Villa La Favorita
Un progetto a quattro mani con Gio Ponti. Valdagno / Italy / 2010
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Antefatto. Valdagno: Villa La Favorita. Progetto di Ponti rimasto incompiuto a causa della seconda guerra mondiale. Il Comune decide di dare ai ruderi relativi al piano interrato della Villa, di proprietà dei Marzotto, nuova vita tramite un segno allo stesso tempo contemporaneo e di rispetto del passato. Da qui ha inizio il nostro dialogo (seppur virtuale) con Ponti che immediatamente ci rivela che non esiste il passato, tutto è simultaneo nella nostra vita e cultura. Esiste solo il presente, nella rappresentazione che ci facciamo del passato, e nell’intuizione del futuro.* In primis ci racconta che non ci vuole un nuovo modo di costruire, ci vuole un nuovo modo di vivere. Il passato non esiste, tutto è simultaneo nella nostra cultura. Non esistono fratture tra architettura antica e moderna, né storiche e neppure tecniche; perché né tecnica né nuove materie alterano quelle condizioni eterne ed uniche di giudizio, ma le proseguono.* E continuando il discorso: questi i termini di pensiero per una buona architettura
Invenzione formale e strutturale | Essenzialità | Rappresentatività | Espressività | Illusività | Perpetuità.*
Immediata è, dunque, la decisione di rileggere in maniera contemporanea la preesistenza - rudere riportandola a nuova vita tramite un progetto naturale. Si, abbiamo scelto un solo aggettivo, naturale, in quanto architettura che dialoga con il parco, ma non solo. Un’architettura naturale è anche un’architettura mutevole (immediata conseguenza dell’essere naturale). Mutevole come la natura, come il cielo, mutevole come il sole in un giorno di primavera avanzata quando repentinamente lascia il posto ad una pioggia martellante, o mutevole come l’atmosfera in una giornata ventosa d’inverno quando è quasi onirico il passaggio al più completo silenzio di una fitta nevicata. Un edificio può essere naturale per diversi motivi: un immediatezza di segno, un sentire naturale o semplicemente un’integrazione con la natura; queste le tre motivazioni che partecipano al nostro progetto. La pianta è articolata e si adatta al sito rispettando la tipologia della volumetria e dell’intervento originario di Ponti. Invenzione formale e strutturale* di una forma non finita (ma pensata per esserlo) per raggiungere ora una forma immodificabile, chiusa, soddisfacente.* Da una prima visione ai piedi della collina, comincia a prender corpo l’idea di una scatola chiusa dal semplice involucro della struttura muraria e vetro, il cui tetto “lama” in metallo opaco, risulta distaccato dalla struttura, quasi una nuvola geometrica a coronamento della volumetria poiché i tetti a volte navigano nel cielo* e, in quanto nuvola, capace di far sì che l’edificio sia mutevole come l’atmosfera riportandoci al concetto di Illusività*: è ciò che traspone la costruzione su un piano poetico, solo poetico e non reale, senza di che essa non è opera d’arte, non è architettura, ma rimane sostanza tecnica, ingegneria.* La pianta, ridotta ad una serie di annotazioni descrittive, disegna un intricato inviluppo di prospettive interne, sviluppate secondo le intenzioni di una metafora boschiva, attraverso cui si rinsalda l’integrazione proposta, tra il nuovo edificio ed il paesaggio verde circostante generando risorse diverse degli ambienti, risorse dei colori, risorse delle luci diverse degli ambienti, risorse fugate delle prospettive, naturali e artificiali , risorse delle materie, delle sequenze, del su e giù, dei punti di vista, delle luci.* La connessione tra l’esterno e l’interno avviene, come sopra descritto, sul prospetto in asse con la città, tramite un sistema di scale-gradonate, il cui percorso d’ingresso è segnato da un cemento dal tono più scuro, che ci conduce all’interno dell’edificio realizzato in cemento armato a vista e vetro strutturale grigio-fumè, con tono graduale in modo che veli e sveli situazioni, creando una continua scoperta di dettagli architettonici e sposando, in toto, il concetto di Rappresentatività*, anche perché l’edificio deve rappresentare visualmente alla mente ciò cui è o è stato destinato.* Un esterno-interno dove le attività che era impossibile svolgere nei mesi più freddi ora trovano un grande spazio protetto, nulla da togliere, nulla da aggiungere, Essenzialità*. Il risultato è un edificio leggero e gentile*, posato in cima alla collina. Niente muri a rinchiudere gli spazi, ma muri che limitino, con il loro gioco, gli spazi. All’esterno questi muri, in alternanza pieni e vuoti, vetro e cemento, pesanti e leggeri, opachi e trasparenti, ritmati e a volte vibranti, consentiranno la possibilità di un’illuminazione meravigliosa. Perseguiti attraverso la forma della pianta originaria, l’assottigliamento geometrico dei muri, la bucatura asimmetrica delle facciate, la moltiplicazione dei coni ottici e delle intersezioni spaziali degli interni, l’ideale della leggerezza ed apparenza e il miraggio della trasparenza si fissano e si determinano, paradossalmente, nell’impianto funzionale interno. Pilastri di cemento al piano interrato proseguono al piano superiore in pilastrini a croce di acciaio brunito, si, quelli che Mies (Van der Rohe), tanto caro a Ponti, ha usato in diverse opere. Lui, nel frattempo, ci ricorda che Espressività* è quella sapienza che rende palesi, esprimendoli, i motivi della costruzione. Il nostro è un edificio non tanto da guardare da fuori, ma da guardare dal di dentro, penetrandovi e percorrendolo fatto per essere osservato girando continuamente l’occhio.*All’interno piccole “invenzioni” contribuiscono a completare il manufatto: un arredo che si estende a considerare l’intera gamma nelle sue più flessibili estensioni alle più varie manifestazioni dell’arte, dell’architettura, di un edificio come contenitore simbolico di una nuova modernità, quella stessa modernità che aveva animato e sostenuto, sin dai primi anni trenta, la battaglia di Gio Ponti per la casa moderna e molto probabilmente anche per Villa La Favorita. Ponti conclude il nostro dialogo ricordandoci che la Perpetuità* è un altro e finale termine di giudizio. Ma soltanto il Tempo è il collaudatore effettivo dell’opera. E’ solo il Tempo che rende un’opera atemporale.* Ne prendiamo atto.
Invenzione formale e strutturale | Essenzialità | Rappresentatività | Espressività | Illusività | Perpetuità.*
Immediata è, dunque, la decisione di rileggere in maniera contemporanea la preesistenza - rudere riportandola a nuova vita tramite un progetto naturale. Si, abbiamo scelto un solo aggettivo, naturale, in quanto architettura che dialoga con il parco, ma non solo. Un’architettura naturale è anche un’architettura mutevole (immediata conseguenza dell’essere naturale). Mutevole come la natura, come il cielo, mutevole come il sole in un giorno di primavera avanzata quando repentinamente lascia il posto ad una pioggia martellante, o mutevole come l’atmosfera in una giornata ventosa d’inverno quando è quasi onirico il passaggio al più completo silenzio di una fitta nevicata. Un edificio può essere naturale per diversi motivi: un immediatezza di segno, un sentire naturale o semplicemente un’integrazione con la natura; queste le tre motivazioni che partecipano al nostro progetto. La pianta è articolata e si adatta al sito rispettando la tipologia della volumetria e dell’intervento originario di Ponti. Invenzione formale e strutturale* di una forma non finita (ma pensata per esserlo) per raggiungere ora una forma immodificabile, chiusa, soddisfacente.* Da una prima visione ai piedi della collina, comincia a prender corpo l’idea di una scatola chiusa dal semplice involucro della struttura muraria e vetro, il cui tetto “lama” in metallo opaco, risulta distaccato dalla struttura, quasi una nuvola geometrica a coronamento della volumetria poiché i tetti a volte navigano nel cielo* e, in quanto nuvola, capace di far sì che l’edificio sia mutevole come l’atmosfera riportandoci al concetto di Illusività*: è ciò che traspone la costruzione su un piano poetico, solo poetico e non reale, senza di che essa non è opera d’arte, non è architettura, ma rimane sostanza tecnica, ingegneria.* La pianta, ridotta ad una serie di annotazioni descrittive, disegna un intricato inviluppo di prospettive interne, sviluppate secondo le intenzioni di una metafora boschiva, attraverso cui si rinsalda l’integrazione proposta, tra il nuovo edificio ed il paesaggio verde circostante generando risorse diverse degli ambienti, risorse dei colori, risorse delle luci diverse degli ambienti, risorse fugate delle prospettive, naturali e artificiali , risorse delle materie, delle sequenze, del su e giù, dei punti di vista, delle luci.* La connessione tra l’esterno e l’interno avviene, come sopra descritto, sul prospetto in asse con la città, tramite un sistema di scale-gradonate, il cui percorso d’ingresso è segnato da un cemento dal tono più scuro, che ci conduce all’interno dell’edificio realizzato in cemento armato a vista e vetro strutturale grigio-fumè, con tono graduale in modo che veli e sveli situazioni, creando una continua scoperta di dettagli architettonici e sposando, in toto, il concetto di Rappresentatività*, anche perché l’edificio deve rappresentare visualmente alla mente ciò cui è o è stato destinato.* Un esterno-interno dove le attività che era impossibile svolgere nei mesi più freddi ora trovano un grande spazio protetto, nulla da togliere, nulla da aggiungere, Essenzialità*. Il risultato è un edificio leggero e gentile*, posato in cima alla collina. Niente muri a rinchiudere gli spazi, ma muri che limitino, con il loro gioco, gli spazi. All’esterno questi muri, in alternanza pieni e vuoti, vetro e cemento, pesanti e leggeri, opachi e trasparenti, ritmati e a volte vibranti, consentiranno la possibilità di un’illuminazione meravigliosa. Perseguiti attraverso la forma della pianta originaria, l’assottigliamento geometrico dei muri, la bucatura asimmetrica delle facciate, la moltiplicazione dei coni ottici e delle intersezioni spaziali degli interni, l’ideale della leggerezza ed apparenza e il miraggio della trasparenza si fissano e si determinano, paradossalmente, nell’impianto funzionale interno. Pilastri di cemento al piano interrato proseguono al piano superiore in pilastrini a croce di acciaio brunito, si, quelli che Mies (Van der Rohe), tanto caro a Ponti, ha usato in diverse opere. Lui, nel frattempo, ci ricorda che Espressività* è quella sapienza che rende palesi, esprimendoli, i motivi della costruzione. Il nostro è un edificio non tanto da guardare da fuori, ma da guardare dal di dentro, penetrandovi e percorrendolo fatto per essere osservato girando continuamente l’occhio.*All’interno piccole “invenzioni” contribuiscono a completare il manufatto: un arredo che si estende a considerare l’intera gamma nelle sue più flessibili estensioni alle più varie manifestazioni dell’arte, dell’architettura, di un edificio come contenitore simbolico di una nuova modernità, quella stessa modernità che aveva animato e sostenuto, sin dai primi anni trenta, la battaglia di Gio Ponti per la casa moderna e molto probabilmente anche per Villa La Favorita. Ponti conclude il nostro dialogo ricordandoci che la Perpetuità* è un altro e finale termine di giudizio. Ma soltanto il Tempo è il collaudatore effettivo dell’opera. E’ solo il Tempo che rende un’opera atemporale.* Ne prendiamo atto.
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Antefatto. Valdagno: Villa La Favorita. Progetto di Ponti rimasto incompiuto a causa della seconda guerra mondiale. Il Comune decide di dare ai ruderi relativi al piano interrato della Villa, di proprietà dei Marzotto, nuova vita tramite un segno allo stesso tempo contemporaneo e di rispetto del passato. Da qui ha inizio il nostro dialogo (seppur virtuale) con Ponti che immediatamente ci rivela che non esiste il passato, tutto è simultaneo nella nostra vita e cultura. Esiste solo il presente,...
- Year 2010
- Client Comune di Valdagno
- Status Unrealised proposals
- Type Landscape/territorial planning / Multi-purpose Cultural Centres / Pavilions / Leisure Centres / Private clubs/recreation centres
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