Chiesa parrocchiale Della Santa Famiglia | DOMENICO SCOPA

Recupero corticale, isolamento termico Grosseto / Italy / 2010

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L’edificio oggetto del nostro intervento rappresenta una delle ultime costruzioni religiose della Diocesi di Grosseto, posto nella periferia nord della città prospiciente l’ospedale L’agglomerato urbano al cui centro si pone la Chiesa della Santa Famiglia è stato realizzato intorno agli anni settanta da li a qualche anno iniziavano i lavori per edificare la chiesa. Nel 1987 in concomitanza della visita di Giovanni Paolo II la chiesa veniva dedicata ed il Sommo Pontefice tenne una lezione educativa sulla famiglia L’intero complesso parrocchiale costituito dalla chiesa, locali di ministero pastorale, canonica e campanile è si presenta molto armonioso, certo con linee architettoniche non usuali. La figura geometrica scelta è molto tondeggiante tanto che l’aula celebrativa è una semisfera, costituito da tanti spicchi. L’intero complesso parrocchiale è stato realizzato totalmente in cemento armato, la sua scelta voluta dal progettista crea nel visitatore occasionale un forte impatto visivo, soprattutto con il suo campanile che per emergere dai fabbricati circostanti raggiunge i cinquanta metri. Lo stato di degrado in cui versa quasi l’intera struttura non rende ragione dell’audacia realizzativa, e la complessità dei volumi. Di tutto il complesso parrocchiale le aree più fortemente degradate sono l’aula celebrativa e l’ampio terrazzo posto in adiacenza. Come già detto l’intera struttura è stata realizzata in cemento armato il suo colore bianco è stato ottenuto utilizzando come additivo la sabbia di marmo di Carrara. L’edificio altro non è che un guscio composto da tanti spicchi, il suo spessore molto sottile appena 20 cm., se da una parte dona snellezza e slancio alle linee architettoniche, dall’altro i ferri d’armatura sono estremamente prossimi al bordo così che abbiamo un copripreffo estremamente sottile, come evidenziato dalle foto. Queste condizioni sono deleterie per il calcestruzzo perché le tensioni che si innescano, caldo-freddo, l’attacco degli inquinanti costituito dal traffico veicolare molto intenso nella zona, ed infine un consistente spessore costituito dal guano dei volatili ha innestato una molteplicità di micro fessure. Conseguenza di ciò abbiamo: una espulsione diffusa della corteccia esterna del calcestruzzo ed in più punti le fessure sono tanto ampie che permettono l’infiltrazione dell’acqua meteorica all’interno dell’aula celebrativa. Il disagio strutturale si è innescato anche perché è venuto a mancare la protezione della pellicola protettiva superficiale a questo va aggiunto anche la diversa porosità del calcestruzzo e dal ultimo l’azione meccanica dell’acqua piovana è smorzata da una superficie esterna non perfettamente liscia. Da ultimo è da notare che i mastici siliconici degli infissi in molti punti sono saltati permettendo l’infiltrazione di acqua meteorica. Conseguenza di ciò, si ha dilavamento delle superfici sottostanti ammaloramento degli infissi che essendo in metallo e non in alluminio rilasciano una patina di ossido che attacca il calcestruzzo. Fin qui le problematiche connesse al calcestruzzo a carattere materico. Lo spessore molto ridotto del calcestruzzo fa si che l’escursione termica all’interno dell’aula celebrativa è notevole, tanto da avere picchi di caldo e freddo notevoli. L’intervento che si intende proporre va in più direzioni:  - Risanamento corticale dell’intera superficie  - Rimozione di tutte le parti decoese, risanamento delle armature sottostanti  - Realizzazione di un isolamento elastomerico a base cementizia che consente una adeguato isolamento idrorepellente  - Realizzazione di un sistema a “cappotto” onde raggiungere un adeguato isolamento termico  - Risiggillatura di tutti gli infissi  - Realizzazione di un adeguato allontanamento volatili  - Realizzazione della linea vita oggi assente Per completezza della campagna diagnostica, il primo atto è stato nel aver eseguito attraverso una indagine conoscitiva a campione lo stato di consistenza della corteccia cementizia e dello stato conservativo delle armature disposte sulla calotta, a tutt’oggi per avere una analisi più dettagliata e puntuale del degrado in atto, parti della corteccia cementizia sono stati inviati a laboratori specializzati ed in seguito si realizzerà una indagine ad ultrasuoni. Allo stato attuale, essendo ancora nella fase preliminare, (pur avendo già individuato ipotesi d’intervento), la parte che seguirà diagnosi-intervento avrà ancora un aspetto generale contemplando le molteplici possibilità che l’industria chimica da una parte ed edile dall’altra ci mettono a disposizione. 1__DIAGNOSI DELLE STRUTTURE IN CALCESTRUZZO Diagnosi delle strutture in calcestruzzo Le cause di degrado delle opere in calcestruzzo, ancorché non numerose e relativamente ben definite, non sempre sono evidenziabili attraverso prove di laboratorio più o meno sofisticate. Talvolta la diagnosi del degrado si presenta molto complessa per il concorso di più cause, alcune delle cause delle quali hanno contributo solo a promuovere il fenomeno (per esempio un processo fessurativo di origine termica o igrometrica)ed altre hanno concorso all’aggravamento del degrado in una fase successiva (per esempio penetrazioni di Sali aggressivi attraverso le fessure). In linea di massima si può prevedere che almeno quattro sono le operazioni – non necessariamente tutte sempre richieste – attraverso le quali occorre precedere per arrivare all’emissione di una diagnosi del degrado che ha coinvolto un’opera in calcestruzzo. Schematicamente possiamo indicare quattro operazioni (esame visivo, raccolta dei dati “storici”, prove in situ e prove di laboratorio) e le loro relative connessioni. Esame visivo Innanzitutto, l’esame visivo può fornire utili indicazioni circa la raccolta di alcuni elementi indispensabili alla preliminare individuazione del fenomeno almeno per come esso si manifesta apparentemente. Un’accurata documentazione fotografica dei difetti, localizzati in relazione ad un disegno dell’opera coinvolta dal degrado, può essere molto utile per la preparazione di un dossier finalizzato all’emissione della diagnosi. Attraverso il sopralluogo, è opportuno raccogliere e documentare sistematicamente per inquadrare la tipologia del degrado così come esso si manifesta: fessurazioni, ferri scoperti, delaminazioni superficiali o distacchi profondi di calcestruzzi. L’apparizione di fessure, per esempio, di forma irregolare e magari localizzate sulle pavimentazioni, ma non sulle strutture casserate (travi, pilastri, ecc.), può essere il fenomeno di una fessurazione indotta dal ritiro plastico per essenza stagionatura umida subito dopo la finitura del pavimento o altre parti della struttura edile. D’altra parte, la presenza di fessure dislocate quasi regolarmente – per esempio in corrispondenza di determinati ferri di armatura – lungo strutture casserate può segnalare indicativamente l’apparizione di fessure indotte successivamente per effetto del ritiro igrometrico a causa di un’eccessiva quantità di acqua ne’’impasto del calcestruzzo. Così, pure, le fessure su una pavimentazione dislocate quasi sistematicamente tra due giunti di controllo potrebbero far pensare più che al ritiro plastico ad un eccessivo ritiro igrometrico manifestatosi prima del taglio dei giunti di contrazione eseguito tardivamente. Analoghe considerazioni possono essere estese alla registrazione della situazione sullo stato dei ferri scoperti oppure al di sotto delle tipiche macchie di ruggine sulla superficie della struttura. Il numero, estensione e la dislocazione dei difetti in relazione alle condizioni geografiche e micro-climatiche, come anche la distribuzione dello spessore dei copri ferri eventualmente divelti, sono tutti elementi utili per la sintomatologia del degrado. Infine, i difetti del calcestruzzo in forma di de laminazioni estese e sottili o di danneggiamenti più profondi in corrispondenza di determinate aree (spigoli, pareti, zone di bagnasciuga, scarichi pluviali, ecc.) sono tutti elementi molto importanti da registrare unitamente allo stato di coesione del materiale danneggiato (duro, fragile, polverulento, molle, ecc.) e di eventuali depositi superficiali (efflorescenze, incrostazioni, ecc.). FESSURAZIONI  - Irregolari/regolari  - Frequenza (lunghezza cumulativa in mm/m2 )  - Geometria (spessore e lunghezza)  - Estensione delle aree coinvolte - Posizione delle aree coinvolte in relazione all’ambiente (interno/esterno), ed alle condizioni micro-climatiche, geografiche e strutturali (intradosso, estradosso, ecc.) FERRI DI ARMATURA FERRI SCOPERTI MACCHIE DI RUGGINE  - Estensione delle aree coinvolte  - Estensione delle aree coinvolte  - Frequenza  - Frequenza  - Aspetto della corrosione (generalizzata/localizzata)  - Forma delle macchie (circolari, oblique, irregolari)  - Riduzione del diametro dei ferri  - Posizione delle arre coinvolte  - Tipo di ruggine (compatta porosa)  - Spessore del copri ferro  - Posizione delle arre coinvolte RACCOLTA DEI DATI STORICI La raccolta di tutti i dati sulla “storia” della costruzione – dal periodo della costruzione fino alla manifestazione dei segni di degrado – unitamente agli elementi raccolti attraverso il sopralluogo dall’esame visivo, può essere molto utile alla individuazione delle possibili cause di degrado, i cui riscontri potranno essere trovati attraverso poche – ma ben mirate prove in situ o di laboratorio. I dati “storici”, come si può vedere includono quelli relativi al periodo della costruzione, ai materiali impiegati, all’apparizione dei primi segni di degrado, alle condizioni climatiche e di esercizio, ecc. È molto importante che i dati “storici” raccolti siano confermati da riscontri oggettivi attraverso le prove, perché molto spesso i dati raccolti a distanza di tempo sono inaffidabili, poco attendibili e quindi talvolta fuorvianti. Per esempio, il fatto che alcune fessure si siano manifestate dopo alcuni mesi dal getto di una pavimentazione, indica solo che le fessure sono state notate dopo alcuni mesi, ma non esclude che si siano innescate, in forma di cavillature poco visibili inizialmente, già dopo poche ore dal getto, come spesso si verifica quando si lavora in climi asciutti e ventilati senza alcuna protezione dall’evaporazione dell’acqua dalle superfici delle pavimentazioni. PERIODO DI COSTRUZIONE Precisare le date di inizio e fine della costruzione segnalando le particolari condizioni climatiche in corso d’oopera CARATTERISTICHE DEI MATERIALI IMPIEGATI CALCESTRUZZO FERRI D’ARMATURA Lavorabilità Tipo Composizione (dosaggio di cemento, ecc.) Dimensioni Tipo di cemento Altre caratteristiche Tipo di aggregato Tipo di additivo Altre eventuali caratteristiche Trattamenti superficiali LUOGO Posizione geografica Condizione climatiche DATA DEI PRIMI SEGNI DI DEGRADO Descrivere lo sviluppo temporale dei segni di degrado ALTRE INFORMAZIONI UTILI Condizioni climatiche e trattamenti (per esempio sali disgelativi) in esercizio Carichi statici e dinamici in esercizio Ambiente circostante: terreni, acqua, ecc. Eventuali contestazioni in corso d’opera per materiali e l’esecuzione Precedenti interventi di restauro Così, anche la manifestazione della corrosione dei ferri viene di solito registrato con l’apparizione delle macchie di ruggine che si formano in superficie dopo alcune piogge, e non già quando appaiono sul copri ferro le prime micro fessure difficilmente rilevabili a vista. D’altra parte, se le micro fessure del copri ferro appaiono, per esempio, sull’intradosso di una trave da ponte, parete, soletta ecc., dopo poco giorni o mesi di esercizio, è probabile che la micro fessurazioni abbia un’origine meccanica per effetto dei primi carichi dinamici e che essa sia rapidamente seguita da fenomeni di corrosione dei ferri per la facilitate penetrazioni degli agenti aggressivi (aria e umidità) attraverso il copri ferro già fessurato. Se invece, le fessure appaiono dopo qualche anno è più probabile che la fessurazione sia stata indotta da fenomeni di corrosione dei ferri (promossa dagli stessi agenti aggressivi attraverso un calcestruzzo poroso ma non fessurato). Nei due esempi ora menzionati, quindi, il tempo di apparizione delle fessure può in via ipotetica indicare se le fessure del copri ferro siano la causa o l’effetto della corrosione dei ferri. È evidente, in questo caso, come un esame dello stato di carbonatazione o di penetrazione dei cloruri all’interno del copri ferro (uniforme, oppure differenziato ed accentuato in corrispondenza delle fessure) potrà dare conferma differenziato ed accentuato in corrispondenza delle fessure) potrà dare conferma o meno alle ipotesi sopra avanzate. La raccolta dei dati “storici” e l’esame visivo del degrado, se non sono in grado da soli di portare ad una diagnosi ben definita ed attendibile, consentono tuttavia di limitare a pochi ma ben mirati prelievi da analizzare in laboratorio per le emissione di una diagnosi. PROVE IN SITU Le prove in situ sono quelle, a carattere non distruttivo, effettuate sulle strutture per una delle seguenti ragioni:  - Rilevare la presenza di difetti interni non visibili esternamente (fessure, fratture, ecc.) su una estensione considerevole delle strutture senza ricorrere, in alternativa, ad un numero considerevole delle strutture senza ricorrere, in alternativa, ad un numero considerevole di carotaggi: ciò può essere eseguito misurando la velocità delle onde soniche o ultrasoniche che, come è noto, dipende dalla continuità o meno del materiale attraversato dalle onde;  - raccogliere informazioni preliminare di carattere comparativo circa la omogeneità del materiale sulla superficie: per esempio le prove sclerometriche eseguite su una pavimentazione o luogo un pilastro possono evidenziare aree localizzate di minor durezza superficiale (e quindi di minor resistenza meccanica) rispetto ad altre, così da individuare in modo preciso le zone della struttura da sottoporre ad eventuali prelievi per le successive prove di laboratorio;  - verificare il posizionamento dei ferri di armatura ed il relativo spessore di copri ferro mediante misure magnotemetriche;  - stabilire l’andamento temporale delle eventuali fessure attraverso un monitoraggio continuo al fine di accertare se il processo fessurativo è stabilizzato o ancora in atto. VELOCITA’ DELLE ONDE SONICHE/ULTRASONICHE Per rilevare fessure, fratture, difetti ed eterogeneità interne non visibili SCLEROMETRIA Per rilevare la durezza superficiale del calcestruzzo MAGNETOMETRIA Per rilevare la presenza dei ferri e lo spessore del copri ferro MONITORAGGIO DELLE FESSURE Per registrare l’andamento nel tempo delle fessure PROVE DI LABORATORIO Prima di procedere al prelievo ed alle relative prove di laboratorio è opportuno valutare l’insieme dei dati emersi nelle fasi precedenti (esame visivo, raccolto dei dati “storici”, e prove in situ) al fine di interpretati tentativamente sulla base di tutte le possibili cause di degrado. In sostanza è consigliabile disporre di più ipotesi, in alternativa tra loro, che possono giustificare il degrado registrato. In queste condizioni i prelievi e le relative prove di laboratorio dovranno essere finalizzati a sciogliere gli eventuali dubbi circa le ipotesi tra loro alternative ed a consolidare il meccanismo di degrado soprattutto in relazione alla sequenza ed alla complementarietà delle varie cause. A solo titolo di esempio, si può prendere in considerazione il caso di una soletta da ponte che presenta all’esame visivo in corrispondenza dell’intradosso Macchie di ruggine in corrispondenza di fessure Fessure spaziate con regolarità DIAGNOSI DELL’ATTACCO SOLFATICO L’attacco dei solfati deve essere sospettato in presenza di acque e di terreni con tenore di solfato superiore rispettivamente a 500 e 3000 mg/Kg o in presenza di ambienti industriali che emettono nell’atmosfera vapori o gas ricchi di SO2 e SO3. La semplice analisi chimica quantitativa del contenuto di solfato in un calcestruzzo può confermare se il degrado è stato provocato da questo tipo di attacco. Normalmente in un calcestruzzo è presente una certa percentuale di solfato, in virtù del fatto che il cemento contiene del solfato di calcio come regolatore della presa. Normalmente in un 1 m3 di calcestruzzo mediamente “fisiologicamente” troviamo un valore che va dal 0.4% al 0.6% per valori superiori è sintomo che il degrado lamentato è da attribuirsi all’attacco solfatico. La semplice analisi chimica del solfato in un calcestruzzo può soltanto indicare se e quanto il suo contenuto attuale è superiore rispetto a quello “fisiologico”. Tuttavia, con la sola analisi chimica non si è in grado di stabilire a quale livello di degrado il calcestruzzo sia giunto per effetto della formazione dei prodotti di questo attacco. In sostanza, la penetrazione del solfato all’interno di un conglomerato si tramuta in un effettivo degrado allorquando si siano formati quei prodotti, gesso, ettringite, thaumasite, responsabili dei dirompenti e localizzati fenomeni espansivi. DIAGNOSI DELL’ATTACCO DEI CLORURI Anche il cloruro può essere evidenziato mediante una semplice analisi chiimica quantitativa effettuabile, come quella del solfato, in un comune laboratorio di chimica. Va tenuto presente che una certa quantità di cloruro può essere presente nel calcestruzzo in quanto introdotto attraverso le materie prime. In base alla normativa di riferimento la quantità di cloruri non deve superiore il 0.4%, sul peso del cemento per le opere in cemento armato e/o precompresso. Pertanto al fine di accertare se nello specifico calcestruzzo in esame il cloruro è penetrato o meno dall’ambiente, è consigliabile determinarne il contenuto in due porzioni di materiale prelevate in zone sicuramente penetrate e non penetrate dal cloruro ambientale. Accanto all’analisi chimica, che consente di determinare il contenuto di cloruro nel calcestruzzo, è necessario effettuare altre due prove di grande interesse Prova colorimetrica alla fluoresceina Anali per diffrazione dei raggi X. DIAGNOSI DELL’AGGRESSIONE DA ANIDRIDE CARBONICA L’anidride carbonica (CO2) può esercitare due tipi di attacchi: il primo rivolto verso il calcestruzzo, il secondo verso i ferri di armatura. Il primo tipo di attacco da anidrite carbonica si esplica attraverso una rimozione parziale della pasta cementizia da parte di acque correnti ricche di CO2 “aggressiva”. Il fenomeno prende il nome di dilavamento consiste nella trasformazione del Ca(OH)2 presente in tutti i normali cementi Portland, prima in CaCO3, relativamente poco solubile, e poi in bicarbonato di calcio, Ca(HCO3)2, sale molto più solubile e pertanto dilavabile dall’acqua corrente. Il fenomeno si esplica attraverso una rimozione preferenziale della pasta di cemento rispetto agli inerti aventi una microstruttura porosa. Il secondo tipo di attacco si esplica, invece, attraverso una penetrazione della CO2 presente nell’aria attraverso lo strato superficiale di calcestruzzo. Esso appare più evidente nelle aree dove maggiore è la concentrazione di CO2 proveniente dai gas di scarico delle autovetture e degli impianti di riscaldamento domestico. Il fenomeno che prende il nome di “carbonatazione “ consiste nella neutralizzazione del Ca(OH)2 e formazione di CaCO3 che rimane in situ. Questo processo rende i ferri di armatura più facilmente ossidabili per la mancata protezione da parte di n ambiente basico; di per sé esso non è a rigore un vero e proprio fenomeno di degrado del calcestruzzo, come è invece il dilavamento, ma crea le condizioni di una corrosione potenziale dei ferri con conseguente espulsione del conglomerato. DIAGNOSI DEL DEGRDO PROVOCATO DALLA REAZIONE ALCALI-AGGREGATO La reazione consiste in una combinazione deglli alcali presenti nel cemento con i cosiddetti aggregati reattivi (per lo più consistenti in silice amorfa o cripto cristallina) per formare dei prodotti (generalmente silicati di sodio) che in presenza di umidità tendono fortemente a rigonfiare provocando vistosi fenomeni fassurativi e di distacco del calcestruzzo. La soglia critica del contenuto di alcali (espressi come Na2O) nel cemento è generalmente fissata allo 0.6%. anche per questo tipo di aggregazione l’osservazione visiva della struttura degradata si rileva assolutamente essenziale ai fini della diagnosi. DIAGNOSI DEL DEGRADO PROVOCATO DA CICLI DI GELO-DISGELO L’alternativa della temperatura ambientale intorno allo 0°C, la presenza di umidità all’interno del calcestruzzo ed infine l’assenza di micro bolle di aria inglobata nella pasta di cemento del conglomerato, sono le tre condizioni necessarie e sufficienti per il manifestarsi del degrado provocato dalla formazione di ghiaccio. Il fenomeno si presenza sotto forma di de laminazione di calcestruzzo sulla superficie della struttura (“scaling”) per lo più appartenente a costruzioni idrauliche o consistente in pavimentazione esposte al ristagno di acqua piovana. Dopo aver accertato l’esistenza delle altre due condizioni (temperature ed umidità) nella raccolta dei dati “storici”, la diagnosi deve essere supportata da un’osservazione al microscopio ottico della matrice cementizia: l’assenza di micro bolle d’aria confermerà la diagnosi del degrado da gelo-disgelo. Tuttavia la sola presenza di micro bolle d’aria non può necessariamente escludere che il degrado sia stato provocato dai cicli di gelo-disgelo, in quanto occorre verificare anche la dimensione delle micro bolle e la loro reciproca distanza (spacing) siano entrambe al di sotto di una certa soglia (200μm). Infine, anche con una pasta di cemento adeguatamente areata, il calcestruzzo può presentare fenomeni di degrado legati aicicli di gelo-disgelo nel caso gli aggregati siano gelivi: in questo caso, un’indagine con il microscopio degli aggregati prelevati in prossimità delle zone fessurate o de laminate dovrà confermare la struttura porosa degli elementi lapidei responsabile dell’assorbimento di acqua e della conseguente formazione di ghiaccio. 2__MATERIALI E TECNOLOGIE PER IL RESTAURO DELLE OPERE IN CALCESTRUZZO La scelta dei materiali più idonei da impiegare per il restauro di opere in calcestruzzo degradate dipende fortemente dalle considerazioni emerse nella diagnosi del degrado di una determinata struttura e, quindi dalle cause che l’hanno provocato (attacco solfatici, gelo-disgelo, fessure di origine termica, ecc.). i materiali da impiegare, quindi debbono essere in grado di resistere a quelle sollecitazioni di carattere chimico, fisico o meccanico alle quali il calcestruzzo originalmente non è stato in grado di resistere. Una prima distinzione netta tra i materiali da impiegare nel restauro può essere fatta tra  - Materiali a base cementizia - Materiali a base polimerica (resine epossidiche, poliuretaniche, ecc.). La scelta dei materiali per il restauro, inoltre deve tener conto anche della tecnica esecutiva che si intende adottare per l’intervento di ripristino. PRODOTTI A BASE CEMENTIZIA Per quanto concerne i prodotti a base cementizia, un primo criterio da adottare per la scelta dei materiali da restauro va ricercata tra le raccomandazioni fornite dalle normative nazionali ed europee, sulla progettazione di un calcestruzzo durabile. Così, per esempio, se il degrado diagnostico si basa sull’attacco dei solfati è evidente che il materiale da impiegare nel restauro deve essere capace di resistere a questo specifico tipo di attacco. Accanto a questo criterio di carattere generale, il materiale impiegato nel restauro deve aggiuntivamente presentare un’ottima aderenza al calcestruzzo originale: i materiali per il restauro a base cementizia, infatti presentano l’inconveniente del ritiro igrometrico a causa del quale essi subiscono una contrazione differenziale rispetto al calcestruzzo originale, nel quale il ritiro si è ormai quasi completamente esplicato. Da ciò deriva l’esigenza, per i prodotti a base cementizia da impiegare nel restauro, di compensare il ritiro attraverso l’impiego di agenti espansivi. Sulla base di queste considerazioni le malte e i calcestruzzi da impiegare nel restauro sono caratterizzati in generale da seguenti parametri composizionali:  - Impiego di superfluidificanti per abbassare il rapporto a/c ed ottenere quindi un calcestruzzo impermeabile  - Impiego di fumo di silice per migliorare ulteriormente la resistenza agli attacchi chimici (cloruri, solfati, alcali)  - Impiego di agenti espansivi per compensare il ritiro ed evitare il distacco In aggiunta a queste materie prime, quasi sempre prsenti in tutti i prodotti cementizi per il restauro, possono essere adottati altri particolari accorgimenti composizionali per soddisfare le specifiche esigenze prestazionali:  - Impiego di cementi Portland a basso tenore di C3A per resistenze ai solfati  - Impiego cementi d’altoforno per resistenze all’attacco dei cloruri  - Impiego di fibre polimetriche per contrastare gli effetti fessurativi del ritiro plastico  - Impiego di fibre metalliche per migliorare la duttilità e la resistenza agli urti  - Impiego di agenti aerati per contrastare gli effetti dei cicli di gelo-disgelo In genere i materiali da restauro a base cementizia sono prodotti industrialmente sulla base di controlli composizionali e prestazionali. Esiste una vasta gamma di questi prodotti in funzione anche delle particolari tecniche applicative:  - Per collaggio di betoncino entro casseri se si tratta di riparare spessori relativamente elevati > di5 cm.  - A spruzzo (o a cazzuola) se si tratta di riparare, con malte superfici di grande estensione e di piccolo spessore < di 5 cm. - Per iniezione di boiacche cementizie se si tratta di consolidare strutture in calcestruzzo difettose per vespai interni o macrofessure > 1 mm. Le principali caratteristiche (non necessariamente tutte) da valutare nella scelta delle malte e dei calcestruzzi impiegati nel restauro sono:  - La consistenza delle malte o calcestruzzi freschi variabile entro valori che dipendono dall’applicazione: da uno spandimento alla tavola a scosse (secondo UNI 7044) di 80-90% per la malta da applicare a spruzzo fino ad uno spandimento di 150-200% per malte autolivellanti, per calcestruzzi, generalmente impiegati per collaggio entro casseri, si richiede un slump di 22-26 cm.;  - L’assenza bleeding (da valutare secondo UNI8998) indipendente dalla consistenza;  - La resistenza meccanica a comprensione generalmente compresa tra 60 e 100 MPa;  - La resistenza meccanica a flessione generalmente compresa tra 8 e 10 MPa;  - Il modulo elastico variabile da 25000-30000 MPa per le malte e 35000 e 40000 MPa per i calcestruzzi;  - Impermeabilità valutata attraverso la penetrazione dell’acqua sotto pressione (da 1 a 7 bar) (secondo le norme DIN 1048 o ISO 7031) che deve essere minore di 20 mm. Resistenza agli attacchi chimici provocati dal solfato, dal cloruro, dagli alcali e dall’anidride carbonica aggressiva;  - La compensazione del ritiro attraverso un’espansione contrasta (cesondo le norme UNI 8147 e 8147) superiore a 300 μm/m per i calcestruzzi;  - L’assenza di fessure da ritiro plastico (grazie alla presenza di fibre polimeriche) per la malta da applicare a spruzzo;  - La duttilità da valutare attraverso la curva carico-deflessione (secondo ASTM C-1018), su provini di malta o calcestruzzo rinforzati con fibre metalliche;  - La resistenza agli urti da valutare con la prova di caduta da 460 mm di una sfera di acciaio (massa di 4,5 Kg) secondo ACI Committee 544;  - La resistenza all’abrasione da valutare mediante riduzione dello spessore di na lastra sottoposta ad usura standardizzata (abrasi metro di Amsler o di Taber);  - La resistenza alla formazione di ghiaccio (grazie alla presenza di agenti areati) nei materiali destinati al restauro di opere esposte ai cicli di gelo-disgelo (UNI 7087). Nel caso di boiacche cementizie, da impiegare per l’iniezione ed il consolidamento di strutture macroporose o fessurale, le principali caratteristiche prestazionali, in alternativa alle prime due sopra riportate ed in aggiunta a tutte le altre, sono:  - La fluidità da valutare mediante lo svuotamento del cono di Marsh (meno di 20-30 s), per favorire l’impregnazione consolidante;  - L’assenza di bleeding per evitare vuoti interni laddove si raccogli l’acqua essudata. Val la pena di precisare che, allo stato attuale, non esistono normative per tutti i requisiti composizionali e prestazionali dei prodotti cementizi da impiegare nel restauro. Esistono, però molte norme nazionali (UNI) ed estere (ASTM) sui metodi di prova delle varie caratteristiche (impermeabilità, compensazione del ritiro, resistenza ai cicli di gelo e disgelo, resistenza meccanica, ecc.) che un prodotto cementizio destinato al restauro dovrebbe possedere. In sostanza, stabilito attraverso la diagnosi il tipo di degrado delle strutture in calcestruzzo danneggiate, l’utente dovrebbe orientarsi, nella scelta del materiale più idoneo, verso quei prodotti per i quali esiste una consolidata documentazione di prove sperimentali eseguite secondo metodi “normali” oppure, ancorché non normati, descritti in dettaglio. Se, per esempio, in un pavimento industriale la diagnosi ha evidenziato che il degrado è dovuto a cause meccaniche ed in particolare a carichi dinamici ed urti,la scelta del materiale per il restauro dovrà essere orientata ovviamente verso qui prodotti capaci di resistere a questo tipo di sollecitazione: tra i vari materiali canditati all’impiego dovranno essere scartati non solo i prodotti manifestamente inidonei, ma anche quei prodotti che – pur presentati nella loro letteratura tecnica come adatti allo scopo specifico – non presentino una quantificazione delle prestazioni richiesta (per esempio resistenza agli urti e duttibilità nella prova di sforzo-deformazione). Dopo questo screening iniziale, per eliminare i prodotti inidonei o non accompagnati da documentazione di dati, i rimante prodotti candidati all’impiego verranno esaminati per valutare sperimentalmente sia le caratteristiche di carattere generale (lavorabilità, resistenza meccanica, compensazione del ritiro, impermeabilità), sia quella in relazione all’impiego specifico (resistenza agli urti e curve di carico-deflessione). APPLICAZIONE DEI PRODOTTI A BASE CEMENTIZIA Tre sono le possibili tecniche applicative: a spruzzo o cazzuola, per colaggio e per iniezione. In ogni caso prima dell’applicazione è necessario preparare la struttura da consolidare (saturare il sottofondo, pulire i ferri ecc.). Descriviamo brevemente le modalità operative per i tre specifici interventi. Intervento a spruzzo o a cazzuola L’intervento è detinato all’applicazione di malta espansiva a consistenza plastica per riparare grandi estensioni superficiali(pareti, volte, soffitti) mediante l’applicazioni di una malta di spessore relativamente ridotto (in genere da 2 a 4 cm). L’intervento comprende: la preparazione del sottofondo, la produzione della malta, l’applicazione della malta e la stagionatura del rivestimento. Relativamente alla preparazione del sottofondo di calcestruzzo sul quale si deve applicare la malta da restauro è necessario che esso si presenti sano, irruvidito e saturo di acqua. I ferri di armatura, inoltre, debbono essere privati della loro ruggine incoerente. Occorre, pertanto:  - Rimuovere, mediante scarificazione meccanica o idrodemolizione, il materiale ammalorato fino ad arrivare ad un calcestruzzo meccanicamente resistente e irruvidito: lo spessore di calcestruzzo rimosso deve essere almeno eguale a quello che, in base alle indagini diagnostiche, risulta esere ormai penetrato dagli agenti aggressivi (cloruro, solfato, ecc.) anche se ancora non completamente danneggiato; i residui di precedenti interventi non perfettamente aderenti, come anche oli, grassi, vernici superficiali, ecc., dovranno essere ugualmente rimossi; un irruvidimento ideale del sottofondo corrispondente ad un superficie con asperità di circa 5 mm;  - Pulire i ferri di armatura da polvere e ruggine incoerente mediante sabbiatura ed applicare una rete elettrosaldata o nuovi ferri di armatura eventualmente previsti dal progetto di restauro; la rete elettrosaldata (per spessori di malta fino a 25 mm) va applicata direttamente sul sottofondo e fissata con chiodi in modo da garantire un copri ferro di almeno 15 mm; nel caso di spessori di malta maggiori di 50 mm – fermo restando il copriferro di almeno 15 mm – è consigliabile mediante distanziatori, sistemare la rete elettrosaldata in modo che no sia a diretto contatto del sottofondo (ma disposta simmetricamente nello strato di malta) per utilizzare al massimo l’azione di contrasto della rete stessa nei confronti dell’espansione della malta; ad ogni modo, per spessori maggiori di 25 mm è consigliabile applicare il prodotto a più strati ciascuno dei quali di spessore non superiori a 25 mm; spessori di malta inferiori a 15 mm possono essere applicati anche in assenza di rete elettrosaldata, purché il contrasto all’espansione della malta sia assicurata dalle asperità (5 mm) del sottofondo in calcestruzzo;  - Saturare di umidità il sottofondo bagnando con acqua a pressione al fine di evitare sottrazione di acqua alla malta da applicare con conseguente perdita delle caratteristiche espansive:una tecnologia ottimale è quella basata sull’impiego delle macchine per lavaggio ad acqua delle autovetture con rimozione dell’eccesso di acqua mediante aria compresa o stracci per ottenere un sottofondo saturo di acqua a superficie asciutta. Per la produzione della malta è opportuno miscelare gli ingredienti in betoniera seguendo le istruzioni del produttore per quanto concerne la quantità di acqua da impiegare e le modalità operative. Nel caso di climi caldi (> 35° C) si raccomanda di immagazzinare i prodotti occorrenti alla preparazione della malta in luoghi protetti dalla diretta insolazione, ed in quelli freddi (< 10°C) in ambienti chiusi al riparo dalle intemperie. Questa precauzione evita fenomeni di presa rapida o lenta della malta. Per lo stesso motivo è consigliabile l’impiego di acqua raffreddata (0 – 10°C) o riscaldata (40-60°C) rispettivamente nei periodi di clima caldo o freddo. L’applicazione può essere eseguita a cazzuola o, più produttivamente ed efficacemente a spruzzo con macchina intonacatrice. Immediatamente si può procedere, con una spatola di legno, a rendere più o meno planare la superficie rimuovendo la malta dalle zone di magior accumulo. La finitura finale (con fratazzo di legno, di ferro o di spugna sintetica) può essere eseguita in un tempo successivo (circa 30-60 min) quando, appoggiando la mano sulla superficie, le dita non affondano ma lasciano solo una leggera impronta. Se la malta ha da poco iniziato la presa l’operazione di fratazzatura superficiale può essere agevolata se è accompagnata dall’applicazione di acqua nebulizzata. Subito dopo la finitura finale, le superfici della malta applicata debbono essere stagionate con teli costantemente umidificate per almeno 24 ore e fino a 2 giorni in ambienti caldi (> 30°C), asciutti (UR < 70%) e ventilati (velocità del vento > 10 Km/ora). In alternativa, subito dopo la finitura le superfici possono essere trattate con agente stagionante per creare una pellicola anti-evaporante: questa operazione è sconsigliata se si debbono applicare ulteriori rivestimenti protettivi o vernici, a meno che non si provveda successivamente e rimuovere la pellicola mediante spazzatura. INTERVENTO PER COLLAGGIO L’intervento è destinato all’applicazione di malta o calcestruzzi espansivi a consistenza superfluida (autolivellante) per riparare superfici verticali (pareti, muri, pilastri), orizzontali (pavimentazioni) o per riempire cavità interne (fori praticati in strutture armati con barre). Il metodo, quando in alternativa è impiegabile quello a spruzzo o a cazzuola si fa preferire per spessori relativamente elevati (> 50 mm) che consentono un facile riempimento del prodotto. In questo caso l’intervento comprende la preparazione del sottofondo, la casseratura, la produzione della malta o del calcestruzzo, l’applicazione della malta o del calcestruzzo e la stagionatura. Per la preparazione del sottofondo valgono le stesse raccomandazioni già descritte, con la variante che non è prevista la rate elettrosaldata ma solo eventuali ferri integrativi di quelli già esistenti. Le casseforme (in materiale resistente ed impermeabile) debbono essere ancorate e contrastate per resistere alla pressione idraulica dell’impasto fluidi. Nei climi caldi e asciutti è consigliabile saturare con acqua la casseforme in legno (se poroso) per evitare sottrazione di acqua all’impasto. Prima del getto è necessario applicare il disarmante per facilitare il distacco dei casseri. Per favorire l’immissione della malta occorre predisporre nei casseri un’imboccatura a tasca in modo da garantire un battente di carico. Qualora ci sono perdite di malta attraverso le connessioni tra i casseri è necessario che queste siano sigillate con listelli di polistirolo, materiali collanti o anche con la stessa malta a consistenza plastica del prodotto cementizio impiegato per il restauro. Relativamente alla produzione della malta o del calcestruzzo valgono le stesse raccomandazioni già descritte con la variante che la consistenza della malta o del calcestruzzo deve essere superfluida per rendere agevole l’applicazione per collaggio. La malta o il calcestruzzo autolivellante deve essere colato in modo da favorire lo spostamento dell’aria pre-esistente nelle zone casserate da riempire. Ove possibile, è consigliabile gettare o pompare l’impasto fluido da un solo lato favorendone la fuoruscita da quello opposto. Ad ogni modo occorre evitare di gettare o pompare l’impasto simultaneamente su due lati opposti per evitare che l’aria (sotto forma di macrobolle) venga intrappolata dai due flussi di malta in controcorrente. Nel caso di riparazione di pavimenti, solette o salai, l’impasto autolivellante deve essere staggiato subito dopo il getto. Il completo riempimento delle cavità può essere agevolato dall’impiego di tondini flessibili per rimuovere la malta fluida e facilitare l’espulsione dell’eventuale aria residua, mentre è sconsigliabile ricorrere a vibratori ad ago o a parete. Per la stagionatura, in aggiunta alle raccomandazioni che valgono anche per i getti colati su superfici orizzontali non casserate (pavimenti, solai, ecc.), le superfici verticali, se la scasseratura avviene prima di 24 ore, debbono essere protette con agente stagionante o con teli umidi per almeno altre 24 ore se il clima è caldo (> 30°C), asciutto (UR < 70%) e ventilato (velocità del vento > 10 Km/ora). INTERVENTO PER INIEZIONE Nel caso si debba restaurare una struttura che presenti difetti(vespai) o esterni (fessure) non penetrabili dalle malte, è possibile procedere ad un consolidamento mediante iniezioni di boiacche cementizie. Prima di applicare la boicca di cemento è opportuno saturare con acqua tutta la struttura interna da consolidare. A questo scopo, utilizzando gli stessi fori attraverso i quali verrà eseguita l’iniezione della boiacca, si procede alla completa bagnatura interna della struttura nel giorno che precede l’intervento di consolidamento vero e proprio, per consentire lo smaltimento dell’eventuale acqua libera ristagnata all’interno. Le perforazioni dovrebbero essere disposte simmetricamente, possibilmente ai vertici di un reticolo a maglie quadrate con lato da 50 a 100 cm. Nelle strutture di spessore inferiore ai 60 cm. i fori vengono di solito eseguiti su un solo lato, mentre in quello con spessori superiori è opportuno procedere alla iniezioni su entrambi i lati. I fori (diametro: 3-4 cm.) possono essere orizzontali o inclinati e sono muniti di appositi boccagli di plastica del diametro da 10-15 mm attraverso i quali verrà iniettata a pressione la boicca cementizia dopo aver provveduto ad otturare le possibili via di fuga. 3__PROTEZIONE DEL CALCESTRUZZO CON RIVESTIMENTI ELASTICI IN POLIMERO-CEMENTIZI Il calcestruzzo è un materiale rigido e quindi soggetto a fessurazioni quando nel materiale insorgono sollecitazioni di trazione per effetto dei carichi applicati e delle variazioni igro-termiche. Ciò comporta la penetrazione degli agenti aggressivi attraverso le fessure ed il successivo degrado del calcestruzzo, ancorché la sua durabilità intrinseca possa teoricamente essere soddisfacente per la bassa porosità della matrice cementizia. Allo scopo di eliminare i rischi di degrado nelle strutture destinate ad una lunga vita di esercizio (> 50 anni), sono stati studiati rivestimenti pellicolari in polimero/cemento a base di lattici in 2-etil-esilacrilico e cemento Portland o alluminio. I risultati ottenuti dimostrano che questi rivestimenti elastici sono in grado di resistere alla penetrazione degli agenti aggressivi ambientali (acqua, anidrite carbonica, cloruri, solfati). La flessibilità del rivestimento in polimero-cemento – requisito essenziale per coprire le fessure (fino a circa 1 mm) che insorgono ne calcestruzzo – si conserva accettabilmente in qualsiasi ambiente solo se si impiega cemento Portland. Al contrario, se il rivestimento è a base di cemento alluminoso la iniziale flessibilità si annulla in circa tre mesi quando il rivestimento è a contatto con acqua. L’adesione di questi rivestimenti al calcestruzzo non risulta compromesso nel tempo indipendentemente dall’ambiente (acqua, aria asciutta, aria con U. R. variabile) a cui essi sono esposti. INTRODUZIONE In teoria è possibile produrre calcestruzzi durabili anche in ambienti molto aggressivi purché siano scelti ingredienti con adeguate caratteristiche, e purché siano rispettati i vincoli composizionali, soprattutto nel rapporto acqua/cemento e nel volume di aria inglobata imposti dalla norma UNI9858. l’obbiettivo principale, cioè, che si deve perseguire per garantire la durabilità del calcestruzzo è quello di produrre una matrice cementizia di bassa porosità. La ridotta porosità della matrice cementizia sarebbe cosi in grado di rallentare, o addirittura di impedire, la penetrazione degli agenti aggressivi all’interno del conglomerato e di assicurare, quindi una lunga vita di servizio alle strutture in calcestruzzo armato. Tuttavia, a differenza di quanto avviene nei provini di laboratorio, le strutture reali in calcestruzzo possono essere sottoposte nella loro vita di servizio a carichi statici e dinamici, a variazioni termiche o igrometriche capaci di indurre sollecitazioni di trazione e di provocare – per la rigidità del materiale – la formazione di micro fessure all’interno della materia cementizia. E così gli agenti aggressivi ambientali – dall’aria all’acqua, dai solfati ai cloruri o gli alcali – possono penetrare il copri ferro di calcestruzzo attraverso queste micro fessure, indipendentemente dalla porosità della matrice cementizia, e possono quindi promuovere la corrosione delle armature metalliche, il degrado degli aggregati alcali-reattivi e anche della stesa matrice cementizia. Una volta innescato un qualsiasi di questi processi (tutti di carattere espasivo.dirompente) le iniziali micro fessure si trasformano in macrofessure ed il fenomeno del degrado decorre, dopo un iniziale periodo di induzione (qualche anno o qualche decina d’anni) con velocità elevate. La fenomenologia del degrado sopra descritta è stata illustrata, anche attraverso un tentativo di modellazione matematica sia per quanto riguarda la corrosione dei ferri di armatura, sia per quanto riguarda il deterioramento della struttura costituito dal calcestruzzo armato e non. SCOPO DEL LAVORO Se per la maggior parte delle struture in calcestruzzo si accetta come criterio di vita utile di servizio un periodo di 20-30 anni, fino ad un massimo di 50 anni, il problema del degrado legato alla presenza delle micro fessure ed alla loro successiva trasformazione in macrofessure, può essere sostanzialmente ignorato. In questo caso è sufficiente adottare i criteri di durabilità enunciati nelle norme europee o in quelle americane, che si basano sostanzialmente: A - sulla composizione del calcestruzzo, ed in particolare in un rapporto acqua/cemento da non superare per garantire la impermeabilità B - su una soglia minima di micro bolle d’aria per garantire la resistenza alla formazione del ghiaccio (solo per strutture in climi freddi con frequenti alternanze intorno a 0°C) Se, però, si prendono in considerazione strutture di particolare pregio architettonico (per esempio opere monumentali, chiese ecc.) o strutture di particolare valore sociale che richiedono enormi investimenti economici (per esempio; tunnel sottomarini, ponti di grandi luce, viadotti autostradali in alta montagna, ecc.), allora in questi casi si richiede una vita utile in servizio di almeno 50 anni, ed in taluni casi fino a 200 anni. Per queste strutture il meccanismo del degrado legato alla formazione delle micro fessure ed alla loro trasformazione in macrofessure, con conseguente degrado della struttura, non può essere assolutamente ignorato: una soluzione a questo problema – in attesa di mettere a punto in futuro un calcestruzzo meno rigido e più resistente alle sollecitazioni di trazione – può essere trovata in un rivestimento protettivo capace di impedire la penetrazione degli agenti aggressivi attraverso le più facili vie di accesso costituite dalle micro fessure distribuite in una matrice cementizia ancorché compatta e poco porosa. Lo scopo generale del presente lavoro è quello di garantire la durabilità delle strutture in calcestruzzo fessurate attraverso l’impiego di una pellicola protettiva di per sé resistente agli attacchi aggressivi dell’ambiente (capace quindi, di opporsi permanentemente all’azione distruttiva dell’ambiente), dotata di sufficiente duttilità per potersi deformare e “coprire” le fessure del supporto rigido in calcestruzzo durante la loro apertura, capace di conservare questo comportamento elastico in modo duraturo sia all’aria che in contatto dell’acqua. Questo è l’approccio già adottato nello studio di un rivestimento pellicolare elastico capace di proteggere dall’aggressione ambientale un calcestruzzo ancorché espostoai fenomeni di micro fessurazione. Il prodotto per il rivestimento pellicolare impiegato è costituito da un elastomero acrilico (2-etilesil-acrilato) addizionato con cariche minerali e pigmenti inorganici. Nel presente lavoro, vengono esaminate le prestazioni (in termini di resistenza alla penetrazione di alcuni agenti aggressivi ambientali, di aderenza al sub-strato in calcestruzzo e di flessibilità nel tempo) di alcuni rivestimenti flessibili costituiti dallo stesso polimero acrilico, combinato con cementi e cariche minerali. 4__ISOLAMENTO A CAPPOTTO TERMICO il sistema a capotto per l’isolamento termico può essere utilizzato sia in edifici di nuova costruzione, sia in interventi di restauro o di risoluzioni di problemi inerenti a quadri fessurativi con l’infiltrazione di acqua in facciata. Il sistema “cappotto” comporta l’eliminazione totale dei “ponti termici”, ossia diquei punti della struttura in cui si hanno delle vie preferenziali per la dispersione del calore. Il sistema di isolamento a “cappotto “ è un insieme inscindibile costituito da elementi diversi, l’una tra loro compatibili e “sinergici”. Specificatamente il sistema fa leva nell’inserire (generalmente sulla superficie esterna o questo non fosse possibile su quella interna) nel istallare dei panelli termoisolanti in genere (polistirene espanso/estruso, poliuretano espanso, per le superfici esterne, fibre minerali sughero ecc. per le superfici interne sia su intonaci esistenti che su superfici di calcestruzzo. Generalmente i pannelli in poliestere espanso sintetizzato a ritardo propagazione della fiamma di dimensioni 100x50 cm con spessore tra i 3 e 12 cm squadrate a spigolo vivo o battente, con massa volumica di 15/20/25 o 30 Kg/mc. Collante rasante per l’incollaggio delle lastre isolanti (per intonaci esistenti, mentre per le superfici cementizie i pannelli vengono fissati mediante tasselli) Strato di intonaco armato sopra le lastre stesse con rete di armatura, tessuto in fibra di vetro per il rinforzo del primo strato di intonaco e per consentire spessori fino a 5 mm Primere quale prima protezione dell’intonaco rinforzato Finitura con rivestimento continuo sottile di protezione dell’intero sistema agli agenti atmosferici
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    L’edificio oggetto del nostro intervento rappresenta una delle ultime costruzioni religiose della Diocesi di Grosseto, posto nella periferia nord della città prospiciente l’ospedale L’agglomerato urbano al cui centro si pone la Chiesa della Santa Famiglia è stato realizzato intorno agli anni settanta da li a qualche anno iniziavano i lavori per edificare la chiesa. Nel 1987 in concomitanza della visita di Giovanni Paolo II la chiesa veniva dedicata ed il Sommo Pontefice tenne una lezione...

    Project details
    • Year 2010
    • Work started in 2009
    • Work finished in 2010
    • Main structure Reinforced concrete
    • Client Diocesi di Grosseto
    • Contractor ERUROPLAN Engineering
    • Cost 300.000,00
    • Status Completed works
    • Type Churches
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