L’intervento di restauro è subordinato all’acquisizione di questi dati che consentono di calibrare la qualità, l’ampiezza e i limiti del trattamento. L’invecchiamento naturale dei materiali, la confezione, il consumo degli agenti atmosferici, i danneggiamenti diretti o indiretti, sono i responsabili dello stato di conservazione. Non sempre l’invecchiamento e la cattiva confezione richiedono necessariamente un intervento di restauro. L’intervento di restauro va compiuto quando è necessario, quando alterazioni intrinseche dell’intonaco o del dipinto e cause esterne minacciano la conservazione. Qualsiasi forma di alterazione è provocata da una causa ben precisa o da un insieme di cause concomitanti che è indispensabile riconoscere e eliminare per ostacolare l’azione distruttiva; solo successivamente potrà avere luogo la rimozione del danno. METODOLOGIA DI INTERVENTO Intervento sulle strutture - Intervento sugli affreschi Capitolo 5 Raffronti legislativi Alla luce di quanto sopra noi restauratori del XXI secolo ci siamo trovati ad affrontare una serie di problematiche a volte di carattere storico-critico, a volte etico-morale, tenuto conto su che tipo di manufatto si andava ad operare. Pertanto una delle nostre più grandi preoccupazioni fu fino a che punto potevamo spingere l’intervento di restauro senza compromettere quello che ci precedeva e non confondere oltremodo il visitatore o i nostri posteri senza dimenticare la legislazione italiana in merito alle opere di restauro: Carta di Venezia/1964 Art.9 …il restauro è un processo che deve mantenere un carattere eccezionale. Il suo scopo è di conservare e di rivelare i valori formali e storici del monumento e si fonda sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni antiche. Il restauro deve fermarsi dove ha inizio l’ipotesi sul pino della ricostruzione concettuale qualsiasi lavoro di completamento, riconosciuto indispensabile per ragioni estetiche e tecniche deve distinguersi dalla progettazione architettonica e dovrà recare il segno della nostra epoca. Ed ancora Istruzione del 1972 Art. 4 S’intende per salvaguardia qualsiasi provvedimento conservativo che implichi l’intervento diretto sull’opera; s’intende per restauro qualsiasi intervento volto a mantenere in efficienza e facilitare la lettura e a trasmettere integralmente al futuro i manufatti oggetto di qualsiasi intervento. Intervento sulle strutture murarie Consolidamento mediante sottofondazione I lavori di sottofondazione non dovranno in alcun modo turbare la stabilità del sistema murario da consiliare né quella degli edifici adiacenti. Si dovrà pertanto adottare tutti quegli accorgimenti e quelle precauzioni utili alla messa in sicurezza del manufatto nel rispetto della normativa vigente. Una volta eseguite tutte le opportune puntellature delle strutture in elevazione si identificheranno le zone di intervento procedendo “per cantieri”, s’inizieranno quindi gli scavi che si effettueranno da un lato della muratura o da entrambi i lati per murature di forte spessore (> 150cm.); le dimensioni degli scavi dovranno essere quelle strettamente necessarie alle esecuzioni dei lavori, in modo comunque da consentire una buona esecuzione della sottomurazione. Si effettueranno fino alla quota del piano di posa della vecchia fondazione armando le pareti del cavo a mano a mano che si approfondisce. Una volta raggiunta con il primo settore la quota di imposta della fondazione si procederà alla suddivisione di sottoscavi (con larghezza variabile in base alle caratteristiche delle murature e del terreno), interporranno quindi dei puntelli tra l’intradosso della muratura ed il fondo dello scavo. In fine, si eseguirà il getto di spianamento con magrone di calcestruzzo secondo quando prescritto negli elaborati di progetto. Le sottofondazione con cordoli o travi in cemento armato, si eseguiranno secondo le modalità prima descritte, gli scavi da entrambi i lati del tratto di muratura interessato fino a raggiungere il piano di posa di fondazione. Rimossa la terra di scavo si dovrà effettuare un piano di spianamento di magrone di calcestruzzo e procedere, solo dopo aver creato nella muratura esistente un incavo di alcuni cm. pari all’altezza del cordolo, alla predisposizione dei casseri, delle armature ed al successivo getto dei cordoli aderenti alla vecchia fondazione, avendo cura di prevedere, in corrispondenza dei collegamenti trasversali richiesti dal progetto, all’inserimento di ferri sporgenti verso l’alto. Si dovrà quindi, dopo l’indurimento del getto, creare dei varchi nella muratura, metter in opera le armature previste dagli elaborati di progetto ed effettuare il getto con cemento preferibilmente di tipo espansivo. In attesa dell’indurimento si dovrà puntellare in modo provvisorio la struttura. Consolidamento mediante tiranti metallici I tiranti metallici dovranno essere applicati di preferenza all’interno della muratura e fissati all’estremità atte alla distribuzione dei carichi. Le tirantature metalliche potranno anche essere lasciate completamente a vista nel caso in cui il progetto lo preveda e/o dietro indicazioni specifiche del D.L.. I tiranti, una volta tagliati e filettati per circa 10 cm. da ogni lato, andranno posti in opera e fissati alle piastre (dalle dimensioni e spessori prescritti) medianti dati filettati predisponendo preventivamente apposite guaine protettive. Ad avvenuto indurimento delle guaine usate per i piani di posa delle piastre, si metteranno in tensione i tiranti per mezzo di chiavi dinamometriche in modo che la tensione applicata non superi il 50% di quella ammissibile del cavo d’acciaio. In fine si salderanno i dati filettati. Per garantire alla struttura le migliori prestazioni statiche, i tiranti orizzontali dovranno essere posizionati in corrispondenza dei solai o di altre strutture orizzontali mentre lo spazio fra due tiranti contigui dovranno essere ridotti al minimo. Il posizionamento, le forme e le dimensioni delle piastre di ancoraggio dovranno essere effettuate secondo le prescrizioni del progetto o della D. L., potranno essere infatti ortogonali al tirante, inclinate rispetto a questo a bloccaggio singolo o pluri cavo. Consolidamento mediante iniezioni a base di miscele leganti. Prima di dare inizio ai lavori ,si dovrà eseguire un’attenta analisi della struttura al fine di determinare l’esatta localizzazione delle sue cavità,la natura della sua materia,la composizione chimico-fisica dei materiali che la compongono. Gli esami potranno essere effettuati mediante tecniche molto usate come la percussione della muratura oppure ricorrendo a carotaggi con prelievo di materiale,a sondaggi endoscopici o,in relazione all’importanza delle strutture e dietro apposita prescrizione ad indagini di tipo non distruttivo(termografie,ultrasuoni,etc.).In presenza di murature particolari, con grandi spessori e di natura incerta,sarà inoltre indispensabile effettuare prove di consolidamento utilizzando differenti tipi di miscele su eventuali campioni tipo in modo da assicurarsi che l’iniezione riesca a penetrare sino al livello interessato. In presenza di murature in pietrame incerto sarà preferibile non togliere lo strato d’intonaco al fine di evitare l’eccessivo trasudamento della miscela legante. La tecnica consisterà nell’iniettare nella massa muraria ad una pressione variabile in ragione del tipo di intervento ,una malta cementizia e/o epossidica opportunatamente formulata che riempiendo le fratture e gli eventuali vuoti,sappia consolidare la struttura muraria,sostituendosi e/o integrando la malta originaria. I punti su cui praticare i fori(in genere 2 o 3 ogni mq.)verranno scelti dalla D.L. in base alla distribuzione delle fessure ed al tipo di struttura.Detti fori,di diametro opportuno(indicativamente da 30 a 50 mm.)si eseguiranno con sonde a rotazione munite di un tagliatore carotiere con corona d’acciaio ad alta durezza o di widia. Nelle murature in pietrame ,le perforazioni dovranno essere eseguite in corrispondenza dei giunti di malta e ad una distanza di circa 60/80 cm in relazione alla compattezza del muro. Nelle murature in mattoni pieni la distanza fra i fori non dovrà superare i 50 cm. Si avrà l’accortezza di eseguire le perforazioni finalizzando l’operazione alla sovrapposizione delle aree iniettate,ciò sarà controllabile utilizzando appositi tubicini “testimone”dai quali potrà fuoriuscire l’esubero di miscela iniettata. I tubicini verranno introdotti,per almeno 10cm ed avranno un diametro di circa 20mm,verranno poi sigillati con la stessa malta di iniezione a consistenza più densa. Durante questa operazione sarà necessario evitare che le sbavature vadano a rovinare in modo irreversibile l’integrità degli adiacenti strati di rivestimento. Per favorire la diffusione della miscela,si dovranno praticare dei fori profondi almeno quanto la metà dello spessore dei muri. Nel caso di spessori inferiori ai 60-70cm. le iniezioni verranno effettuate su una sola faccia della struttura;oltre i 70cm. si dovrà operare su entrambe le facce. Nel caso in cui lo spessore dovesse essere ancora maggiore ,o ci si trovasse nell’impossibilità di iniettare su entrambe le facce,si dovrà perforare la muratura da un solo lato fino a raggiungere i 2/3 della profondità del muro. Tutte le fessure,sconnessioni, piccole fratture fra i manufatti interessati all’intervento andranno preventivamente stuccate per non permettere la fuoriuscita della miscela legante. Prima di effettuare l’iniezione si dovrà effettuare un prelavaggio al fine di saturare la massa muraria e di mantenere la densità della miscela. Il prelavaggio profondo sarà inoltre utile per segnalare e confermare le porzioni delle zone da trattare,che corrisponderanno con la gora di umidità,oltre all’esistenza di eventuali lesioni non visibili. Il lavaggio andrà eseguito con acqua pura ,eventualmente demonizzata e priva di materie terrose.Durante la fase del lavaggio andranno effettuate le operazioni supplementari di rinzaffo,stilatura dei giunti e sigillatura delle lesioni. La miscela dovrà essere omogenea,ben amalgamata ed esente da grumi ed impurità. L’iniezione delle miscele all’interno dei fori sarà eseguita a bassa pressione che andrà effettuata tramite idonea pompa a mano o automatica provvista di un manometro di facile ed immediata lettura.La lettura dovrà essere mantenuta costante fino a quando la miscela non sarà ovviamente fuori uscita dai fori adiacenti o dai tubicini “testimoni”. Ad indurimento della miscela,gli ugelli saranno rimossi ed i fori sigillati con malta appropriata. Tecniche di eliminazione dell’umidità:drenaggi,vespai. Drenaggi Esterni,in grado di convogliare lontano dalla muratura le acque di scorrimento e quelle derivanti da falda freatica .Potranno essere disposti in aderenza ai muri oppure distaccati;nel primo caso si porrà,a contatto con il muro,una barriera impermeabile,costituita da guaine od ottenuta mediante pitture impermeabilizzanti. Quando l’umidità è presente in quantità limitata per l’intercettamento dell’acqua potrà essere sufficiente una semplice trincea in ciottoli, scheggiosi di cava sistemati a mano,dietro a muri di sostegno o a pareti controterra. In caso di quantità maggiori o nel caso di terreni impermeabili,sarà opportuno integrare il drenaggio con un tubo forato posto sul fondo della fossa con la funzione, di raccolta ed allontanamento delle acque in fognature drenante. Il materiale di riempimento per questo tipo di trincea dovrà essere di granulometria diversificata, sempre più fine man mano che ci si avvicina al tubo. Nel caso in cui si sia obbligati a scendere a scendere con lo scavo al di sotto della quota di fondazione sarà certamente opportuno posizionare la trincea ad almeno due metri dalla stessa per evitare il possibile scalzamento. Per evitare infiltrazione di acqua piovana bisognerà creare o ripristinare un marciapiede lungo tutto il perimetro dell’edificio. In tal modo l’assorbimento di umidità sarà ridotto al solo piano di appoggio della fondazione. Tale tipo di intervento potrà risultare efficace e risolutivo nei casi in cui la risalita capillare dell’umidità non superi i 40/50 cm, in tal caso bisognerà però predisporre un nuovo piano di calpestio per l’eventuale piano interrato esistente, creando un vespaio areato di altezza logicamente maggiore ai 40 cm. Nel caso in cui le fondazioni siano immerse in terreni saturi di acqua ed a profondità maggiori siano presenti strati di suolo di tipo assorbente (per esempio un banco di ghiaia sciolta) è possibile procedere al risanamento di locali interrati ricorrendo alla creazione di pozzi di assorbimento. Tali pozzi lasciano filtrare al loro interno l’acqua proveniente dal suolo saturo, convogliandola verso il sottostante banco assorbente. Si ottiene in tal modo un abbassamento del livello della falda acquifera ed un rapido prosciugamento delle acque piovane che, per gravità, penetrano nel terreno. Intercapedini – La formazione di una larga intercapedine ventilata (50/70 cm), ha la funzione di arretrare il terrapieno favorendo la ventilazione di eventuali locali seminterrati. In questo modo il muro potrà assorbire acqua soltanto dalla base e non più lateralmente, scaricandola nell’intercapedine sottoforma di vapore, portato poi verso l’esterno mediante canali di ventilazione, griglie, aperture dirette. Tale tipo d’intercapedine dovrà di norma avere una profondità di almeno una volta e mezza rispetto all’altezza dell’umidità di risalita (umidità fino ad un metro, intercapedine metri 1,5). La grigliatura di aerazione dovrà essere cadenzata ogni 4-5 parti chiuse. Vespai – Accade molto spesso che l’umidità derivi più dai pavimenti che dai muri laterali, non sarà facile in questo caso stabilirne le cause dirette. Sarà comunque opportuno procedere alla formazione di un vespaio orizzontale eventualmente collegato, tramite appositi fori, con l’intercapedine esterna. I vespai sono tradizionalmente di due tipi: - a riempimento (fossa riempita di schegge, pietrame, grossi ciottoli); - a camere d’aria e muretti con uno strato impermeabilizzante alla base, altezza media di 50 cm posti ad interrasse di 90 cm. la funzione è evidentemente quella di evitare un contatto diretto con l’acqua e l’umidità presente nel terreno. Potrà anche non essere necessaria la predisposizione di bocchette di ventilazione, formando in tal caso un massetto di base di almeno 8 cm sul quale stendere uno strato impermeabile a base bituminosa o nel caso in cui il riempimento sia costituito da materiale asciutto e termoisolante. Consolidamento in profondità. Accurata battitura delle superfici e perimetrazione delle zone di distacco. Consolidamento in profondità degli intonaci distaccati con esecuzione di fori in corrispondenza delle zone di distacco, aspirazione di eventuali polveri, lavaggio e umidificazione delle parti da consolidare, iniezione di formulato costituito da maltina adesiva a presa debolmente idraulica, cariche, polimeri acrilici in dispersione, additivi aventi la funzione di fluidificare il composto, favorire la bagnabilità delle cariche e consentire la adesione delle parti distaccate al supporto, compreso uso e noleggio dell’impianto di iniezione. Ispezione e preparazione del supporto - Esame preliminare della superficie da consolidare; - verifica di eventuali deterioramenti sottostate l’intonaco; - controllo la presenza di anomalie o difetti che potrebbero provocare inattesi degradi del consolidamento in esecuzione; controllo di elementi strutturali, aggetti o componenti che per forma o posizione potrebbero provocare rapido degrado del supporto; controllo della carenza meccanica di elementi e componenti di protezione la cui asenza potrebbe essere causa di rapido degrado del supporto; presenza di fessurazioni, giunti strutturali e sollecitazioni indotte nel supporto dal sistema strutturale; la stabilità dimensionale del supporto in relazione alle azioni termiche e idrometriche; nei casi in cui si verifichino le seguenti condizioni il supporto sarà trattato nel seguente modo: se la muratura è disgregata provvederà alla sua riaggregazione e consolidamento; se il supporto presenta contaminazioni di sali questi dovranno essere rimossi, per quanto possibile, e dovranno essere successivamente applicati appositi prodotti in grado di contenere o controllare successive cristallizzazioni di sali; se la muratura è affetta da umidità da risalita per capillarità o da infiltrazione da terreno addossato si dovrà provvedere con adeguati interventi di risanamento; se la muratura presenta macchie di umidità dovute ad infiltrazioni delle coperture o da fenomeni umidi provocati da guasti agli impianti di adduzione o scarico acque si provvederà a ripare il guasto e si lasceranno asciugare convenientemente le murature prima di procedere alla intonacatura; se il supporto o l’intonaco presentassero fessurazioni si provvederà alla sigillatura delle stesse per evitare fuoriuscite del prodotto di iniezione. Foratura, pulitura dei fori,inserimento delle cannule Verifica dello spessore dell’intonaco nelle zone oggetto dell’intervento; esecuzione dei fori nell’intonaco utilizzando un trapano elettrico con punte di diametro adeguato (4/6mm) evitando percussioni e vibrazioni eccessive. La quantità di fori per unità di superficie da consolidare, se non meglio specificato dal progetto e da eventuali prove preliminari, è di n° 6/8 per m2; a mezzo di pistola soffiatrice collegata a un piccolo compressore, l’operatore provvede alla pulizia del foro, avendo cura di eliminare polveri, residui della foratura o quant’altro possa ostacolare la immissione e la percolazione del prodotto adesivo; nel foro viene inserita una cannula di materiale sintetico, successivamente sigillata con plastilina (o eventualmente altro materiale sigillante) per evitare fuoriuscita di prodotto. Modalità di esecuzione e criteri di accettabilità dei controlli Che non vi sia presenza di formazioni saline cristallizzate in superficie sotto forma di patine superficiali o escrescenze biancastre; si verifica visivamente che non vi siano macchie con localizzati scurimenti della superficie generalmente accompagnati da efflorescenze (a volte anche patine biologiche) ed erosione della superficie stessa con eventuali cadute di parti di intonaco. In presenza di questi fenomeni si procede alla misurazione strumentale dell’umidità con sistema conduttimetrico. Il consolidamento corticale potrà essere eseguito se la presenza di umidità nella massa muraria è contenuta nei valori fisiologici relativi alla muratura stessa; si controlla visivamente che i fori abbiano dimensioni di 4-6mm e siano distribuiti regolarmente sulla superficie da consolidare in numero di 6-8 per m2; si controlla visivamente che l’area di iniezione sia stata adeguatamente umidificata e in questo caso dovranno osservare i tipici scurimenti delle superfici con colature di acqua in particolare dai fori inferiori. Consolidamento e riadesione. Gli intonaci e i dipinti murali possono avere difetti di stabilità che interessano lo strato pittorico o gli strati di intonaco; queste alterazioni sono dovute alla perdita di coesione dei materiali o alla perdita di adesione degli strati. La perdita di coesione provoca la polverizzazione dei materiali: il degrado si manifesta in superficie ma può segnalare un’alterazione in profondità. La perdita di adesione separa uno strato dall’altro: lo spessore dello strato pittorico oscilla da pochi mμ fino a raggiungere raramente il millimetro; uno strato di intonaco può avere spessori consistenti da 2-3 mm fino a 6-8 cm. come l’opera lignina o il cocciopesto. Il consolidamento riguarda il materiale decoeso, della pittura o dell’intonaco, che ha perso la propria continuità e si presenta polveroso, in agglomerati di particelle incoerenti, in scaglie. La riadesione riguarda gli strati, della pittura o dell’intonaco, separati dal proprio supporto. Nel restauro, il collante e il suo solvente devono essere compatibili con la tecnica di esecuzione del dipinto e con i materiali dell’intonaco: per un intonaco costituito di argilla o con percentuali di gesso, che viene rigonfiato e sciolto dall’acqua, non si possono utilizzare collanti sciolti in acqua e si impone l’uso di resine acriliche in soluzione (Paraloid B 72). Il solvente non deve evaporare troppo rapidamente né deve far ristagnare il collante sulla superficie tanto da creare accumuli sullo strato dipinto a scapito della penetrazione in profondità. I prodotti che ripristino la coesione devono sopportare il peso di corpuscoli e agglomerati di colore o granuli di intonaco, devono avere buone caratteristiche meccaniche, ma una bassa resistenza a trazione, e una buona flessibilità; nel preferire quelle soluzioni collanti che permettono una soddisfacente penetrazione, sono più adatte le soluzioni non polari rispetto alle soluzioni polari, perché costituite da molecole più piccole. I prodotti che ristabiliscono l’adesione degli strati del dipinto murale devono sostenere strati più spessi e dunque più pesanti;: devono pertanto avere una buona resistenza a trazione; il collante non deve avere grande poter penetrazione poiché viene iniettato direttamente nello spazio da colmare. Per gli intonaci a base di calce sono ideali le miscele idrauliche perché presentano affinità con l’intonaco e perché possono essere diluite secondo le necessità del caso; inoltre lasciano sempre la possibilità di poter distaccare il dipinto murale dal suo supporto. La superficie pittorica e gli strati di supporto, quando sono danneggiati, sono un unico insieme per l’intervento di consolidamento. L’intervento procede dalla superficie all’interno, con operazioni provvisorie e operazioni finali, tutte finalizzate a non perdere particolari di colore o di intonaco che sono pericolanti. Le operazioni provvisorie devono consentire le fasi successive: sono reversibili; le operazioni finali devono consentire futuri interventi. Tutti gli interventi sono praticati attraverso la superficie, che è la parte più delicata, più esposta a rischi di danni e perdite. Gli interventi di consolidamento e di riadesione precedono la pulitura quando lo strato pittorico e gli strati di intonaco sono sicuri. Intervento sugli affreschi Sistemi di pulitura. Un primo livello di pulitura tende a rimuovere essenzialmente i depositi incoerenti(generalmente formati da particellato atmosferico,carbonioso o terroso)che si accumulano per gravità o dopo essere state veicolate da acqua atmosferica o di risalita (efflorescenze saline)e che non realizzano alcun tipo di coesione o di reazione con il materiale sottostante.Questo tipo di deposito possiede una debole potenzialità patogena,che varia moltissimo in rapporto alla composizione delle sostanze e al materiale su cui si sedimentano.Anche i tempi di aggressione possono essere differenti,e dipendono dalla presenza o meno di sostanze attivatici(perlopiù l’acqua,che entra in quasi tutte le reazioni patogene)o catalizzatrici. Un secondo livello di pulitura prevede la rimozione di depositi composti esclusivamente o prevalentemente da sostanze allogene che tendono a solidarizzarsi alla superficie del manufatto con un legame essenzialmente meccanico ,senza intaccare(o intaccando in minima parte)la natura chimica del materiale.Le sostanze da rimuovere possono essere ancora particellato atmosferico,penetrato in profondità,magari veicolato da acqua,oppure sali(carbonati)depositati per esempio da acqua di dilavamento,o presenti come macchie. Un terzo livello di pulitura prevede invece la rimozione dello strato superficiale che si forma sul materiale allorché le sostanze esterne,volatili o solide,si combinano con il materiale di finitura,mutandone la composizione chimica e dando origine a prodotti secondari,di reazione:è il caso dell’ossido di ferro (ruggine)che si forma sulle superfici metalliche,o dei prodotti gessosi che vengono definiti croste,in ragione del loro aspetto,che si formano sui materiali lapidei.Perdurando l’apporto delle sostanze patogene dall’esterno,si ha un progresso continuo dell’attacco in profondità,con distacco e caduta delle parti esterne degradate. Per rimuovere i materiali incoerenti sono sufficienti blandi sistemi meccanici:aspiratori,stracci,scope e spazzole in fibra vegetale-saggina-(meno incisive di quelle in materiale sintetico),aria compressa.Questi metodi possono venire integrati dall’impiego puntuale di bisturi,spatole, piccole spazzole in nailon o metalliche Per rimuovere i depositi fortemente coesi e solidarizzati i metodi sopra elencati possono essere integrati da cicli di pulitura più incisivi,che trovano larga applicazione soprattutto nel trattamento dei materiali di rivestimento e in generale,di pietre,murature,malte e,in molti casi(ad esclusione dei sistemi che impiegano acqua),anche di legno e metalli. Raschiatura parziale tinte e pitture Esecuzione prova preliminare - esecuzione di prova preliminare attraverso quadrettatura di cm. 1 di lat su una superficie significativa di almeno 100 cm2, ( un quadrato di 10cm. per lato) distribuita su diversi punti della superficie oggetto d’intervento allo scopo d verificare l’adesione al supporto dei vari strati di tinta o pittura e soprattutto verificare tracce della più antica tinta in maniera ove si rendesse necessario insieme alla D.L. ed alla Soprintendenza Storica si porranno nuovamente in luce. L’operazione andrà eseguita utilizzando bisturi od altri elementi idonei al sollevamento della pellicola pittorica senza danneggiare di quanto antico e pregiato dovesse affiorare. La prova preliminare con quadrettatura è significativa per strati corticali polimerici, meno attendibile per coloriture inorganiche, nel secondo caso ci si atterrà alle specifiche di progetto e le indicazioni della Soprintendenza. - Valutazione visiva degli esiti della prova preliminare in relazione alla maggiore o minore integrità dello strato sottoposto a quadrettatura. Se l’esito è soddisfacente (le parti che si distaccano a seguito della quadrettatura sono inferiori al 20% della superficie sottoposta alla prova) si procede alla esecuzione di una raschiatura parziale, se non soddisfacente si valuta l’opportunità di eseguire una raschiatura totale. Tali valutazioni sono naturalmente subordinate agli obiettivi del progetto ad alle necessità di conservazione degli strati corticali. - Le conservazioni degli strati più antichi(ed eventualmente anche di quello più superficiale) “dipenderà dalle indicazioni di progetto e da valutare anche quello più superficiale) Raschiatura parziale - Secondo gli esiti della prova preliminare si procede all’esecuzione della raschiatura parziale o totale avendo cura di: eseguire l’operazione solamente sulle parti staccate o in fase di distacco o di quelle parti di nessuna valenza storica, avendo cura di non intaccare il sottofondo e i suoi strati più superficiali; nel caso di presenze di strati (come nel nostro caso) di strati e cromie sottostanti ben conservati e di notevole pregio, questi devono essere rigorosamente conservati ed eventualmente riportati in luce. La raschiatura viene eseguita utilizzando sempre attrezzature adeguate e controllabili in relazione alla dimensione delle aree da raschiare ed alla consistenza degli strati da eliminare. Si dovranno utilizzare, se le condizioni di lavoro lo richiedono, anche raschietti molto piccoli o bisturi. Modalità di esecuzione - Si verifica l’adesione dello strato di tinta/pittura da eliminare attraverso il sistema della quadrettatura di cm1 di lato su una superficie significativa di almeno 10 cm 2 , distribuita sui diversi punti della superficie oggetto d’intervento. L’operazione viene eseguita utilizzando lame da taglio e righe metalliche per l’orientamento di linee rette. Si esegue la valutazione visiva degli esiti della prova in relazione alla maggiore o minore integrità dello strato sottoposto a quadrettatura. Se le parti che si distaccano a seguito della quadrettatura sono inferiori al 20% della superficie sottoposta alla prova si procede alla esecuzione di una raschiatura parziale; se superiore al 20% si valuta la opportunità di eseguire una raschiatura totale. - Si verifica visivamente la condizione e lo stato di conservazione degli strati sottostanti a quello da asportare, in particolare se vi sono diversi strati intermedi (per indagine stratigrafica). Sugli strati sottostanti al primo si può eseguire lo stesso tipo di verifica sopra descritto al fine di determinare quanto estendere la raschiatura (che dovrà limitarsi alle sole parti non più recuperabili o di superfetazione e dovrà invece conservare integre quelle realisticamente recuperabili). - Si verifica visivamente che non siano presenti sulla superficie parti distaccate o in fase di distacco sia dello strato più esterno che di quelli intermedi. La verifica visiva può essere integrata passando sulla superficie una spatola metallica utilizzata con lama parallela alla superficie stessa, esercitando una blanda azione meccanica, e si verifica che questa non lasci incisioni e non produca ulteriori asportazioni di materiale. Decorazioni interventi di conservazione. Gli interventi di conservazione sugli intonaci e sulle decorazioni saranno sempre finalizzati alla massima tutela della loro integrità fisico-materica;si dovranno pertanto evitare demolizioni,rimozioni e dismissioni tranne quando espressamente ordinato dalla D.L. e solo ed esclusivamente gli intonaci risultino irreversibilmente alterati e degradati,evidenziando eccessiva perdita di legante,inconsistenza,evidenti fenomeni di sfarinamento e distacco.Le operazioni di intervento andranno pertanto effettuate salvaguardando il manufatto e distinguendo in modo chiaro le parti eventualmente ricostruite. I materiali da utilizzarsi per l’intervento di conservazione dovranno essere accettate dalla D.L.,possedere accertate caratteristiche di compatibilità fisica,chimica e meccanica con l’intonaco esistente ed il suo supporto. Conservazione di intonaci distaccati mediante iniezioni a base di miscele idrauliche Questi interventi consentono di ripristinare la condizione di adesività fra intonaco e supporto,sia esso la muratura o un altro strato di rivestimento,mediante l’applicazione o l’iniezione di una miscela adesiva che presenti le stesse caratteristiche dell’intonaco esistente e cioè: - forza meccanica superiore,ma in modo non eccessivo,a quella della malta esistente; - porosità simile; - ottima presa idraulica; - minimo contenuto possibile di sali solubili potenzialmente dannosi per i materiali circostanti; - buona plasticità e lavorabilità; - basso ritiro per permettere il riempimento anche di fessure di diversi millimetri di larghezza. Il distacco può presentare buone condizioni di accessibilità (parti esfoliate, zone marginali di una lacuna), oppure può manifestarsi senza soluzioni di continuità sulla superficie dell’intonaco,con rigonfiamenti percettibili al tocco o strumentalmente. Nel primo caso la soluzione adesiva può essere applicata a pennello direttamente sulle parti staccate,riavvicinandole al supporto.Nel caso in cui la zona non sia direttamente accessibile,dopo aver ispezionato le superfici ed individuate le zone interessate da distacchi,si dovranno eseguire delle perforazioni con attrezzi ad esclusiva rotazione limitando l’intervento alle parti distaccate. Altresì ,iniziando la lavorazione a partire dalla quota più elevata,si dovrà: - aspirare mediante una pipetta in gomma i detriti della perforazione e le polveri depositatesi all’interno dell’intonaco; - iniettare con adatta siringa una miscela acqua/alcool all’interno dell’intonaco al fine di pulire la zona distaccata ed umidificare la muratura; - applicare all’interno del foro un batuffolo di cotone; - iniettare attraverso il batuffolo di cotone,una soluzione a basi di adesivo acrilico in emulsione(primer)avendo cura di evitare il reflusso verso l’esterno; - attendere che l’emulsione acrilica abbia fatto presa; - iniettare,dopo aver asportato il batuffolo di cotone,la malta idraulica prescritta operando una leggera,ma prolungata pressione sulle parti distaccate ed evitando il percolamento della miscela all’esterno. Qualora la presenza di alcuni detriti dovesse ostacolare la ricollocazione nella sua posizione originaria del vecchio intonaco,oppure impedire l’ingresso della miscela,si dovrà rimuovere l’ ostruzione con iniezioni di acqua a leggera pressione oppure attraverso gli attrezzi meccanici consigliati dalla D.L. Per distacchi di lieve entità,fra strato e strato,con soluzioni di continuità dell’ordine di 0,5 mm,non è possibile iniettare miscele idrauliche,per cui si può ricorrere a microiniezioni a base di sola resina,per esempio un’emulsione acrilica,una resina epossidica o dei silani. Per distacchi estesi si potrà utilizzare una miscela composta da una calce idraulica,un aggregato idraulico,un adesivofluido,ed eventualmente un fluidificante.L’idraulicità della calce permette al preparato di far presa anche in ambiente umido;l’idraulicità dell’aggregato conferma le proprietà e conferisce maggiore resistenza alla malta ;l’adesivo impedisce in parte la perdita di acqua appena la miscela viene a contatto con muratura e intonaco esistente;il fluidificante eleva la lavorabilità dell’impasto. Come leganti si usano calci idrauliche naturali bianche,con additivo collante tipo resina acrilica;gli aggregati consigliati sono la pozzolana superventilata e lavata(per eliminare eventuali sali)e il cocciopesto,con gluconato di sodio come fluidificante. Conservazione di intonaci e decorazioni distaccati mediante microbarre di armatura. Previa accurata ispezione di intonaci e decorazioni in modo da individuare con precisione tutte le parti in fase di distacco,si avrà l’obbligo di mettere in sicurezza tramite puntellature e/o altri accorgimenti le zone che potrebbero accusare notevoli danni a causa delle sollecitazioni prodotte dai lavori di conservazione. Quindi si dovrà: -praticare delle perforazioni aventi il diametro e la profondità prescritti dagli elaborati di progetto o ordinati dalla D.L.; -aspirare mediante una pipetta in gomma i detriti della perforazione e le polveri depositatesi; -iniettare con adatta siringa una miscela acqua/alcool all’interno dell’intonaco al fine di pulire la zona distaccata ed umidificare la muratura; -applicare all’interno del foro un batuffolo di cotone; -provvedere alla sigillatura delle zone in cui si siano manifestate,durante la precedente iniezione,perdite di liquido; -iniettare,se richiesto,attraverso il batuffolo di cotone,una soluzione a basi di adesivo acrilico in emulsione(primer); -iniettare,dopo aver asportato il batuffolo di cotone,una parte della miscela idraulica in modo da riempire circa il 50% del volume del foro; -collocare la barra di armatura precedentemente tagliata a misura; -iniettare la rimanente parte di miscela idraulica evitando il percolamento della miscela all’esterno. Consolidamento e riadesione dello strato pittorico Quando lo strato pittorico spolvera o si distacca dall’intonachino, oppure quando è ricoperto da aloni biancastri o più semplicemente quando sulla superficie appaiono delle gore di umido, è il segnale che nella muratura c’è una zona umida, di infiltrazione o di risalita capillare, oppure di condensa. Questi fenomeni possono essere tra loro collegati perché con l’insorgere di una forma di umidità vi è un apporto d’acqua nell’ambiente che modifica le condizioni termoigrometriche tanto da produrre progressivamente altre forme di degrado: sulle superfici umide si sviluppano colonie di microrganismi contribuiscono a trattenere l’umidità. D’altra parte, quando è molto alto il grado di umidità per risalita capillare o una muratura è bagnata per un’infiltrazione, è possibile che le superfici interessate siano anche le più fredde e ciò che non sempre fanno individuare la sorgente del fenomeno; viceversa, l’infiltrazione e la capillarità quando sono manifestazioni autonome danno segni precisi e localizzati. La superficie deve essere indagata per ricercare l’entrata dell’acqua e il suo percorso osservando gli effetti; forma e distribuzione delle efflorescenze e degli aloni, temperatura della superficie e dell’interno delle murature. Una volta eliminata la fonte di umidità, la muratura entra nella fase più delicata per la statica dei materiali della superficie e dunque della pittura, poiché la progressiva evaporazione dell’acqua continua a trasferire i sali dall’interno verso la superficie producendo un indebolimento dei materiali interni che si sbriciolano e si lesionano, inoltre lo spostamento dei sali verso la superficie dipinta sollecita lo strato di colore che viene distaccato o polverizzato. Nel periodo di evaporazione dell’acqua si provvederà di giorno in giorno a fissare le zone pericolanti e solo successivamente si potrà consolidare il materiale di profondità impoverito dalla migrazione dei sali. Il fissativo deve essere applicato con molta precauzione: l’azione meccanica del mezzo di diffusione può trasferire il colore o asportarlo del tutto. Si può irrorare la zona con una siringa direzionale gradatamente il getto delle gocce oppure distribuendo il prodotto a pennello, cercando di non appoggiarlo sulla superficie polverulenta; se la situazione non è molto grave la nebulizzazione del fissativo, effettuata con una pressione molto bassa, può essere un altro sistema opportuno. Il fissaggio della superficie si esegue con un prodotto collante, solubilizzato in un solvente a rapida evaporazione con l’acetone, se la tecnica di esecuzione lo consente, oppure con etanoltricloro; nei casi molto gravi si eviteranno i collanti sciolti in acqua, perché la lenta evaporazione dell’acqua non fa aderire subito la pellicola pittorica che può rigonfiare e polverizzarsi. Il silicato di etile è adatto, soprattutto se la superficie è molto sporca e deve essere poi sottoposta a una complessa opera di pulitura; può essere applicato a spruzzo, a pennello o iniettarlo a siringa; il prodotto non ha bisogno di essere diluito. Il silicato di etile penetra con grande velocità ed ha potere solvente molto alto: è pertanto consigliabile effettuare delle prove sul colore polverizzato per verificare che non venga portato in soluzione e assorbito irrimediabilmente dall’intonaco. Anche il Polaroid B72 è un buon fissativo, sciolto in diluente nitro, oppure in etanotricloro se l’ambiente è umido o all’aperto; la concentrazione deve oscillare tra il 3 e il 5%, perché una maggiore concentrazione non migliora l’adesione ma provoca solo un film superficiale dunque un consolidamento incompleto. Quando la superficie pittorica sarà stata ben consolidata, la si ricopre con compresse di polpa di carta impregnante di acqua distillata: i sali che sono ancora in evaporazione cristallizzeranno sulla superficie della compressa senza sollecitare lo strato pittorico. La composizione chimica del silicato di etile così come quella del Paraloid, anche se in maniera più ridotta, consente il transito dei sali. Nel caso degli interventi sulla superficie non si deve esercitare alcuna pressione sugli intonaci quando questi sono pericolanti per evitare la caduta. Il consolidamento potrà essere completato solo se la muratura e il suo ambiente avranno recuperato un equilibrio termoigrometrico; si provvederà allora a far penetrare all’interno le sostanze colanti. Quando lo strato di colore si distacca in scaglie, è necessario farlo riaderire con collanti incolori e piuttosto liquidi, tanto da poter essere applicati sulla superficie o iniettati al di sotto delle piccole scaglie sollevate; il collante deve migliorare l’aderenza del colore al supporto ma non deve alterare cromaticamente il dipinto, deve inoltre essere flessibile e non rigido per aderire con docilità alle scaglie di colore spesso friabili; non deve essere alimento per lo sviluppo di crescite biologiche. L’adesivo deve essere solubile o facilmente asportabile anche dopo l’invecchiamento; sono da scartare gli adesivi che possono essere rigonfiati o asportati con acidi forti o basi. La riadesione dello strato pittorico deve essere programmata in base al peso delle particole di colore da fissare ed al loro spessore: ogni caso dovrà essere risolto calibrando la quantità del collante e quella del suo solvente e la diluizione del composto. Individuato il prodotto colante in base alle sue caratteristiche e in concomitanza con i problemi del dipinto murale, la sua efficacia dovrà essere verificata applicando prima su limitate aree di intonaco senza colore e poi su piccole zone dipinte: il test deve essere fatto per verificare la reazione del pigmento al collante e al suo sovente; i pigmenti a base di rame sono sempre i più sensibili. Possono verificarsi alterazioni cromatiche con scurimento del tono originale, veli biancastri, effetto bagnato, oppure il solvente potrebbe portare in soluzione il colore già degradato e trasferito irremidiabilmente all’interno dell’intonaco Molto appropriato è l’uso della resina acrilica Paraloid B72 da solubilizzare con l’atanotricloro o con l’acetone o ancora con il diluente nitro nella proporzione variabile del 2-6% al 10-15%. Puo essere opportuno anche l’uso di resina acrilica in emulsione come il Primal AC 33 diluito in acqua al 10 o 15%. Un ottimo consolidante si ottiene con un estere di silice, il silicato di etile; provoca degli aloni biancastri che si possono rimuovere solo al loro apparire con white spirit o diluente nitro; si utilizza solo su intonaci asciutti. Il collante può essere spruzzato con un nebulizzatore. Il colore trattato deve essere immediatamente fatto riaderire con la compressione di una spatola a foglia di olivo. Nell’azione di schiacciamento la spatola deve essere sempre tenuta netta e umida mediante una spugna ben pulita pena l’adesione delle particole di colre alla spatola di metallo; l’operazione è di estrema delicatezza e deve essere eseguita solo da un restauratore specializzato di grande esperienza. Qundo il colore si solleva in scaglie grandi fino a 1-2 cm, può essere utile distribuire il collante a pennello attraverso un foglio di carta giapponese applicato sulla superficie da fissare; in questo caso sono adatti i collanti acrilici in soluzione (Paraloid B72 in clorotene al 10-15%) e l’alcool polivinilico Gelvatol 40-20 soluzioni in acqua e poi diluito in alcol etilico in soluzione dal 5al 10%. Alcuni prodotti utilizzati per far riaderire il colore possono risultare inadeguati perché provocano alterazioni cromatiche al momento dell’applicazione o nel corso dell’invecchiamento, altri se sottoposti agli sbalzi termoigrometrici reagiscono in modo diverso rispetto allo strato pittorico danneggiandone la statica: è necessaroi conoscere le proprietà collanti di un adesivo e le sue caratteristiche d’invecchiamento. Alcuni prodotti sono stati largamente usati in passato: la gommalacca bianca in soluzione dell’1 al 10% in alcool etilico è ancora utilizzabile; le ottime proprietà adesive trovano un ostacolo nella totale irreversibilità, inoltre essa ingiallisce fortemente. I silicati alcalini provocano dei veli biancastri difficilmente asportabili. Il bianco d’uovo pur non alterando il tono dei dipinti è sconsigliabile perché invecchiando è di difficile rimozione e può essere attaccato dai microrganismi. La gomma arabica sciolta in acqua e alcool etilico è un prodotto lungamente utilizzato in antico come fissativo, soprattutto gradito per la sua qualità di ravvivare il colore ; si altera fortemente patinando il dipinto con un tono giallo-bruno, facilmente attaccabile dai microrganismi; si asporta con imbibizione di acqua tiepida .La cera penetra all’interno dell’intonaco inglobandolo, è di difficile asportazione; pertanto inibisce trattamenti successivi con consolidanti di altra natura: per tale ragione molti dipinti che furono consolidati e protetti con la cera in occasione di nuovi interventi di restauro rifiutano collanti e protettivi acquosi; sono più adatti i protettivi non acquosi che devono essere solubilizzati con solventi clorurati (etanotricloro, trielina, acetone); l’azione pulente può essere accelerata riscaldando la parete con una lampada ad IR, la cera deve essere asportata velocemente prima che si raffreddi ridepositandosi all’interno dell’intonaco tecnicamente il consolidante più efficace potrà essere solo la riproposizione di un altro trattamento a cera. Il trattamento a cera presenta altri inconvenienti. La superficie di un dipinto murale trattata a cera si altera con l’umidità ricoprendosi di depositi biancastri; inoltre, al momento dell’applicazione la cera altera la resa dei colori perché rende la superficie semilucida e grassa, successivamente ingrigisce con rapidità per la capacità elettrostatica di attirare la polvere. Per il suo basso punto di diffusione (Fonde a 63% C.) la cera è efficace per quei dipinti che sono in ambienti freddi. Lo stato polverulento della pittura, localizzato in piccole aree o diffuso su tutta la superficie dipinta quando non è causato dall’umidità può essere provocato da un trattamento eseguito con prodotti inopportuni per il fissaggio del colore o per la protezione di una vasta superficie: il prodotto in opera utilizzato per la riadesione o per la protezione di una vasta superficie: il prodotto in opera utilizzato per la riadesione o per la protezione della pellicola pittorica può essere stato applicato ad una concentrazione troppo elevata, tanto da aggrapparsi con forza allo strato pittorico strappandolo lentamente. Conviene in questo caso eliminare con malta rapidità il collante provvedendo a soluzioni con un solvente opportuno che si cercherà mediante dei tes di pulitura; contemporaneamente si controllerà che la statica del colore non venga minacciata dall’operazione in corso. Può essere pratico in questo caso estrarre il colante in eccesso applicando il solvente a pennello su dei fogli di carta giapponese appoggiati sulla superficie dipinta; il sistema consente di controllare l’estrazione ripetendo l’imbibizione man mano che il solvente evapora Trattamento lacune di intonaco. Integrazione delle parti di intonaco mancanti e/o degli eventuali strati corticali su intonaco esistente già preparato e consolidato. La malta da utilizzare per ogni singola lacuna, o per lacune di aree omogenee, dovrà avere caratteristiche tecniche simili a quelle degli intonaci esistenti. Particolare cura dovrà essere posta nella individuazione della composizione e colorazione specifica della malta la cui cromia e granulometria dovrà uniformarsi, una volta applicata ed essiccata, alle diverse sfumature cromatiche e caratteristiche tessiturali degli intonaci circostanti. Le parti integrate, se non diversamente specificato, verranno tenute su un piano differente (in genere sottolivello) rispetto alle superfici degli intonaci adiacenti per consentire la distinguibilità. La applicazione della malta verrà eseguita per stratificazioni successive e con aggregati a granulometria decrescente dagli strati più profondi a quelli più superficiali, analogamente a quanto avviene per la realizzazione delle normali intonacature, con spatole metalliche di diversa dimensione e le rifiniture sui lembi, che dovranno essere particolarmente curate, verranno eseguite con spatolini da stuccare. Dopo un periodo sufficiente a consentire il primo indurimento della malta applicata, si provvederà alla lavatura o alla tamponatura della superficie con spugne e acqua deinonizzata il tutto secondo codice di pratica UNI prEDL297. Preparazione del supporto - controllo della presenza di anomalie o difetti che potrebbero provocare inattesi degradi dell’intonaco di completamento della lacuna in esecuzione; - controllo della presenza di elementi strutturali, aggetti o componenti che per forma o posizione potrebbero provocare rapido degrado dell’intonaco; - controllo della carenza o mancanza di elementi e componenti di potrezione la cui assenza potrebbe essere causa di rapido degrado dell’intonaco; - la presenza di fessurazioni, giunti strutturali e sollecitazioni indotte nel supporto dal sistema strutturale; - la stabilità dimensionale del supporto in relazione alle azioni termiche e idrometriche; preparazione del supporto - se il supporto presentasse residui di ppolveri dovrà essere lavato o comunque adeguatamente pulito; - se il supporto fosse poco poroso si provvederà alla aggiunta nella malta di addittivi polimerico AC33; - se la muratura fosse affetta da umidità di risalita per capillarità o da infiltrazioni da terreno addossato si dovrà provvedere con adeguati interventi di risanamento; - se la muratura presentasse macchie di umidità dovute ad infiltrazioni dalle coperture o da fenomeni umidi provocati da guasti agli impianti di adduzione o scarico acque si provvederà a riparare il guasto, si lasceranno asciugare convenientemente le murature e si valuterà l’opportunità di rimuovere l’intonaco nelle zone umide prima di procedere alla stesura dello strato finale. GLI IMPIANTI Capitolo 6 Il miglioramento delle prestazioni offerte dall’edilizia attuale determina alcun fatti nuovi tra i quali l’estensione della richiesta di confort anche al patrimonio edilizio storico, da un lato e, dall’altro, la specializzazione della progettazione tecnica che nella prassi crea una pluralità di competenze. Inoltre la estrema varietà di sistemi tecnologici e di apparecchiature tecniche disponibili per la realizzazione di sempre più alti livelli di benessere ed efficienza, ribadisce l’importanza della buona e completa progettazione nel recupero e restauro del patrimonio costruito. L’adattamento funzionale e la riutilizzazione di un antico edificio, assai spesso costruito in epoca preindustriale, comportano l’adeguamento della dotazione degli impianti tecnici o la loro creazione ex novo. Rispetto alla struttura antica, i nuovi impianti sono di solito elementi estranei, prettamente moderni, che servono, però, ad aggiornare e attualizzare l’uso dell’opera che si vuole conservare in funzione. Infatti in tutti i casi in cui l’ammodernamento comporti l’istallazione di impianti termici e di condizionamento, di reti di cablaggio elettrico, filo diffusione, ecc, gli antichi edifici che vengono riutilizzati non sono predisposti per ricevere l’apporto di tutti questi sistemi estranei. La loro struttura materiale materiale, spesso tormentate da apertura in breccia, da tracce e attraversamenti, recepiscono passivamente gli impianti e, il più delle volte, anche l’aspetto figurativo ne risente negativamente. Molto spesso infatti, in edifici che abbiano subito un adeguamento impiantistico si avverte fastidio per la sciatta realizzazione di canalizzazioni e linee elettriche, per l’istallazione di apparecchiature ingombranti o rumorose, per l’irrispettosa scelta dei materiali e via dicendo, insomma per i danni arrecati alle strutture materiali, figurative e ambientali. L’aspetto tecnico-impiantistico ha riguardato per lungo tempo quasi esclusivamente l’adduzione dell’acqua, gli scarichi dei liquami, l’espulsione dei fumi prodotti dai camini e l’areazione dei locali; esso era sfrontato inserendo le canalizzazioni nelle strutture murarie al momento della costruzione dell’edificio, secondo criteri di economicità ed efficienza, contestualmente alle altre opere. Vi si impiegavano materiali e procedure costruttive affini e compatibili con quelli usti per le opere civili; inoltre, questa relativa complessità di elementi era disposta in modo tale che, alla fine, gli utenti ne godevano i benefici richiesti dal costume sociale e dalle condizioni igieniche praticate. Nell’adattamento e nel recupero dell’edilizia storica, a differenza degli edifici di nuova progettazione in cui la dotazione di impianti entra ne processo formativo sin dall’origine, la questione dell’ammodernamento funzionale si pone nei termini dell’aggiunta e dell’integrazione. L’adeguamento impiantistico dei beni culturali oltre a misurarsi con tecniche, apparecchiature o materiali studiati e realizzati industrialmente per soddisfare la produzione edilizia corrente, deve condividere, con esiti talvolta deludenti, un sistema specialistico e parzializzato di progettazione che è ormai divenuto consueto nel settore edilizio. Inoltre, la normativa vigente per la sicurezza, il dimensionamento e la qualità, concerne materiali, tecniche costruttive e sistemi tecnologici impiegati nella costruzione del nuovo e non sempre può essere rispettata e applicata agevolmente negli edifici antichi. Spesso poi, a torto, la progettazione specialistica degli impianti contiene conto della sostanziale differenza tra la progettazione del nuovo e quella propria di restauro, basata sulla conoscenza delle prestazioni richieste agli antichi edifici. Sostanziato di attenzioni particolari per la conservazione dell’opera e di ricerca di soluzioni compatibili con i valori culturali in essa accumulati nel tempo, il progetto di ammodernamento degli impianti o di adattamento deve costituire uno “sviluppo” intelligente delle caratteristiche dell’organismo da adeguare, utilizzando al meglio e nel rispetto dei valori figurativi presenti, ogni possibile risorsa strutturale, distributiva, ambientale. Ciò tanto più vale quanto più la progettazione degli impianti tecnici e riferita all’adeguamento di un bene culturale, dal quale dovranno escludersi quegli interventi che, intaccano la statica, intralciano l’antica distribuzione o cancellando i caratteri formali dell’edificio, introducono in esso instabilità o accelerino processi di degrado si devono privilegiare quelle soluzioni semplificate del problema tecnico-impiantistico che riducono al minimo l’irriversibilità dell’intervento sulle strutture materiali; che adottino eventualmente soluzioni prefabbricate e di rapida o, meglio, “leggera” istallazione, a elementi integrati, e studiate, spesso, dall’industria per l’edilizia nuova ma ben adattabili alle esigenze del recupero degli antichi edifici; che comportino il minimo di invasività nelle antiche membrature, evitando scassi, tracce e altre opere dannose legate al pregiudizio che tali aggiunte debbano restare necessariamente nascoste ma che sappiano sfruttare con intelligenza, infine quando esistenti cavedi e antichi condotti verticali disattivati, come pure rinfianchi di volte e rilevanti spessori dei sottofondi, recuperabili a volte per il passaggio di condotti dell’aria condizionata, di nuove canalizzazioni di adduzione idrica e di scarico, di cavi elettrici ecc. Vasto 14/03/2003 Il tecnico in fede Arch. Domenico SCOPA
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    RELAZIONE STORICA Capitolo 1 Una delle prime notizie della fondazione della Chiesa e convento di San Francesco ci viene fornito da fra Polino da Venezia quando scrive nel testo “Provinciale Vetustissimum” redatto tra il (1334 ed 1344 m.), annovera la chiesa francescana di Palena, questa notizia ci informa che la struttura al tempo doveva essere già ultimata. Palena, unitamente ad altre pochissime città abruzzesi può vantare uno dei primi “locus” dove i francescani alla fondazione dell’Ordine...

    Project details
    • Year 2006
    • Work started in 2004
    • Work finished in 2006
    • Main structure Masonry
    • Client Diocesi Sulmona - Valva, Parrocchia di San Francesco
    • Contractor RENEX
    • Cost 250.000,00
    • Status Completed works
    • Type Recovery/Restoration of Historic Buildings / Restoration of Works of Art / Structural Consolidation
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