Chiesa di San Filippo e Jacopo | DOMENICO SCOPA

Restauro conservativo, consolidamento statico, Opere Architettoniche, Opere Pittoriche Florence / Italy / 2011

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RELAZIONE TECNICO SCENTIFICA E METODOLOGIA DI RESTAURO Chiesa di San Filippo e Jacopo Storia e vicende di un edificio In Firenze, all’agosto tra via della Scala e via del Porcellana, inglobate nel 1910 nello stabile adiacente, si trovano le vestigia di edifici religiosi che, nella loro struttura attuale, testimoniano dei tanti mutamenti sopravvenuti e delle varie organizzazioni che vi hanno avuto sede. Nella prima metà del trecento fu qui fondato uno spedale dedicato ai Santi Filippo e Jacopo e detto “del Porcellana”, soprannome dovuto probabilmente a “Frater Guccius vocatus Porcellana”, che risulta “Hospitalarius” nel 1337. Secondo Giuseppe Richa (l’erudito settecentesco autore dei fondamentali volumi sulle chiese fiorentine) l’edificio doveva essere stato costruito nel corso del XIII secolo dato che il Vasari descrive, come opera di Cimabue, due affreschi – perduti – sulla facciata dello spedale ai lati del portale, che raffiguravano, a grandezza naturale, l’Annunciazione e Gesù con Luca e Cleofe. Tuttavia, sebbene il biografo aretino insista sull’attribuzione inserendo una polemica nei confronti della pittura “greca”, pare probabile che si trattasse di dipinti più tardi, forse risalenti ai primi decenni del Trecento. Lo spedale era di patrimonio dei Michi del popolo di San Pancrazio, un’importante famiglia tra i cui membri si possono annoverare gonfalonieri, priori, capitani di Parte Guelfa nonché valorosi soldati. Lo stemma – “trinciato d’argento e d’azzurro a tre crescenti ordinati in banda dell’uno all’altro” – è presente al centro dell’architrave del portale d’ingresso – contrassegnato col numero civico nove di via della Scala – oltre che in tre scudi murati sulla facciata e sul fianco dell’edificio. Il patronato è attestato alla famiglia nel 1445 (quando lo spedale era “vacante per egressum Masii Ser Caroccii ultimi Hospitalarii Religionis Ord. S. Ioannis Hierosol. per privatinem de eo factam ab Archiep. Flor.”) e nel 1478, allorché è nuovamente riconosciuto con atto notarile. Papa Giulio II nel 1504 soppresse l’istituzione riunendola al vicino spedale di San Paolo, la cui loggia si apre sulla piazza di Santa Maria Novella. L’edificio all’angolo con quella che allora si chiamava Via Nuova d’Ognissanti, oggi via del Porcellana, appare come una piccola chiesa dal campaniletto a vela nella Pianta della città di Forense che don Stefano Buonsignori realizzò nel 1584. Non è comunque nota la sua destinazione a tale data, mentre bisogna attendere il 1587 per reperirne notizie: l’11 marzo di quell’anno – 1588 secondo il computo moderno – , Vittorio di Pellegrino dell’Ancisa ottenne gli ambienti dell’ex-spedale dei Michi del granduca Ferdinando I e dagli Operai di San Paolo e vi fondò un ospizio per pellegrini. Il dell’Ancisa – o “Messer Vettorio” come spesso risulta chiamato – un nobile sacerdote nato nel 1537, da laico fu membro attivo della compagnia dell’Arcangelo Raffaello di cui fu due volte governatore, oltre che provveditore, sagrestano, cerimoniere e munifico “festaiolo”. Già come confratello di questo sodalizio era venuto in contatto con fra’ Santi Cini (domenicano che vi ricoprì la carica di padre correttore, sovrintendendo alla vita religiosa del gruppo), che seguì nella compagnia di San Tommaso d’Aquino, nella quale entrò nel 1568, anno in cui fu ordinato sacerdote. Anche la confraternita di San Benedetto Bianco in Santa Maria Novella ebbe il dell’Ancisa tra i propri membri. Dopo un periodo trascorso a Roma presso Bartolomeo – si trasferì nuovamente a Firenze dove l’arcivescovo, cardinale Alessandro de’ Medici, lo nominò confessore in Santa Maria del Fiore e lo investì della cappellania di Santa Cecilia. Non trascurò comunque le opere di carità e – come accennato – in quello che era stato lo spedale dei Michi iniziò a ricevere pellegrini, coadiuvato dal sacerdote Luigi Puccini e dall’orafo Giovan Francesco Lippi. Nel 1589 – anno di particolare miseria e carestia – accettò, su richiesta dei Buonomini di San Martino, una ragazza il cui onore era in pericolo e, dopo questa, numerose “povere ma oneste fanciulle” che trovarono accoglienza, educazione religiosa e un lavoro manuale in modo da essere, lo dice Richa, lontane da “i pericoli della povertà”. Questa attività gli procurò inimicizie, accuse e gelosie, ma l’istituzione prosperò: il gruppo, composto da trentatre donne, fu detto “della Carità”, per quanto spesso familiarmente chiamato “le Fanciulle di Messer Vettorio”, ed ebbe dal dell’Ancisa delle regole che ne ordinarono la vita, senza che in esso si dovesse pronunciare alcun tipo di voto (“né solenne, né semplice, né privato), anzi “tra le basi fondamentali di tale Istituto “egli stabilì” che mai per tempo alcuno s’introducessi in questo suo Convento alcuna osservanza”. Esse dovevano solo annualmente emettere promessa di non uscire dal convento: e per questo furono chiamate “Fanciulle Stabilite nella Carità”. Alla morte, avvenuta nel 1598, il fondatore lasciò all’istituzione 14.000 scudi, le Costituzioni – incompiute – e l’affidò a Maria Triboli, la prima “venerabile” priora. Annesso al convento era lo spedale che continuò ad alloggiare “povere donne e pellegrini” e Luca Chiari, nel suo Priorista, descrive e loda il generoso trattamento riservato agli assistiti: “dove stando tre giorni dandogli loro da mangiare, bere e dormire, e se avessero bisogno di un paio di scarpe, o calze o altra cosa necessaria al Corpo, subito con carità gli è provvista, atto in vero tanto pietoso, che ardisco di dire che niuna altra città abbia un Ordine tale”. Nel 1605 il governatore Tommaso Rimbotti ottenne dal Capitolo Fiorentino (cui spettava il patronato della chiesa detta di San Paolino, nella cui parrocchia si trovava la Carità), il diritto di sepoltura nell’oratorio dello spedale e la facoltà di porre sopra il tetto una campana che poteva suonare “de more aliarum ecclesiarum”. Nei “Resarcimenti” della chiesa, di poco precedenti, erano stati erogati 3.000 scudi, comprensivi forse della lapide marmorea a ricordo del fondatore murata sopra una porta laterale – oggi chiusa – della parte sinistra: D. O. M. VICTORIO ANCISAE SACERD: FLOR. VENERAB: HUIUS DOMUS AD VIRGINES PRAESERVANDAS INSTITUTORI MUNIFICENTIS: EXIMIA IN DEUM ET PROXIMUM CHARITATE, COETERISQ: VIRTUTIBUS CLARO,PRI OPT: MERITO PIAE IN XPO FILIAE GRATI ANIMI MONIMENTUM POSUER: AN. D. M.D.C.II OBIIT AN. D. MDIIC NON. MAII AETAT AN. LXI Ulterori rinnovamenti, ricordati da numerose epigrafi, furono portati a termine nel 1626-27 a spese dell’arcivescovo Alessandro Marzi Medici. Sulla controfacciata, a sinistra entrando, è presente lo stemma del prelato unito alla iscrizione : ALEXANDER MARTIUS MEDICES ARCHIEPUS FLOR. S HUIUS SACELLUM EXORNANDUM ET PUELLARUM DOMICILIUM AD AMPLIOREM FORMAM AERE PROPRIO REDUCENDUM CURAVIT PATERNAE IPSIUS CHARITATIS IN DOMUM CHARITATIS TESTIMONIUM ANNO DOMINI MDCXXVI Alla destra è murata un’altra lapide: ALEXANDER MARTIUS MEDICES ARCHIEPUS FLOR. S SACELLIUM HOC ET ALTARE MAIUS IN HONOREM SS. IACOBI ET PHILIPPI DEDICA VIT III ID. APRILIS DOMINICA IN ALBIS ANNO CI I CXXVII EAQ. ANNIVERSARIA DIE OMNIBUS HIC PIA VOTA FUNDENTIBUS QUADRAGINTA DIERUM INDULGENTIAM IMPERTIVIT Ancora, sugli architravi dei portali della parete di fondo si legge: “ALEX. MARTIUS MED. ARCHIEP. FLOR.”, mentre stemmi del Marzi Medici (“D’oro, al leone di rosso e al capro saliente di nero – sanguinoso di rosso – affrontati, e sormontati da una palla, pure di rosso”) ricorrono sopra la finestra e nell’imbasamento dell’altar maggiore. Il coronamento di quest’ultimo ripropone le mensole dei portali costituito da volti di angeli le cui ali - racchiuse - formano volute; una serie di cornici decora l’architrave al cui centro è presente una testina angelica dalle ali spiegate. Superiormente corrono dentelli, cui sono sovrapposti cornici aggettanti e un timpano ad arco spezzato al cui centro è incisa, entro un cartiglio sagomato, l’iscrizione “PROPTER NIMIAM CHARITATEM” L’interno, assai semplice è costituito da un piccolo vano rettangolare che secondo Walter e Elisabetta Paatz è ancora quello dell’oratorio annesso allo spedale trecentesco, come testimonierebbe la presenza dell’antico portale. Il rinnovamento voluto dall’arcivescovo - che la tradizione dice su disegno di Matteo Rigetti – consistette nella realizzazione dell’altar maggiore, dei portali che lo affiancano e della teoria di dentelli che circonda l’intero ambiente, nella creazione delle paraste in pietra con mensole che ripropongono le medesime testine angeliche e nell’esecuzione della finestra in facciata. L’attribuzione all’architetto fiorentino è quanto mai verosimile perché i semplici elementi architettonici sono molto vicini - tra l’altro - a quelli della cappella maggiore del non lontano oratorio di San Francesco dei Vachetoni, realizzata dal Nighetti, ancora a spese del Marzi Medici. Descrizione del Manufatto L’antico stemma del convento era formato da un a”Croce rossa in campo d’oro, in mezzo alla quale era uno scudo minore a proporzione di giglio rosso in camp bianco, e negli spazi che erano tra ramo e ramo di detta croce, era compartita egualmente a lettere rosse CHA RITAS”. Il giglio fu poi sostituito da una croce rossa in campo l’oro con al centro – entro uno scudo azzurro - un calice dorato. Siamo a conoscenza, attraverso i documenti, di altri interventi all’edificio, anche se l’aspetto attuale difficilmente (se non quasi impossibile almeno nella sua parte esterna), permette di ricostruire la struttura del convento: sappiamo così che nel 1660 venne realizzata un “terrazzo grande”, che mezzo secolo dopo fu aggiunta una casa acquistata dallo spedale di San Paolo e che nel 1742 venne tolta una stanza alla clausuraper adattarla alle esigenze del confessore che vi avrebbe potuto soggiornare in caso di grave malattia di una sorella. Gli interventi di maggior rilievo risalgono al settimo decennio del Settecento, quando il convento acquistò la contigua sede della compagnia dei Tessitori di Lana dedicata a San Giovanni Evangelista. In permuta fu comprato per i confratelli il soppresso spedale dello Spirito Santo detto del Piccione in Borgo San Pier Gattolini. Negli ambienti nuovamente acquisiti – prospicienti Via della Porcellana – fu costruita una nuova cucina, una stalla, una lavanderia e altre stanze. La disposizione di una parte degli ambienti del monastero alla fine del XVIII secolo è documentata nel cabreo, oggi conservato a Praga, dove sono raccolti le piante e gli alzati di numerosi edifici sacri fiorentini. È così possibile risalire all’ubicazione del parlatorio, della sagrestia e dei vani destinati al fattore. Con la lettera F designa la chiesa con l’altare maggiore e i due laterali. A quello della parete destra era conservata un’immagine miracolosa della Vergine (oggi presso i depositi della Soprintendenza). La fascia superiore delle pareti della cappella è campita da un interessante fregio dipinto, spartito in dieci riquadri: alla destra dell’altare maggiore è raffigurato Il Buon Samaritano, alla sinistra Le pie Donne al Sepolcro. Negli altri affreschi si succedono Le Sette Opere di Misericordia Angeli: sulla parete destra, Dar da Bere agli Assetati, Vestire gli ignudi, poi ai lati del timpano dell’altare due Angeli, infine Visitare i carcerati. Sulla controfacciata Visitare gli Ammalati e Seppellire i morti. La parete sinistra presenta, sempre in senso antiorario, Alloggiare i pellegrini, ancora Angeli che si intravedono ai lati dell’altare laterale, un riquadro con Angeli, la parte centrale – forse perché deteriorata – è stata malamente annerita, e in fine Dar da mangiare agli affamati. Per i dipinti è possibile stabilire un termine ante quem al 1693, quando essi vengono citati nel “memoriale”. Il Richa descrivendo i pannelli dice opera di Cosimo Ulivelli (1625 1705), modesto ma proficuo allievo del Volterrano; di questi affreschi può qui essere evidenziato il tono gradevolmente narrativo che ripropone scene di vita cittadina e che riecheggia più ampi cicli pittorici del primo Seicento fiorentino. Purtroppo i dipinti sono molto scuri e necessiterebbero di restauri per renderli maggiormente leggibili, ma è ancora possibile individuare particolari interessanti e curiosi, come, in uno sfondo, la cupola del Duomo e il campanile di Giotto, altrove la raffigurazione di una corsia di ospedale, con alcuni letti assai semplici mentre uno è corredato di baldacchino, ancora una porta e una piazza cittadina, oppure il trasporto di un morto per mezzo di un cataletto. Sull’altare maggiore i Santi Filippo e Jacopo,titolari della chiesa – una tela di Francesco Conti. La scena la cui complessa iconografia fu suggerita dall’abate Anton Maria Salvini, rappresenta La Trinità cui la Carità raccomanda la Verginità mentre all’evento assistono anche San Filippo e an Jacopo oltre a svariati putti, angiolini e cherubini. In basso è una lacuna rettangolare, circondata da una cornice dorata, dietro la quale era conservato un corpo santo. Potrebbe trattasi sia delle spoglie di suor Margherita del Verbo Incarnato Allegri. Nel luglio 1758 risulta condotto a termine un intervento che consistette”nel rimettere in piombo le mura laterali del Coro, risarcire l’Imposte e telai delle finestre, imbiancarlo, rimodernandone gl’Ornamenti dei Quadri e nella facciata del Comunicatorio fattovi una Pittura a Fresco e nella delle Prediche, effigiato in Tela un Gesù Salvatore, siccome dipinte a marmo le colonne, stipiti, capitelli”. Si tratta probabilmente di lavori all’ambiente – o nella pianta settecentesca – spartito da due colonne con capitelli tuscanici decorati da rosette; le volte a botte sono suddivise in vele, dimezzate da lunette, poggianti alle pareti per mezzo di peducci che terminano in piccole nappe. I caratteri stilistici hanno fatto ipotizzare ai Paatz che il vano risalga al rinnovamento del 1588-89: questa ipotesi può essere accettata in quanto tali elementi architettonici sono largamente diffusi – soprattutto in ambienti monastici – nella Firenze del tardo Cinquecento. Trasformato in “Conservatorio” in epoca lepoldina, l’ente fu soppresso dai Francesi nel 1808; con decreto granducale del 10 maggio 1817, fu unito alle terziarie di San Francesco di Paola che occupavano l’antico monastero di San Pietro a Monticelli. Trasferendosi Oltrarno le monache portarono con sé gli aredi descritti dal Richa – oltre numerosi altri, - gran parte dell’archivio e il corpo della Allegri. Invece la tela si Francesco Conti, già sull’altar maggiore e considerata perduta, è stata reperita nei depositi della Soprintendenza del Rondò di Bacco Problematiche connesse al restauro Nell’ambito degli interventi sui beni architettonici e, più ampiamente sul costruito preindustriale, ricorrono situazioni che spesso vengono risolte in maniera estremamente semplicistica, con atteggiamento superficiale e contraddittorio tra l’enunciato teorico e i risultati che si possono ottenere nel contesto storico in cui si opera. Soprattutto questi modi di procedere vengono talvolta giustificati ricorrendo a termini consolidatisi negli anni, nell’ambito degli addetti al restauro e/o alla conservazione, e spesso sono diventati significati assoluti, veri e propri assiomi da perseguire necessariamente. In effetti usare concetti dai significati assoluti nell’ambito del restauro dei monumenti, difficilmente imbrigliabili in schemi predeterminati, è assai arduo, in quanto ogni volta necessitano scelte progettuali diverse, difficilmente separabili dalla capacità di sintesi del progettista, il quale dovrebbe operare non secondo schemi preconfezionati (questo non significa non seguire determinate raccomandazioni, ad es. i Normal), ma in funzione di una singolare procedura, originale per tutti i progetti. Il progetto di restauro non è solo una serie di sterili indagini iniziali fini a se stesse, ma diventa parte integrante della progettazione architettonica, rapportandosi direttamente con la difficile opera di salvare il costruito che già esiste e non con quello che ancora si deve costruire, come avviene invece nella progettazione ex novo. Di seguito si riportano alcuni di questi aspetti terminologici a cui noi ci riferiamo. La reversibilità è uno dei concetti più complessi; ricercata voluta da tutti i restauratori, anzi uno dei concetti base del restauro, risulta nella realtà estremamente complessa, e in alcuni casi anche poco chiara, a causa della molteplicità di sfaccettature che essa può assumere Brandi, “che essenziale scopo del restauro non è solo quello di assicurare la sussistenza dell’opera nel presente, ma anche di assicurare la trasmissione nel futuro: e poiché nessuno può mai essere certo che l’opera non avrà bisogno di altri interventi, anche semplicemente conservativi, nel futuro, occorre facilitare e non precludere gli eventuali interventi successivi”. La compatibilità è tra le componenti che caratterizzano gli interventi sull’antico, il concetto di compatibilità dovrebbe sempre interessare tutte le fasi del progetto e dell’esecuzione. Come nel caso della reversibilità anche questo termine ha un ventaglio di diversi possibili significati. Il più immediato è sicuramente la compatibilità di tipo chimico-fisica con i materiali preesistenti e la compatibilità meccanica tra materiali vecchi e nuovi. Ma la compatibilità è anche di ordine critico, e investe la sfera dell’immagine del monumento, per cui occorrerà valutare ogni volta l’opportunità di inserire una determinata struttura in funzione della lettura globale del costruito storico, mettendo in rapporto tra loro i concetti di compatibilità, reversibilità e durabilità nel tempo, innescando cioè il complesso processo critico che deve essere alla base di qualunque intervento di questo genere. I materiali da utilizzare nell’ambito di un intervento di restauro dovrebbero essere caratterizzati da proprietà simili ai materiali già in sito per quanto riguarda soprattutto la durabilità. La compatibilità dei materiali impiegati deve essere valutata dal punto di vista sia chimico che fisico, nel caso si tratti di interventi nei quali sono utilizzati materiali metallici è necessario considerare anche gli aspetti elettrochimici. Ai fini dell’intervento sul costruito storico, la caratteristica da valutarsi prioritariamente è la compatibilità chimica, ovvero si deve decidere se i materiali da utilizzare possono reagire o no tra di loro. Diventa di conseguenza indispensabile valutare, sin dalla fase delle indagini preliminari, durante l’iter progettuale e, a maggior ragione, durante il corso dei lavori di restauro, in continua evoluzione, la reattività chimica (compatibilità) dei materiali da usarsi con quella dei materiali già in opera. Anche il concetto di durabilità può suscitare alcune perplessità interpretative, dovute a quanto è stato detto per la reversibilità oltre alla tendenza attuale a porre un limite di durata per ogni prodotto. Anticamente la durabilità di un materiale era pensata con valenza centenaria, oggi esiste tuttavia un’altra tendenza, legata al consumismo imperante del mercato attuale: si tratta di una regola non scritta, ma semplicemente serpeggiante all’interno di vari cantieri di restauro, oltre che di quelli in cui si costruisce ex novo. L’uso di determinati materiali viene ormai valutato su un tempo medio di dieci anni. Il minimo intervento si presta ad una letteratura amplissima e può considerare esempi assai diversi tra loro; tra questi si possono classificare anche casi non solo strettamente legati alle sole murature intese come aspetto materico, ma ad esempio anche inerenti i parametri microclimatici all’interno di una struttura architettonica che deve avere funzioni di tipo non e/o museale. L’autenticità di qualsiasi intervento è dato dalla necessità dalle integrazioni da effettuarsi su qualsiasi tipo di monumento noi stiamo intervenendo. Le parti di nuova esecuzione utilizzate come integrazione dovrebbero essere riconoscibili per consentire la distinzione delle parti originali da quelle integrate. Questo vale a tutti i livelli, dalla sostituzione del lapideo perché gravemente e irreparabilmente danneggiato, all’integrazione dell’intonaco in lacune che come tali possono essere ulteriore veicolo di immissione umida all’interno dello stesso paramento intonacato. La manutenzione negli ultimi trent’anni ha rivestito un grande ruolo nel dibattito del restauro, altro termine assai ambiguo nei suoi molti significati. A seconda di come si opera la manutenzione è considerata il miglior modo di intervenire e conservare, oppure un metodo distruttivo del bene, un atto di conservazione o la continua manutenzione del bene, stratificando in questo modo interventi successivi non tutti consoni alla conservazione. Tantomeno sono di aiuto le definizioni di legge relative alla manutenzione, che come ormai noto da molto tempo, significano operazioni completamente diverse dal termine manutentorio con cui vengono indicati i lavori che precedono le voci “restauro” e “ristrutturazione”. I termini ordinaria e straordinaria manutenzione sembrano oggi oltre che usati addirittura abusati, spesso in forma maldestra. Solo il nuovo regolamento da una definizione più confacente alla materia “…per restauro si intende l’intervento diretto sul manufatto volto a mantenere l’integrità naturale e ad assicurare la conservazione e la protezione dei suoi valori culturali . È significativo al riguardo come descritto nel cap. 2 come la Confraternita annualmente svolgeva una manutenzione sistematica e sistematica quando venne meno questa pratica ne giro di pochi decenni le coperture si sono dovute ricostruire completamente. La vera manutenzione su un manufatto sano dovrebbe essere quella preventiva, da mettersi in atto prima che il bene deperisca, o quantomeno presenti sintomi che fanno presagire il suo mutamento. Intervenire dopo che il male si è già manifestato è già una cura, e quindi un modo per tamponare un danno già in atto. I piani di manutenzione dovrebbero essere considerati in questa logica, attraverso operazioni di pulitura superficiale, non traumatica, eliminando elementi che si depositano periodicamente su quella determinata parte del monumento, evitando infiltrazioni umide, ecc.. Il contesto della manutenzione dovrebbe essere assai vicino a quello del minimo intervento, non in una fase restaurativa, quindi già di cura, ma in precedenza, per evitare di entrare in una fase patologica. STATO DI DEGRADO La bellezza artistica e il messaggio storico dei monumenti non bastano a sottrarli agli inevitabili effetti della seconda legge della termodinamica e della irreversibilità dei suoi processi. E’ importante tener presente che viviamo in un universo pervaso dal divenire in cui l’immutabilità non può applicarsi al mondo fisico e materiale ma solo trascendere nell’astratto e nel metafisico. Per rallentare il degrado dei monumenti sono indispensabili, come “purtroppo” è avvenuto per la chiesa di San Francesco, degli efficaci interventi conservativi e non ci si può accontentare di una manutenzione (come in questo caso assente per decenni), più che altro contemplativa praticata nei giorni nostri. Le tecniche di restauro e di conservazione, per lungo tempo abbandonate ad un confuso empirismo si sono evolute in maniera considerevole negli ultimi decenni grazie al notevole contributo di una pluridisciplinarietà legata all’architettura, ingegneria, scienza dei materiali, biologia, climatologia e scienze umane. Si tratta quindi di tessere insieme questi vari aspetti della scienza e della tecnica per giungere ad una visione plurima del monumento, costituita da tante sfaccettature. Le condizioni con cui i nostri monumenti arrivano sino a noi sono tanti, a volte quasi come ruderi, a volte di fatiscenza avanzata, a volte come nel nostro caso piuttosto compromesso. Se a questi stati di conservazione dei nostri monumenti si aggiunge forti rimaneggiamenti e trasformazioni ci si può facilmente rendere conto in quali condizioni i nostri monumenti ci raggiungono. A tutto ciò va aggiunto un ulteriore fattore che è quello più grave e che affliggono la stragrande maggioranza dei nostri monumenti e cioè la scarsa manutenzione, o ancor di più quanto per lunghi anni non vengono utilizzati. La suddivisione ormai classica fra cause “intrinseche” ed “estrinseche” già introdotte dall’Alberti “i difetti degli edifici possono essere quasi congenite e connaturati da cause esterne. Cause intrinseche: - dovute al sito in cui è stato edificato, in special modo la Chiesa poggia le sue fondamenta parte su banco di roccia lato sinistro, terreno compatto lato desto e su porzioni di stratificazioni su precedenti insediamenti (chiesa del Loco); - dovute a difetti di progettazione, che possiamo accostare alle varie epoche e metodologie di edificazione, soprattutto considerando l’ultimo intervento svolto alla metà degli anni ottanta; - dovute ai materiali alle tecnologie costruttive; i vari materiali impiegati laterizi, pietra, blocchi di marmo, in alcuni parti costruzione a sacco, in altre parti costruzione continua cemento per cordoli ed intonaci esterni, ecc,. - cause estrinseche naturali ad azione prolungato nel tempo primo fra tutte: l’umidità sia di costruzione che per capillarità, igroscopia, condensazione dell’umidità atmosferica, infiltrazione. Il degrado degli intonaci L’intonaco tradizionale è lo strato di materiale applicato al muro per proteggerlo, o meglio per consentire al muro di regolare autonomamente l’assorbimento dell’acqua dall’ambiente che lo circonda, o il passaggio osmotico tra interno ed esterno. E’ di conseguenza un elemento fondamentale per l’esistenza del muro, e diventa assai importante la sua manutenzione. In alcuni edifici storici, l’intonaco è stato trattato in superficie con diverse tecniche di decorazione quali affresco, marmorino, graffito, ecc. per cui assume ancora più importanza l’aspetto della manutenzione per una buona conservazione del bene. Mentre per quanto quello esterno è in cemento è l’alto spesso re ha ricoperto le modeste modanature presenti. Il degrado degli intonaci è provocato da vari fattori: - interazione dei vari strati componenti l’intonaco stesso, quali ritiro e dilatazione termiche differenziali, rigonfiamenti dovuti ad assorbimento d’acqua, incompatibilità chimica tra i vari materiali; - azione connesse al supporto murario, come tensione di assestamento, umidità, efflorescenze, fattori questi che provocano in genere il distacco dell’intonaco. Tra le offlorescenze, particolarmente pericolosi sono i solfati, la cui presenza nelle murature può produrre ettringite per reazione con gli alluminati di calcio della malta idraulica o thaumasite per reazione con i silicati di calcio idrati anch’essi contenuti nella malta. Mentre la formazione di ettringite da luogo a rigonfiamenti e distacchi dell’intonaco, la thaumasite associata all’effetto dilavante dell’acqua piovana o infiltrazione della stessa, genera una asportazione progressiva della malta; - azione dovute all’aggressione dell’ambiente esterno, che si è trasferito internamente; - dilatazioni e contrazioni dovute agli sbalzi termici, gelo, condensazione ed evaporazione dell’acqua in seguito a variazioni igrometriche, atmosfere aggressive, attacchi biologici. Il degrado si manifesta in questo caso con perdita di coesione superficiale, spolveramento, distacco degli strati di intonaco l’uno dall’altro o distacco intonaco/muratura. Fattori metereologici e climatici Le condizioni atmosferiche sono in rapporto con lo stato di salute di un monumento la pioggia, il vento, il soleggiamento o addirittura determinano direttamente il degrado dell’edificio. Aggressione biologica Per aggressione biologica si intende l’azione alterativa prodotta da microorganismi vegetali e animali, da vegetali superiori, da insetti e da organismi marini da guano degli uccelli. Si prende cosi in considerazione l’ambito dell’alterazione derivante da fonte organica, tralasciando quello inerente al diretto intervento di forma animali superiori, contraddistinti in genere da caratteri di accidentalità e da meccanismi di natura fisica. La dinamica del biodeterioramento muove da una prima fase di contaminazione del materiale, cui seguono la proliferazione in superficie e lo sviluppo in profondità; quest’ultima fase è in particolare responsabile dell’azione alterativa diretta di natura fisico-chimica. Successivamente la colonizzazione di microrganismi può provocare danni indiretti, tramite l’accumulo di sostanze morte o di rifiuto metabolico, pericolose perché permettono la crescita di agenti superiori di degrado o perché esse stesse possono produrre alterazioni chimiche. Inquinamento: polveri – patine di cere incombuste A differenza di quanto avviene per l’uomo la gravità del danneggiamento apportato al monumento non è tanto legato ai picchi d’intensità di inquinamento, quanto alla costanza del fenomeno. I materiali a contatto con gli elementi inquinanti reagiscono secondo meccanismi simili indipendentemente dalla quantità percentuale dell’elemento e non possiedono la capacità degli organismi viventi, di adattarsi, entro un certo limite di tollerabilità, alle condizioni ambientali. L’anidride carbonica a contatto con l’acqua si trasforma in acido carbonico, un tipo di acido “debole” in grado di produrre una modesta alterazione dei materiali lapidei e metallici, soprattutto mediante i meccanismi della carbonatazione e dell’ossidazione, l’aumento di anidrite carbonica nell’aria contribuisce a innalzare il contenuto di acidità dell’acqua meteorica. Il processo fisico di alterazione si distingue da quello chimico perché non comporta la modifica e si attua essenzialmente tramite sforzi e sollecitazioni anche a livello mollecolare. I processi chimici sono dunque più profondi anche se in genere più localizzati ma non è raro trovare una conteporaneità d’azione dei due diversi meccanismi come avviene ad esempio, nei metalli in presenza di corrosione sotto “fatica”. Alterazione fisica: nuova conformazione dei materiali, ossidazioni, cristallizazioni I meccanismi fisici di alterazione si esplicano a scala macroscopiche; i primi riguardano la costanza strutturale dell’elemento coinvolto e richiedono la compressione dell’intero funzionamento statico dell’organismo architettonico; i secondi sono relativi alle sollecitazioni agenti sul singolo elemento resistente e possono consentire in stres “esterni”, diretta conseguenza dei fenomeni macroscopici di alterazioni statica oppure dovuti a cause termiche, e “interni”, derivanti da cristallizzazione dei sali o da gelività. Sollecitazione di carico: problematiche di ordine statico – quadro fessurativo Il meccanismo dell’alterazione per sollecitazione meccanica consiste nell’applicazione di sforzi di trazione e compressione sul materiale e nella differente risposta di quest’ultimo, legata alla sua natura dell’elemento sollecitato (comportamento elastico-plastico dei metalli, comportamento elasto-fragile dei laterizi ecc.). A livello microscopico l’osservazione del fenomeno rivela che i legami atomici del materiale si oppongono alla sollecitazione da carico fino a un certo limite, oltre il quale l’elemento si microfrattura; la presenza di microfratturazioni provoca concentrazioni di tensione nell’apice delle fratture, aggravando localmente lo stato di sollecitazione e portando alla rottura progressiva dell’elemento. Entità e tipologia delle deformazioni grandezza delle forze in gioco e dimensioni del fenomeno variano con i materiali interessati e in ragione del loro ruolo nella costruzione . A questo punto il termine degrado non rappresenta un termine generico in cui far confluire tutta una serie di problematiche molto spesso generici che hanno poca corrispondenza con il maanufatto su cui l’architetto prima ed il restauratore poi intervengono per risanare il monumento da situazioni di “sofferenza”. Il quadro diagnostico che si affaccia dopo un attento sopralluogo visivo è piuttosto variegata, in estrema sintesi le situazioni di maggior degrado riscontrate sono: - ampi brani di intonaco decoeso dall’apparecchio murario; - cornici e stucchi scollati dal supporto murario; - sovraccarichi eccessi; - cedimenti del terreno - variazione della risultante delle forze di equilibrio; - sollevamento dei pavimenti sul lato sinistro della navata, ed abbassamento sul lato destro; - inflessione degli archi su cui si imposta il tamburo della cupola lungo l’asse trasversale; - microrotazione in atto del lato destro; - presenza di umidità discendente dovuto ad infiltrazione di acqua piovana anche se le coperture staticamente sono efficienti ma l’ondulina catramate in più punti è completamente lacera e non riesce più ad assolvere da strato di isolante senza parlare del manto di copertura essendo la maggior parte ciccati e smossi anche loro contribuiscono a far filtrare l’acqua meteorica; - umidità ascendente dovute ad infiltrazione dovuto al terreno soprattutto su lato destro avendo a monte il terreno che formava l’antico chiostro ed inoltre con ogni probabilità al disotto del pavimento passa una antica fognatura mai ispezionata; - distacco di pellicola pittorica in tantissime parti dovute essenzialmente ad infiltrazione di acqua piovana che continua ancora; INTERVENTI DI RESTAURO Consolidamento mediante iniezioni a base di miscele leganti. Prima di dare inizio ai lavori ,si dovrà eseguire un’attenta analisi della struttura al fine di determinare l’esatta localizzazione delle sue cavità,la natura della sua materia,la composizione chimico-fisica dei materiali che la compongono. Gli esami potranno essere effettuati mediante tecniche molto usate come la percussione della muratura oppure ricorrendo a carotaggi con prelievo di materiale,a sondaggi endoscopici o,in relazione all’importanza delle strutture e dietro apposita prescrizione ad indagini di tipo non distruttivo(termografie,ultrasuoni,etc.).In presenza di murature particolari, con grandi spessori e di natura incerta,sarà inoltre indispensabile effettuare prove di consolidamento utilizzando differenti tipi di miscele su eventuali campioni tipo in modo da assicurarsi che l’iniezione riesca a penetrare sino al livello interessato. In presenza di murature in pietrame incerto sarà preferibile non togliere lo strato d’intonaco al fine di evitare l’eccessivo trasudamento della miscela legante. La tecnica consisterà nell’iniettare nella massa muraria ad una pressione variabile in ragione del tipo di intervento ,una malta cementizia e/o epossidica opportunatamente formulata che riempiendo le fratture e gli eventuali vuoti,sappia consolidare la struttura muraria,sostituendosi e/o integrando la malta originaria. I punti su cui praticare i fori(in genere 2 o 3 ogni mq.)verranno scelti dalla D.L. in base alla distribuzione delle fessure ed al tipo di struttura.Detti fori,di diametro opportuno(indicativamente da 30 a 50 mm.)si eseguiranno con sonde a rotazione munite di un tagliatore carotiere con corona d’acciaio ad alta durezza o di widia. Nelle murature in pietrame ,le perforazioni dovranno essere eseguite in corrispondenza dei giunti di malta e ad una distanza di circa 60/80 cm in relazione alla compattezza del muro. Nelle murature in mattoni pieni la distanza fra i fori non dovrà superare i 50 cm. Si avrà l’accortezza di eseguire le perforazioni finalizzando l’operazione alla sovrapposizione delle aree iniettate,ciò sarà controllabile utilizzando appositi tubicini “testimone”dai quali potrà fuoriuscire l’esubero di miscela iniettata. I tubicini verranno introdotti,per almeno 10cm ed avranno un diametro di circa 20mm,verranno poi sigillati con la stessa malta di iniezione a consistenza più densa. Durante questa operazione sarà necessario evitare che le sbavature vadano a rovinare in modo irreversibile l’integrità degli adiacenti strati di rivestimento. Per favorire la diffusione della miscela,si dovranno praticare dei fori profondi almeno quanto la metà dello spessore dei muri. Nel caso di spessori inferiori ai 60-70cm. le iniezioni verranno effettuate su una sola faccia della struttura;oltre i 70cm. si dovrà operare su entrambe le facce. Nel caso in cui lo spessore dovesse essere ancora maggiore ,o ci si trovasse nell’impossibilità di iniettare su entrambe le facce,si dovrà perforare la muratura da un solo lato fino a raggiungere i 2/3 della profondità del muro. Tutte le fessure,sconnessioni, piccole fratture fra i manufatti interessati all’intervento andranno preventivamente stuccate per non permettere la fuoriuscita della miscela legante. Prima di effettuare l’iniezione si dovrà effettuare un prelavaggio al fine di saturare la massa muraria e di mantenere la densità della miscela. Il prelavaggio profondo sarà inoltre utile per segnalare e confermare le porzioni delle zone da trattare,che corrisponderanno con la gora di umidità,oltre all’esistenza di eventuali lesioni non visibili. Il lavaggio andrà eseguito con acqua pura ,eventualmente demonizzata e priva di materie terrose.Durante la fase del lavaggio andranno effettuate le operazioni supplementari di rinzaffo,stilatura dei giunti e sigillatura delle lesioni. La miscela dovrà essere omogenea,ben amalgamata ed esente da grumi ed impurità. L’iniezione delle miscele all’interno dei fori sarà eseguita a bassa pressione che andrà effettuata tramite idonea pompa a mano o automatica provvista di un manometro di facile ed immediata lettura.La lettura dovrà essere mantenuta costante fino a quando la miscela non sarà ovviamente fuori uscita dai fori adiacenti o dai tubicini “testimoni”. Ad indurimento della miscela,gli ugelli saranno rimossi ed i fori sigillati con malta appropriata. Consolidamento in profondità. Accurata battitura delle superfici e perimetrazione delle zone di distacco. Consolidamento in profondità degli intonaci distaccati con esecuzione di fori in corrispondenza delle zone di distacco, aspirazione di eventuali polveri, lavaggio e umidificazione delle parti da consolidare, iniezione di formulato costituito da maltina adesiva a presa debolmente idraulica, cariche, polimeri acrilici in dispersione, additivi aventi la funzione di fluidificare il composto, favorire la bagnabilità delle cariche e consentire la adesione delle parti distaccate al supporto, compreso uso e noleggio dell’impianto di iniezione. Ispezione e preparazione del supporto - Esame preliminare della superficie da consolidare; - verifica di eventuali deterioramenti sottostate l’intonaco; - controllo la presenza di anomalie o difetti che potrebbero provocare inattesi degradi del consolidamento in esecuzione; controllo di elementi strutturali, aggetti o componenti che per forma o posizione potrebbero provocare rapido degrado del supporto; controllo della carenza meccanica di elementi e componenti di protezione la cui asenza potrebbe essere causa di rapido degrado del supporto; presenza di fessurazioni, giunti strutturali e sollecitazioni indotte nel supporto dal sistema strutturale; la stabilità dimensionale del supporto in relazione alle azioni termiche e idrometriche; nei casi in cui si verifichino le seguenti condizioni il supporto sarà trattato nel seguente modo: se la muratura è disgregata provvederà alla sua riaggregazione e consolidamento; se il supporto presenta contaminazioni di sali questi dovranno essere rimossi, per quanto possibile, e dovranno essere successivamente applicati appositi prodotti in grado di contenere o controllare successive cristallizzazioni di sali; se la muratura è affetta da umidità da risalita per capillarità o da infiltrazione da terreno addossato si dovrà provvedere con adeguati interventi di risanamento; se la muratura presenta macchie di umidità dovute ad infiltrazioni delle coperture o da fenomeni umidi provocati da guasti agli impianti di adduzione o scarico acque si provvederà a ripare il guasto e si lasceranno asciugare convenientemente le murature prima di procedere alla intonacatura; se il supporto o l’intonaco presentassero fessurazioni si provvederà alla sigillatura delle stesse per evitare fuoriuscite del prodotto di iniezione. Foratura, pulitura dei fori,inserimento delle cannule Verifica dello spessore dell’intonaco nelle zone oggetto dell’intervento; esecuzione dei fori nell’intonaco utilizzando un trapano elettrico con punte di diametro adeguato (4/6mm) evitando percussioni e vibrazioni eccessive. La quantità di fori per unità di superficie da consolidare, se non meglio specificato dal progetto e da eventuali prove preliminari, è di n° 6/8 per m2; a mezzo di pistola soffiatrice collegata a un piccolo compressore, l’operatore provvede alla pulizia del foro, avendo cura di eliminare polveri, residui della foratura o quant’altro possa ostacolare la immissione e la percolazione del prodotto adesivo; nel foro viene inserita una cannula di materiale sintetico, successivamente sigillata con plastilina (o eventualmente altro materiale sigillante) per evitare fuoriuscita di prodotto. Modalità di esecuzione e criteri di accettabilità dei controlli Che non vi sia presenza di formazioni saline cristallizzate in superficie sotto forma di patine superficiali o escrescenze biancastre; si verifica visivamente che non vi siano macchie con localizzati scurimenti della superficie generalmente accompagnati da efflorescenze (a volte anche patine biologiche) ed erosione della superficie stessa con eventuali cadute di parti di intonaco. In presenza di questi fenomeni si procede alla misurazione strumentale dell’umidità con sistema conduttimetrico. Il consolidamento corticale potrà essere eseguito se la presenza di umidità nella massa muraria è contenuta nei valori fisiologici relativi alla muratura stessa; si controlla visivamente che i fori abbiano dimensioni di 4-6mm e siano distribuiti regolarmente sulla superficie da consolidare in numero di 6-8 per m2; si controlla visivamente che l’area di iniezione sia stata adeguatamente umidificata e in questo caso dovranno osservare i tipici scurimenti delle superfici con colature di acqua in particolare dai fori inferiori. Consolidamento e riadesione. Gli intonaci e i dipinti murali possono avere difetti di stabilità che interessano lo strato pittorico o gli strati di intonaco; queste alterazioni sono dovute alla perdita di coesione dei materiali o alla perdita di adesione degli strati. La perdita di coesione provoca la polverizzazione dei materiali: il degrado si manifesta in superficie ma può segnalare un’alterazione in profondità. La perdita di adesione separa uno strato dall’altro: lo spessore dello strato pittorico oscilla da pochi mμ fino a raggiungere raramente il millimetro; uno strato di intonaco può avere spessori consistenti da 2-3 mm fino a 6-8 cm. come l’opera lignina o il cocciopesto. Il consolidamento riguarda il materiale decoeso, della pittura o dell’intonaco, che ha perso la propria continuità e si presenta polveroso, in agglomerati di particelle incoerenti, in scaglie. La riadesione riguarda gli strati, della pittura o dell’intonaco, separati dal proprio supporto. Nel restauro, il collante e il suo solvente devono essere compatibili con la tecnica di esecuzione del dipinto e con i materiali dell’intonaco: per un intonaco costituito di argilla o con percentuali di gesso, che viene rigonfiato e sciolto dall’acqua, non si possono utilizzare collanti sciolti in acqua e si impone l’uso di resine acriliche in soluzione (Paraloid B 72). Il solvente non deve evaporare troppo rapidamente né deve far ristagnare il collante sulla superficie tanto da creare accumuli sullo strato dipinto a scapito della penetrazione in profondità. I prodotti che ripristino la coesione devono sopportare il peso di corpuscoli e agglomerati di colore o granuli di intonaco, devono avere buone caratteristiche meccaniche, ma una bassa resistenza a trazione, e una buona flessibilità; nel preferire quelle soluzioni collanti che permettono una soddisfacente penetrazione, sono più adatte le soluzioni non polari rispetto alle soluzioni polari, perché costituite da molecole più piccole. I prodotti che ristabiliscono l’adesione degli strati del dipinto murale devono sostenere strati più spessi e dunque più pesanti;: devono pertanto avere una buona resistenza a trazione; il collante non deve avere grande poter penetrazione poiché viene iniettato direttamente nello spazio da colmare. Per gli intonaci a base di calce sono ideali le miscele idrauliche perché presentano affinità con l’intonaco e perché possono essere diluite secondo le necessità del caso; inoltre lasciano sempre la possibilità di poter distaccare il dipinto murale dal suo supporto. La superficie pittorica e gli strati di supporto, quando sono danneggiati, sono un unico insieme per l’intervento di consolidamento. L’intervento procede dalla superficie all’interno, con operazioni provvisorie e operazioni finali, tutte finalizzate a non perdere particolari di colore o di intonaco che sono pericolanti. Le operazioni provvisorie devono consentire le fasi successive: sono reversibili; le operazioni finali devono consentire futuri interventi. Tutti gli interventi sono praticati attraverso la superficie, che è la parte più delicata, più esposta a rischi di danni e perdite. Gli interventi di consolidamento e di riadesione precedono la pulitura quando lo strato pittorico e gli strati di intonaco sono sicuri. Intervento sugli affreschi Sistemi di pulitura. Un primo livello di pulitura tende a rimuovere essenzialmente i depositi incoerenti(generalmente formati da particellato atmosferico,carbonioso o terroso)chesi accumulano per gravità o dopo essere state veicolate da acqua atmosferica o di risalita (efflorescenze saline)e che non realizzano alcun tipo di coesione o di reazione con il materiale sottostante.Questo tipo di deposito possiede una debole potenzialità patogena,che varia moltissimo in rapporto alla composizione delle sostanze e al materiale su cui si sedimentano.Anche i tempi di aggressione possono essere differenti,e dipendono dalla presenza o meno di sostanze attivatici(perlopiù l’acqua,che entra in quasi tutte le reazioni patogene)o catalizzatrici. Un secondo livello di pulitura prevede la rimozione di depositi composti esclusivamente o prevalentemente da sostanze allogene che tendono a solidarizzarsi alla superficie del manufatto con un legame essenzialmente meccanico ,senza intaccare(o intaccando in minima parte)la natura chimica del materiale.Le sostanze da rimuovere possono essere ancora particellato atmosferico,penetrato in profondità,magari veicolato da acqua,oppure sali(carbonati)depositati per esempio da acqua di dilavamento,o presenti come macchie. Un terzo livello di pulitura prevede invece la rimozione dello strato superficiale che si forma sul materiale allorché le sostanze esterne,volatili o solide,si combinano con il materiale di finitura,mutandone la composizione chimica e dando origine a prodotti secondari,di reazione:è il caso dell’ossido di ferro (ruggine)che si forma sulle superfici metalliche,o dei prodotti gessosi che vengono definiti croste,in ragione del loro aspetto,che si formano sui materiali lapidei.Perdurando l’apporto delle sostanze patogene dall’esterno,si ha un progresso continuo dell’attacco in profondità,con distacco e caduta delle parti esterne degradate. Per rimuovere i materiali incoerenti sono sufficienti blandi sistemi meccanici:aspiratori,stracci,scope e spazzole in fibra vegetale-saggina-(meno incisive di quelle in materiale sintetico),aria compressa.Questi metodi possono venire integrati dall’impiego puntuale di bisturi,spatole, piccole spazzole in nailon o metalliche Per rimuovere i depositi fortemente coesi e solidarizzati i metodi sopra elencati possono essere integrati da cicli di pulitura più incisivi,che trovano larga applicazione soprattutto nel trattamento dei materiali di rivestimento e in generale,di pietre,murature,malte e,in molti casi(ad esclusione dei sistemi che impiegano acqua),anche di legno e metalli. Raschiatura parziale tinte e pitture Esecuzione prova preliminare - esecuzione di prova preliminare attraverso quadrettatura di cm. 1 di lat su una superficie significativa di almeno 100 cm2, ( un quadrato di 10cm. per lato) distribuita su diversi punti della superficie oggetto d’intervento allo scopo d verificare l’adesione al supporto dei vari strati di tinta o pittura e soprattutto verificare tracce della più antica tinta in maniera ove si rendesse necessario insieme alla D.L. ed alla Soprintendenza Storica si porranno nuovamente in luce. L’operazione andrà eseguita utilizzando bisturi od altri elementi idonei al sollevamento della pellicola pittorica senza danneggiare di quanto antico e pregiato dovesse affiorare. La prova preliminare con quadrettatura è significativa per strati corticali polimerici, meno attendibile per coloriture inorganiche, nel secondo caso ci si atterrà alle specifiche di progetto e le indicazioni della Soprintendenza. - Valutazione visiva degli esiti della prova preliminare in relazione alla maggiore o minore integrità dello strato sottoposto a quadrettatura. Se l’esito è soddisfacente (le parti che si distaccano a seguito della quadrettatura sono inferiori al 20% della superficie sottoposta alla prova) si procede alla esecuzione di una raschiatura parziale, se non soddisfacente si valuta l’opportunità di eseguire una raschiatura totale. Tali valutazioni sono naturalmente subordinate agli obiettivi del progetto ad alle necessità di conservazione degli strati corticali. - Le conservazioni degli strati più antichi(ed eventualmente anche di quello più superficiale) “dipenderà dalle indicazioni di progetto e da valutare anche quello più superficiale) Raschiatura parziale - Secondo gli esiti della prova preliminare si procede all’esecuzione della raschiatura parziale o totale avendo cura di: eseguire l’operazione solamente sulle parti staccate o in fase di distacco o di quelle parti di nessuna valenza storica, avendo cura di non intaccare il sottofondo e i suoi strati più superficiali; nel caso di presenze di strati (come nel nostro caso) di strati e cromie sottostanti ben conservati e di notevole pregio, questi devono essere rigorosamente conservati ed eventualmente riportati in luce. La raschiatura viene eseguita utilizzando sempre attrezzature adeguate e controllabili in relazione alla dimensione delle aree da raschiare ed alla consistenza degli strati da eliminare. Si dovranno utilizzare, se le condizioni di lavoro lo richiedono, anche raschietti molto piccoli o bisturi. Modalità di esecuzione - Si verifica l’adesione dello strato di tinta/pittura da eliminare attraverso il sistema della quadrettatura di cm1 di lato su una superficie significativa di almeno 10 cm 2 , distribuita sui diversi punti della superficie oggetto d’intervento. L’operazione viene eseguita utilizzando lame da taglio e righe metalliche per l’orientamento di linee rette. Si esegue la valutazione visiva degli esiti della prova in relazione alla maggiore o minore integrità dello strato sottoposto a quadrettatura. Se le parti che si distaccano a seguito della quadrettatura sono inferiori al 20% della superficie sottoposta alla prova si procede alla esecuzione di una raschiatura parziale; se superiore al 20% si valuta la opportunità di eseguire una raschiatura totale. - Si verifica visivamente la condizione e lo stato di conservazione degli strati sottostanti a quello da asportare, in particolare se vi sono diversi strati intermedi (per indagine stratigrafica). Sugli strati sottostanti al primo si può eseguire lo stesso tipo di verifica sopra descritto al fine di determinare quanto estendere la raschiatura (che dovrà limitarsi alle sole parti non più recuperabili o di superfetazione e dovrà invece conservare integre quelle realisticamente recuperabili). - Si verifica visivamente che non siano presenti sulla superficie parti distaccate o in fase di distacco sia dello strato più esterno che di quelli intermedi. La verifica visiva può essere integrata passando sulla superficie una spatola metallica utilizzata con lama parallela alla superficie stessa, esercitando una blanda azione meccanica, e si verifica che questa non lasci incisioni e non produca ulteriori asportazioni di materiale. Decorazioni interventi di conservazione. Gli interventi di conservazione sugli intonaci e sulle decorazioni saranno sempre finalizzati alla massima tutela della loro integrità fisico-materica;si dovranno pertanto evitare demolizioni,rimozioni e dismissioni tranne quando espressamente ordinato dalla D.L. e solo ed esclusivamente gli intonaci risultino irreversibilmente alterati e degradati,evidenziando eccessiva perdita di legante,inconsistenza,evidenti fenomeni di sfarinamento e distacco.Le operazioni di intervento andranno pertanto effettuate salvaguardando il manufatto e distinguendo in modo chiaro le parti eventualmente ricostruite. I materiali da utilizzarsi per l’intervento di conservazione dovranno essere accettate dalla D.L.,possedere accertate caratteristiche di compatibilità fisica,chimica e meccanica con l’intonaco esistente ed il suo supporto. Conservazione di intonaci distaccati mediante iniezioni a base di miscele idrauliche Questi interventi consentono di ripristinare la condizione di adesività fra intonaco e supporto,sia esso la muratura o un altro strato di rivestimento,mediante l’applicazione o l’iniezione di una miscela adesiva che presenti le stesse caratteristiche dell’intonaco esistente e cioè: - forza meccanica superiore,ma in modo non eccessivo,a quella della malta esistente; - porosità simile; - ottima presa idraulica; - minimo contenuto possibile di sali solubili potenzialmente dannosi per i materiali circostanti; - buona plasticità e lavorabilità; - basso ritiro per permettere il riempimento anche di fessure di diversi millimetri di larghezza. Il distacco può presentare buone condizioni di accessibilità (parti esfoliate, zone marginali di una lacuna), oppure può manifestarsi senza soluzioni di continuità sulla superficie dell’intonaco,con rigonfiamenti percettibili al tocco o strumentalmente. Nel primo caso la soluzione adesiva può essere applicata a pennello direttamente sulle parti staccate,riavvicinandole al supporto.Nel caso in cui la zona non sia direttamente accessibile,dopo aver ispezionato le superfici ed individuate le zone interessate da distacchi,si dovranno eseguire delle perforazioni con attrezzi ad esclusiva rotazione limitando l’intervento alle parti distaccate. Altresì ,iniziando la lavorazione a partire dalla quota più elevata,si dovrà: - aspirare mediante una pipetta in gomma i detriti della perforazione e le polveri depositatesi all’interno dell’intonaco; - iniettare con adatta siringa una miscela acqua/alcool all’interno dell’intonaco al fine di pulire la zona distaccata ed umidificare la muratura; - applicare all’interno del foro un batuffolo di cotone; - iniettare attraverso il batuffolo di cotone,una soluzione a basi di adesivo acrilico in emulsione(primer)avendo cura di evitare il reflusso verso l’esterno; - attendere che l’emulsione acrilica abbia fatto presa; - iniettare,dopo aver asportato il batuffolo di cotone,la malta idraulica prescritta operando una leggera,ma prolungata pressione sulle parti distaccate ed evitando il percolamento della miscela all’esterno. Qualora la presenza di alcuni detriti dovesse ostacolare la ricollocazione nella sua posizione originaria del vecchio intonaco,oppure impedire l’ingresso della miscela,si dovrà rimuovere l’ ostruzione con iniezioni di acqua a leggera pressione oppure attraverso gli attrezzi meccanici consigliati dalla D.L. Per distacchi di lieve entità,fra strato e strato,con soluzioni di continuità dell’ordine di 0,5 mm,non è possibile iniettare miscele idrauliche,per cui si può ricorrere a microiniezioni a base di sola resina,per esempio un’emulsione acrilica,una resina epossidica o dei silani. Per distacchi estesi si potrà utilizzare una miscela composta da una calce idraulica,un aggregato idraulico,un adesivofluido,ed eventualmente un fluidificante.L’idraulicità della calce permette al preparato di far presa anche in ambiente umido;l’idraulicità dell’aggregato conferma le proprietà e conferisce maggiore resistenza alla malta ;l’adesivo impedisce in parte la perdita di acqua appena la miscela viene a contatto con muratura e intonaco esistente;il fluidificante eleva la lavorabilità dell’impasto. Come leganti si usano calci idrauliche naturali bianche,con additivo collante tipo resina acrilica;gli aggregati consigliati sono la pozzolana superventilata e lavata(per eliminare eventuali sali)e il cocciopesto,con gluconato di sodio come fluidificante. Conservazione di intonaci e decorazioni distaccati mediante microbarre di armatura. Previa accurata ispezione di intonaci e decorazioni in modo da individuare con precisione tutte le parti in fase di distacco,si avrà l’obbligo di mettere in sicurezza tramite puntellature e/o altri accorgimenti le zone che potrebbero accusare notevoli danni a causa delle sollecitazioni prodotte dai lavori di conservazione. Quindi si dovrà: -praticare delle perforazioni aventi il diametro e la profondità prescritti dagli elaborati di progetto o ordinati dalla D.L.; -aspirare mediante una pipetta in gomma i detriti della perforazione e le polveri depositatesi; -iniettare con adatta siringa una miscela acqua/alcool all’interno dell’intonaco al fine di pulire la zona distaccata ed umidificare la muratura; -applicare all’interno del foro un batuffolo di cotone; -provvedere alla sigillatura delle zone in cui si siano manifestate,durante la precedente iniezione,perdite di liquido; -iniettare,se richiesto,attraverso il batuffolo di cotone,una soluzione a basi di adesivo acrilico in emulsione(primer); -iniettare,dopo aver asportato il batuffolo di cotone,una parte della miscela idraulica in modo da riempire circa il 50% del volume del foro; -collocare la barra di armatura precedentemente tagliata a misura; -iniettare la rimanente parte di miscela idraulica evitando il percolamento della miscela all’esterno. Consolidamento e riadesione dello strato pittorico Quando lo strato pittorico spolvera o si distacca dall’intonachino, oppure quando è ricoperto da aloni biancastri o più semplicemente quando sulla superficie appaiono delle gore di umido, è il segnale che nella muratura c’è una zona umida, di infiltrazione o di risalita capillare, oppure di condensa. Questi fenomeni possono essere tra loro collegati perché con l’insorgere di una forma di umidità vi è un apporto d’acqua nell’ambiente che modifica le condizioni termoigrometriche tanto da produrre progressivamente altre forme di degrado: sulle superfici umide si sviluppano colonie di microrganismi contribuiscono a trattenere l’umidità. D’altra parte, quando è molto alto il grado di umidità per risalita capillare o una muratura è bagnata per un’infiltrazione, è possibile che le superfici interessate siano anche le più fredde e ciò che non sempre fanno individuare la sorgente del fenomeno; viceversa, l’infiltrazione e la capillarità quando sono manifestazioni autonome danno segni precisi e localizzati. La superficie deve essere indagata per ricercare l’entrata dell’acqua e il suo percorso osservando gli effetti; forma e distribuzione delle efflorescenze e degli aloni, temperatura della superficie e dell’interno delle murature. Una volta eliminata la fonte di umidità, la muratura entra nella fase più delicata per la statica dei materiali della superficie e dunque della pittura, poiché la progressiva evaporazione dell’acqua continua a trasferire i sali dall’interno verso la superficie producendo un indebolimento dei materiali interni che si sbriciolano e si lesionano, inoltre lo spostamento dei sali verso la superficie dipinta sollecita lo strato di colore che viene distaccato o polverizzato. Nel periodo di evaporazione dell’acqua si provvederà di giorno in giorno a fissare le zone pericolanti e solo successivamente si potrà consolidare il materiale di profondità impoverito dalla migrazione dei sali. Il fissativo deve essere applicato con molta precauzione: l’azione meccanica del mezzo di diffusione può trasferire il colore o asportarlo del tutto. Si può irrorare la zona con una siringa direzionale gradatamente il getto delle gocce oppure distribuendo il prodotto a pennello, cercando di non appoggiarlo sulla superficie polverulenta; se la situazione non è molto grave la nebulizzazione del fissativo, effettuata con una pressione molto bassa, può essere un altro sistema opportuno. Il fissaggio della superficie si esegue con un prodotto collante, solubilizzato in un solvente a rapida evaporazione con l’acetone, se la tecnica di esecuzione lo consente, oppure con etanoltricloro; nei casi molto gravi si eviteranno i collanti sciolti in acqua, perché la lenta evaporazione dell’acqua non fa aderire subito la pellicola pittorica che può rigonfiare e polverizzarsi. Il silicato di etile è adatto, soprattutto se la superficie è molto sporca e deve essere poi sottoposta a una complessa opera di pulitura; può essere applicato a spruzzo, a pennello o iniettarlo a siringa; il prodotto non ha bisogno di essere diluito. Il silicato di etile penetra con grande velocità ed ha potere solvente molto alto: è pertanto consigliabile effettuare delle prove sul colore polverizzato per verificare che non venga portato in soluzione e assorbito irrimediabilmente dall’intonaco. Anche il Polaroid B72 è un buon fissativo, sciolto in diluente nitro, oppure in etanotricloro se l’ambiente è umido o all’aperto; la concentrazione deve oscillare tra il 3 e il 5%, perché una maggiore concentrazione non migliora l’adesione ma provoca solo un film superficiale dunque un consolidamento incompleto. Quando la superficie pittorica sarà stata ben consolidata, la si ricopre con compresse di polpa di carta impregnante di acqua distillata: i sali che sono ancora in evaporazione cristallizzeranno sulla superficie della compressa senza sollecitare lo strato pittorico. La composizione chimica del silicato di etile così come quella del Paraloid, anche se in maniera più ridotta, consente il transito dei sali. Nel caso degli interventi sulla superficie non si deve esercitare alcuna pressione sugli intonaci quando questi sono pericolanti per evitare la caduta. Il consolidamento potrà essere completato solo se la muratura e il suo ambiente avranno recuperato un equilibrio termoigrometrico; si provvederà allora a far penetrare all’interno le sostanze colanti. Quando lo strato di colore si distacca in scaglie, è necessario farlo riaderire con collanti incolori e piuttosto liquidi, tanto da poter essere applicati sulla superficie o iniettati al di sotto delle piccole scaglie sollevate; il collante deve migliorare l’aderenza del colore al supporto ma non deve alterare cromaticamente il dipinto, deve inoltre essere flessibile e non rigido per aderire con docilità alle scaglie di colore spesso friabili; non deve essere alimento per lo sviluppo di crescite biologiche. L’adesivo deve essere solubile o facilmente asportabile anche dopo l’invecchiamento; sono da scartare gli adesivi che possono essere rigonfiati o asportati con acidi forti o basi. La riadesione dello strato pittorico deve essere programmata in base al peso delle particole di colore da fissare ed al loro spessore: ogni caso dovrà essere risolto calibrando la quantità del collante e quella del suo solvente e la diluizione del composto. Individuato il prodotto colante in base alle sue caratteristiche e in concomitanza con i problemi del dipinto murale, la sua efficacia dovrà essere verificata applicando prima su limitate aree di intonaco senza colore e poi su piccole zone dipinte: il test deve essere fatto per verificare la reazione del pigmento al collante e al suo sovente; i pigmenti a base di rame sono sempre i più sensibili. Possono verificarsi alterazioni cromatiche con scurimento del tono originale, veli biancastri, effetto bagnato, oppure il solvente potrebbe portare in soluzione il colore già degradato e trasferito irremidiabilmente all’interno dell’intonaco Molto appropriato è l’uso della resina acrilica Paraloid B72 da solubilizzare con l’atanotricloro o con l’acetone o ancora con il diluente nitro nella proporzione variabile del 2-6% al 10-15%. Puo essere opportuno anche l’uso di resina acrilica in emulsione come il Primal AC 33 diluito in acqua al 10 o 15%. Un ottimo consolidante si ottiene con un estere di silice, il silicato di etile; provoca degli aloni biancastri che si possono rimuovere solo al loro apparire con white spirit o diluente nitro; si utilizza solo su intonaci asciutti. Il collante può essere spruzzato con un nebulizzatore. Il colore trattato deve essere immediatamente fatto riaderire con la compressione di una spatola a foglia di olivo. Nell’azione di schiacciamento la spatola deve essere sempre tenuta netta e umida mediante una spugna ben pulita pena l’adesione delle particole di colre alla spatola di metallo; l’operazione è di estrema delicatezza e deve essere eseguita solo da un restauratore specializzato di grande esperienza. Qundo il colore si solleva in scaglie grandi fino a 1-2 cm, può essere utile distribuire il collante a pennello attraverso un foglio di carta giapponese applicato sulla superficie da fissare; in questo caso sono adatti i collanti acrilici in soluzione (Paraloid B72 in clorotene al 10-15%) e l’alcool polivinilico Gelvatol 40-20 soluzioni in acqua e poi diluito in alcol etilico in soluzione dal 5al 10%. Alcuni prodotti utilizzati per far riaderire il colore possono risultare inadeguati perché provocano alterazioni cromatiche al momento dell’applicazione o nel corso dell’invecchiamento, altri se sottoposti agli sbalzi termoigrometrici reagiscono in modo diverso rispetto allo strato pittorico danneggiandone la statica: è necessaroi conoscere le proprietà collanti di un adesivo e le sue caratteristiche d’invecchiamento. Alcuni prodotti sono stati largamente usati in passato: la gommalacca bianca in soluzione dell’1 al 10% in alcool etilico è ancora utilizzabile; le ottime proprietà adesive trovano un ostacolo nella totale irreversibilità, inoltre essa ingiallisce fortemente. I silicati alcalini provocano dei veli biancastri difficilmente asportabili. Il bianco d’uovo pur non alterando il tono dei dipinti è sconsigliabile perché invecchiando è di difficile rimozione e può essere attaccato dai microrganismi. La gomma arabica sciolta in acqua e alcool etilico è un prodotto lungamente utilizzato in antico come fissativo, soprattutto gradito per la sua qualità di ravvivare il colore ; si altera fortemente patinando il dipinto con un tono giallo-bruno, facilmente attaccabile dai microrganismi; si asporta con imbibizione di acqua tiepida .La cera penetra all’interno dell’intonaco inglobandolo, è di difficile asportazione; pertanto inibisce trattamenti successivi con consolidanti di altra natura: per tale ragione molti dipinti che furono consolidati e protetti con la cera in occasione di nuovi interventi di restauro rifiutano collanti e protettivi acquosi; sono più adatti i protettivi non acquosi che devono essere solubilizzati con solventi clorurati (etanotricloro, trielina, acetone); l’azione pulente può essere accelerata riscaldando la parete con una lampada ad IR, la cera deve essere asportata velocemente prima che si raffreddi ridepositandosi all’interno dell’intonaco tecnicamente il consolidante più efficace potrà essere solo la riproposizione di un altro trattamento a cera. Il trattamento a cera presenta altri inconvenienti. La superficie di un dipinto murale trattata a cera si altera con l’umidità ricoprendosi di depositi biancastri; inoltre, al momento dell’applicazione la cera altera la resa dei colori perché rende la superficie semilucida e grassa, successivamente ingrigisce con rapidità per la capacità elettrostatica di attirare la polvere. Per il suo basso punto di diffusione (Fonde a 63% C.) la cera è efficace per quei dipinti che sono in ambienti freddi. Lo stato polverulento della pittura, localizzato in piccole aree o diffuso su tutta la superficie dipinta quando non è causato dall’umidità può essere provocato da un trattamento eseguito con prodotti inopportuni per il fissaggio del colore o per la protezione di una vasta superficie: il prodotto in opera utilizzato per la riadesione o per la protezione di una vasta superficie: il prodotto in opera utilizzato per la riadesione o per la protezione della pellicola pittorica può essere stato applicato ad una concentrazione troppo elevata, tanto da aggrapparsi con forza allo strato pittorico strappandolo lentamente. Conviene in questo caso eliminare con malta rapidità il collante provvedendo a soluzioni con un solvente opportuno che si cercherà mediante dei tes di pulitura; contemporaneamente si controllerà che la statica del colore non venga minacciata dall’operazione in corso. Può essere pratico in questo caso estrarre il colante in eccesso applicando il solvente a pennello su dei fogli di carta giapponese appoggiati sulla superficie dipinta; il sistema consente di controllare l’estrazione ripetendo l’imbibizione man mano che il solvente evapora Trattamento lacune di intonaco. Integrazione delle parti di intonaco mancanti e/o degli eventuali strati corticali su intonaco esistente già preparato e consolidato. La malta da utilizzare per ogni singola lacuna, o per lacune di aree omogenee, dovrà avere caratteristiche tecniche simili a quelle degli intonaci esistenti. Particolare cura dovrà essere posta nella individuazione della composizione e colorazione specifica della malta la cui cromia e granulometria dovrà uniformarsi, una volta applicata ed essiccata, alle diverse sfumature cromatiche e caratteristiche tessiturali degli intonaci circostanti. Le parti integrate, se non diversamente specificato, verranno tenute su un piano differente (in genere sottolivello) rispetto alle superfici degli intonaci adiacenti per consentire la distinguibilità. La applicazione della malta verrà eseguita per stratificazioni successive e con aggregati a granulometria decrescente dagli strati più profondi a quelli più superficiali, analogamente a quanto avviene per la realizzazione delle normali intonacature, con spatole metalliche di diversa dimensione e le rifiniture sui lembi, che dovranno essere particolarmente curate, verranno eseguite con spatolini da stuccare. Dopo un periodo sufficiente a consentire il primo indurimento della malta applicata, si provvederà alla lavatura o alla tamponatura della superficie con spugne e acqua deinonizzata il tutto secondo codice di pratica UNI prEDL297. Preparazione del supporto - controllo della presenza di anomalie o difetti che potrebbero provocare inattesi degradi dell’intonaco di completamento della lacuna in esecuzione; - controllo della presenza di elementi strutturali, aggetti o componenti che per forma o posizione potrebbero provocare rapido degrado dell’intonaco; - controllo della carenza o mancanza di elementi e componenti di potrezione la cui assenza potrebbe essere causa di rapido degrado dell’intonaco; - la presenza di fessurazioni, giunti strutturali e sollecitazioni indotte nel supporto dal sistema strutturale; - la stabilità dimensionale del supporto in relazione alle azioni termiche e idrometriche; preparazione del supporto - se il supporto presentasse residui di ppolveri dovrà essere lavato o comunque adeguatamente pulito; - se il supporto fosse poco poroso si provvederà alla aggiunta nella malta di addittivi polimerico AC33; - se la muratura fosse affetta da umidità di risalita per capillarità o da infiltrazioni da terreno addossato si dovrà provvedere con adeguati interventi di risanamento; - se la muratura presentasse macchie di umidità dovute ad infiltrazioni dalle coperture o da fenomeni umidi provocati da guasti agli impianti di adduzione o scarico acque si provvederà a riparare il guasto, si lasceranno asciugare convenientemente le murature e si valuterà l’opportunità di rimuovere l’intonaco nelle zone umide prima di procedere alla stesura dello strato finale. Arch. Domenico SCOPA
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    RELAZIONE TECNICO SCENTIFICA E METODOLOGIA DI RESTAURO Chiesa di San Filippo e Jacopo Storia e vicende di un edificio In Firenze, all’agosto tra via della Scala e via del Porcellana, inglobate nel 1910 nello stabile adiacente, si trovano le vestigia di edifici religiosi che, nella loro struttura attuale, testimoniano dei tanti mutamenti sopravvenuti e delle varie organizzazioni che vi hanno avuto sede. Nella prima metà del trecento fu qui fondato uno spedale dedicato ai Santi Filippo e Jacopo...

    Project details
    • Year 2011
    • Work started in 2010
    • Work finished in 2011
    • Main structure Masonry
    • Client Arcidiocesi di Firenze
    • Contractor I. R. E. S.
    • Cost 250.000,00
    • Status Completed works
    • Type Churches
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