RESTAURO E CONSOLIDAMENTO DEGLI IPOGEI DELL'EX MONASTERO DI S.SOFIA | Antonio Aulenti

Gravina in Puglia / Italy / 2019

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PREMESSA


L’ex Monastero di Santa Sofia è stato assoggettato a due distinti interventi di recupero tecnico- funzionale, individuato come primo e secondo lotto, già conclusi; Durante i lavori del primo stralcio fu rinvenuto un complesso ipogeo, fino ad allora sconosciuto, articolato in una serie di ambienti tutti scavati nella roccia i quali, per i loro caratteri morfologici, sembrano essere legati a contesti funerari tardo-antichi. Con i lavori già eseguiti è stato possibile raccordare fisicamente gli ipogei ai livelli superiori mediante la realizzazione di una scala in metallo e una passerella, al fine di garantire un accesso più agile e sicuro in vista di una apertura e fruizione al pubblico .


Al fine di valorizzare e rendere accessibili tali ipogei l’Amministrazione Comunale del Comune di Gravina in Puglia  ha chiesto ed ottenuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri un contributo economico a valere sulla quota dell’otto per mille a diretta gestione statale. Il responsabile del procedimento è stato l’arch. Michele Mastrodonato mentre il progetto è stato redatto e diretto dall’arch. Antonio Aulenti. I lavori sono stati eseguiti dalla ditta  Dentico s.r.l. di Bari

IL PROGETTO


 Il progetto dell’ex monastero di S. Sofia è, di fatto, una questione di non poco conto. Esso ha richiesto , nella sua formulazione, l’esplicitazione di più livelli di definizione relazionati a più ambiti disciplinari che, però, si ripropongono in modo necessariamente correlato tra di loro.


Si ha, infatti, che, nel volgere di poche decine di metri, gli spazi - sia esterni che interni del complesso, posti a differenti quote - espongano caratteristiche peculiari e, configurandosi come testimonianze architettoniche di particolare interesse, si consegnano come un articolato palinsesto di materia formata che necessitava di essere indagata ancor più di quanto non sia stato fatto prima dell’apertura del cantiere.


In un’elaborazione progettuale finalizzata alla conservazione e, nel contempo, al riuso e all’avvaloramento della fabbrica (o meglio delle fabbriche) necessitava quindi analizzare, oltre ai documenti d’archivio, la materia formata dell’opera e rintracciarvi le lavorazioni eseguite al fine di datare, attribuire e autenticare in modo scientifico ciò che ci è pervenuto, ma necessitava anche dare delle risposte a più domande.


La metamorfosi che il complesso, ex monastero nato nel XVI secolo, ha subito nel tempo - a causa dei processi di degradazione indotti dall’azione antropica e dall’aggressione dell’ambiente nonché da eventi singolari - mette in gioco casi analoghi presenti non solo sul territorio italiano. Ma ciò che è possibile rilevare è che i processi di degradazione, antropici ed ambientali, ponevano in essere procedure che hanno quasi sempre attivato due differenti gestualità: quella del togliere e quella dell’aggiungere.


Così, a partire dai tempi più lontani, all’ex monastero è stata tolta la materia che lo materializzava e poi, in epoche diverse, gli sono stati aggiunti diversi ambienti e, nell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, esso è stato riconfigurato architettonicamente fino a renderlo, ma solo in apparenza, sostanzialmente omogeneo.


Necessario è stato rilevare la effettiva consistenza del complesso di testimonianze storiche ed architettoniche al fine di evidenziare, tramite una lettura stratigrafica, gl’indizi presenti nel corpo delle fabbriche, i legami tra di essi e le loro peculiarità.


In generale ciò che si pone come improcrastinabile è la questione del destino di queste fabbriche, del loro divenire nel prossimo futuro.


Il perché le si restauri e le si reimmetta in un circuito vitale è cosa dipendente dal livello culturale che una collettività ha in relazione alla presa di coscienza dell’alto valore testimoniale che esse hanno, ma il come le si restauri è, d’altra parte, cosa che attiene ai singoli ambiti disciplinari; tenendo però presente che non è sufficiente l’utilizzo di un buon metodo per poter pervenire ad un buon risultato, senza illudersi, quindi, che i contributi specialistici e il sapere tecnico, uniti agli assunti teorici della conservazione e del restauro, possano configurare meccanicamente soluzioni congrue e definitive.


Le soluzioni dipendono certamente dai metodi utilizzati, ma questi sono indissolubilmente relazionati alle peculiarità della fabbrica e da esse in parte derivano.


Nel caso del complesso di cui si tratta si è quindi proceduto alla lettura di tutti quegli elementi artificiali che lo caratterizzano ed anche del rapporto che il complesso ha attualmente con la città e con l’ambiente circostante.


Lettura che è avvenuta ed che persegue due obiettivi già contemplati nei progetti approvati (definitivo ed esecutivo del primo e del secondo stralcio nonche’ quello degli ipogei): a) – la conservazione del complesso architettonico, cioè il prolungamento della sua vita insieme alle sue tracce storiche; b) – il riuso dello stesso per il tramite di aggiunte necessarie ed indispensabili.


Spesso, ma si è coscienti di ciò, nel perseguire praticamente i due obiettivi si è nella condizione di trovarsi di fronte a delle conflittualità difficilmente superabili. La qual cosa si è verificata anche nel nostro caso e a tal fine sono state utilizzate delle linee guida, dei criteri che hanno consentito di individuare il procedere verso la possibile soluzione, anche se tali criteri hanno assunto di volta in volta consistenza diversa e, comunque, hanno permesso, anche quando si sono rivelati parzialmente in contraddizione, di procedere nel tentativo di ottimizzare il risultato atteso.


Però, se le finalità da perseguire sono esplicite, il modo di rendere manifeste le risposte attinenti ai problemi dell’ex monastero è, comunque, stato condizionato dallo stato di fatto attuale delle preesistenze, che sono per lo più, anche se in modo larvato, marcatamente differenziate in dipendenza della loro dislocazione all’interno dell’area su cui insiste l’ex complesso.


Da sempre le condizioni naturali, geologiche e orografiche, coniugate alle esigenze umane - che in dipendenza di dette esigenze hanno trasformato nei secoli la natura in artificio – hanno ingenerato la sedimentazione di una figuratività che esalta le seconde a discapito delle prime.


Sovente, in situazioni così consegnate, ovvero quelle derivanti dall’abbandono delle fabbriche storiche e dall’incuria degli uomini, si resta ammutoliti, incapaci sovente di attivare una riflessione che, prendendo spunto da un semplice dato, possa inverare una susseguente rappresentazione della realtà capace di proporre emozioni differenti da quelle che ci lasciano ammutoliti e che, però, ci sconvolgono.


Eppure, sedimentando e selezionando quelle immagini pur presenti, ma che si vorrebbero in gran parte rimuovere, ci si accorge che, ad una visione limitata a quegli elementi ineludibili che caratterizzano il complesso dell’ex monastero di S. Sofia, una possibile risposta possa essere data in termini progettuali; risposta che si articola su quella matrice geometrica data dalla presenza degli assi viari che delimitano l’area e da quella particolare giacitura e conformazione dell’edificio.


Ora, se il complesso architettonico si presenta come un poliedro le cui facce sono denotate da caratteristiche dissimili dal punto di vista tipologico, storico, dimensionale ed architettonico, è anche vero che la progettazione del suo restauro e della sua ri-funzionalizzazione si pone su due scale d’intervento che non possono essere disgiunte tra di loro, essendo le suddette scale d’intervento, quella relativa ai singoli episodi architettonici e quella che impone il relazionare tra loro tali episodi, correlate necessariamente in una visione generale che li ricomprende.


- I RITROVAMENTI DURANTE I LAVORI DI RESTAURO DEL 2006-09


Durante i lavori di restauro dell’ex Monastero è stato ritrovato un complesso ipogeo. Ambienti scavati nel banco tufaceo emersi durante la rimozione della pavimentazione di alcuni ambienti posti al piano seminterrato. Solo una prima parte del complesso fu riportata alla luce a causa della mancanza dei fondi all’epoca a disposizione. La restante parte poi scoperta durante i lavori del secondo stralcio avvenuti nel periodo 2015-17 insistono sotto la corte seicentesca ed erano celati da  una parete in tufo. Tale complesso si compone di nove ambienti tutti ricavati nella roccia, a una profondità variabile tra i 5 e i 10 metri dal piano stradale soprastante. Ad essi si accede dal piano seminterrato dell’ex Monastero  di S. Sofia, posto a quota di via S.Sofia.


Durante i lavori del 2007 è stato possibile raccordare fisicamente alcuni degli ambienti ipogei rinvenuti ai livelli superiori mediante la realizzazione di una scala e passerella in metallo, garantendo un accesso più agile e sicuro, in vista di una futura apertura e fruizione al pubblico. Allo stesso tempo è stata garantita la solidità statica attraverso la costruzione, in alcuni punti della fabbrica, di pilastri e archi in muratura.


Nella maggior parte dei casi gli spazi ipogei presentano sulle superfici delle pareti segni di una attenta escavazione, che difficilmente si rinviene in contesti rupestri attestati nel territorio. Piccole nicchie, anelli litici, alloggiamenti per lucerne sono gli elementi architettonici più frequenti, realizzati sempre per sottrazione di roccia.


Gli ingressi alle singole stanze avvengono da un ambiente comune con funzione di atrio e sono caratterizzati da archi a tutto sesto di varia ampiezza. Internamente le grotte presentano sulle pareti laterali una successione di grandi nicchioni, al di sotto dei quali sono stati ricavati, in alcuni casi, pozzi o fosse per sepolture, ancora da scavare, alle quali vanno ricondotte le numerose croci graffite.


La presenza di deposito di terreno archeologico, all’interno di due di dette grotte, non consente di intravedere il piano pavimentale originario. In più punti sembrano percepibili ingressi, posti a livello dell’attuale piano di frequentazione, ad ambienti ancora interrati, che necessitano di essere svuotati per consentirne l’accesso.


LO STATO DI FATTO (PRIMA DEL PROGETTO)


Ambiente 1


L’Ambiente 1, di forma quadrangolare misura circa m 4 x m 3,47. Interamente ricavato nel banco tufaceo, con un ambiente voltato a botte (h. 2,5m circa), presenta a sud e ad ovest delle ampie nicchie annunciate da archi.


Ambiente 2, 2A e 2B


Questo ambiente comunica col primo attraverso un comodo passaggio a quota pavimentale perlopiù pari. Vi si accede da un comodo varco: la larghezza massima misura circa metri 2,70 e la lunghezza massima è di m 4,97. Lungo il lato settentrionale esso presenta una scala che introduce a due più piccoli ambienti (2A, e 2B), interamente ingombrati da terreno di risulta, nerastro, piuttosto soffice. I due ambienti si sviluppano a quota inferiore di circa 1 metro rispetto al piano di calpestìo, costituito da banco roccioso.


Dall’Ambiente 2 si accede all’ambiente 2A, mediante la scalinata sopracitata. Questo spazio, evidentemente adibito a discarica non è stato rimaneggiato oltre un certo momento cronologico, apparendo in questo senso un butto sigillato da terreno scuro e sciolto frammisto ad altri numerosi frammenti ossei (animali) e cospicui frammenti di ceramica comune


Ambiente 3


E’ attiguo all’Amb.2, ha pianta quadrangolare ed ha pareti alte e costituite da calcarenite con evidenti segni di erosione carsica. Di fronte all’ingresso dall’Ambiente 2, ve ne un secondo a nord, che mette in comunicazione con l’Ambiente 4. A nord-ovest del vano, al centro della parete, un’apertura ad arco immette nel vasto ambiente 3°. La soglia è caratterizzata da tre gradini; a ridosso dell’arco, su entrambi i lati, a partire dal pavimento, sono ubicate due probabili cisterne. Una, rettangolare, è posta subito sotto un affresco murario raffigurante una Madonna con Bambino, del quale sono visibili solo pochi lacerti colorati di rosso e di blu. Sul lato lungo della cista, vi è un’apertura rettangolare, allungata, ottenuta sulla parete calcarenitica divisoria con l’Amb.2.


Ambiente 3A


Tale ambiente risulta essere un prolungamento in estensione dell’ambiente 3. Tuttavia esso si estende ad una quota inferiore, circa un metro più in basso rispetto al pavimento roccioso, irregolare ed in lieve pendenza che caratterizza il piano di calpestìo dell’ambiente 3. La soglia presenta tre gradini interamente ottenuti nella calcarenite che consentono di accedere ad un ambiente rettangolare il cui pavimento è frequentemente interrotto da ciste rettangolari di varia dimensione e profondità, le più grandi delle quali sono ubicate sia lungo il lato sud occidentale, che meridionale dell’ambiente e sono tagliate da pilastri/contrafforti di dimensioni considerevoli, evidentemente apposti in epoca moderna. Tali pilastri in blocchi di tufo legati da intonaco moderno, ostruiscono due filari di archi scavati nel banco che all’interno di questo ambiente definiscono tre presumibili “navate”. Il pavimento è costellato da numerose buche di palo la cui datazione non è possibile indicare allo stato attuale. Non è possibile escludere che l’utilizzo di questa infrastruttura e delle altre ciste presenti nell’ambiente e scavate nel suolo, sia legato a pratiche cultuali-religiose come suggerito dalla stessa pianta e dall’affresco impostato sull’uscio dell’ambiente. Di questo affresco, resta un lacerto molto frammentario con tracce di dipintura rosse e blu; sembrerebbe illustrare una Madonna con Bambino.


Ambiente 4


Questo ambiente, a pianta quadrangolare, comunica con l’Ambiente 3A ed è in asse con i precedenti ambienti, i cui accessi si dislocano in direzione e/w. Anch’esso si estende ad una quota inferiore (circa cm 50) rispetto al gradino di ingresso. Immediatamente davanti all’uscio, si leggono i chiari segni dell’attività estrattiva cui il banco calcarenitico, in questo caso pavimentale, era sottoposto in età contemporanea o in tutta verosimiglianza  in età storica. Sono   presenti, infatti le incisioni apposte per lo stacco di blocchi regolari utili all’edificazione degli elevati. L’ambiente 4 è delimitato a nord da un pilastro/contrafforte moderna, mentre a sud presenta pareti interamente calcarenitiche, costellate da nicchie ovaloidi e di forma irregolare. Nello spigolo sudorientale dell’ambiente, definita da un cordolo di calcarenite in rilievo sporgente circa cm 20 dal piano di calpestìo, è ubicata una cisterna quadrangolare (cm 140 x cm 180 circa x cm 120 di profondità) le cui pareti appaiono lisciate e probabilmente intonacate o impermeabilizzate con la calce.


Ambiente 5 e 5A


L’ambiente 5 ha pianta quadrangolare. Vi si accede dal precedente ambiente attraverso un’ampia apertura definita da un muro di tompagno edificato in età moderna con blocchi di tufo regolari, che poggia  su una parete calcarenitica e raggiunge in altezza la volta dell’ambiente ipogeo.


Di fronte a questo accesso si intercetta, ad una quota superiore di cm 120 circa, un ambiente con ampia apertura ad arco profondo circa cm 140 ed ampio oltre due metri. Questo ambiente è denominato “5A”: nello spigolo nord-orientale è ubicata una cista/nicchia poligonale scavata nel banco tufaceo. Voltato a botte, presenta pareti realizzate con blocchi di tufo omogenei, legati da calce chiara; le pareti di questo ambiente si presentano annerite lungo i primi filari di tufi, a partire dal basso; si leggono sul piano dell’ambiente 5A tracce di incisioni


Ambiente 6, 6A e 6B


L’Ambiente 6 è il più esteso di tutti gli ambienti esaminati e caratterizzato da un’ampia superficie divisibile in tre ampi vani e  si accede dall’ambiente 5.  Voltato a botte in alcuni tratti , presenta su di un lato la muratura di fondazione del Quarto Orsini di fattura seicentesca e che ospitò ai piani superiori le stanze della badessa sorella del futuro Papa Benedetto XIII.


Una scala scoperta dopo gli scavi  mette in comunicazione tali vani con la soprastante corte circondata dalle fabbriche costruite durante i secoli XVI – XVIII. in seguito adibite a scuole elementari agli inizi del Novecento. Proprio a causa di questo evento , durante i lavori di adattamento delle celle delle monache ad aule scolastiche , questi ambienti sono stati riempiti con il materiale di risulta proveniente dalle lavorazioni edili. Successivamente e più precisamente a partire dal dopoguerra sino ai primi anni Novanta del secolo scorso le aule vengono utilizzate da famiglie disagiate che trovarono ricovero in questi ambienti avendo perso la propria dimora. Gli ambienti ipogei sottostanti divennero discarica non solo di rifiuti solidi ma anche liquidi non avendo a disposizione nessuna rete fognaria che collegasse le improvvisate abitazioni con la rete pubblica.


QUADRO DEGLI INTERVENTI REALIZZATI


In questo paragrafo  vengono descritti gli interventi realizzati suddividendoli secondo gli elementi fondamentali del progetto esecutivo e con le modifiche, prescrizioni ed integrazioni apportanti dal progetto esecutivo in variante e dai sopralluoghi e visite con i Funzionari della Soprintendenza già richiamati in precedenza.


1.   Scavo stratigrafico al di sotto delle strutture ritrovate, al fine di liberare dal materiale terroso ancora presente alcuni punti degli ambienti rinvenuti;      


Gli scavi sono stati eseguiti con il metodo stratigrafico sotto la sorveglianza dell’archeologa dott.ssa Matera. Partendo dall’ambiente 2 si è proceduti con la rimozione di piccoli strati di terreno lungo il lato settentrionale. Esso presentava una scala con  alti gradini, ricavati nella stessa calcarenite che introduceva ad un altro ambiente di forma circolare parzialmente occupato da pilastroni di consolidamento effettuati durante i secoli XVIII E XIX a causa dei molteplici terremoti.. Tale ambiente è situato ad una quota più bassa sotto l’ambiente 3° dalla cui pulizia sono emersi frammenti ceramici, ossa animali sparse e di piccole dimensioni, materiale di risulta edilizio e manufatti moderni. Appare verosimile che questo spazio sia stato adibito ad area di scarico in età contemporanea, visti i numerosi frammenti di manufatti ceramici di primo novecento.che ha fatto rinvenire . I lavori di scavo e pulitura sono stati eseguiti con cura ed attenzione utilizzando esclusivamente attrezzi manuali per la rimozione ed il trasporto del materiale fino al deposito nei pressi del cantiere. Data la posizione chiusa e disagevole  del cantiere ,le operazioni di scavo si sono susseguite con un ritmo discontinuo dovute anche alla alternanza degli operatori che non riuscivano ad operare per più di due ore e per non più di due per volta.


Una volta rimosso lo strato di terreno soffice e nero che ricopriva il pavimento degli ambienti 4 e 5 sono venuti alla luce chiari segni di taglio dell’attività estrattiva nel banco calcarenitico, Sono state rinvenute  incisioni apposte per lo stacco di blocchi regolari utili all’edificazione degli elevati. Diverse sono le cisterne presenti di forma quadrangolare  interamente riempite da terreno nerastro sciolto, di riempimento, misto a scarti di laterizi moderni, a frammenti ceramici meglio descritti nella relazione a cura dell’archeologa allegata. Gli ambienti erano interamente ingombrati da terreno di scarto la cui rimozione ha restituito alcuni frammenti ceramici utilizzati  come butto fino ad età non più tarda, si direbbe, del XVI-XVII secolo.


Tra l’ambiente 5 e l’ambiente 6 è stato ritrovato un canale comunicante con un altro ambiente ipogeo, inesplorato, a questo attiguo. Tale infrastruttura, insieme all’Ambiente 5A, era completamente obliterate da terreno di risulta che occupava l’ambiente fino ad una altezza di circa cm 8 a partire dal fondo del canale escavato. Sul pavimento dell’ambiente, è evidente una piccola cista rettangolare scavata nel pavimento e ampie buche dal diametro vario, sparse la cui funzione resta ancora dubbia. Sono state messe in luce, durante la rimozione di materiale terroso misto a frammenti argillosi , due singolari elementi architettonici (cm 100xcm100x cm30) posti di piatto sul pavimento, sagomati e sul lato opposto finemente stondati e scolpiti con segni spiraliformi e strìe incise. Tali elementi sembrano potersi interpretare come sostegni di un altare evidentemente scartati e reimpiegati come basole/lastre pavimentali. Verosimilmente si possono ascrivere al ‘700, ove associabili ai sostegni degli altari minori già presenti nella chiesa di S. Sofia, attualmente visibili.  


Lo scavo invece  di un imponente e massiccio strato terroso , molto compatto e scuro posto lungo l’ampio vano quadrangolare posto a ridosso dello spigolo s-e dell’ambiente 6  ha messo in luce, un’ampia area  pavimentata ab antiquo la cui realizzazione fu forse funzionale a livellare il suolo roccioso, irregolare nella forma e nella quota. Tale livellamento è avvenuto mediante una copertura di basole antiche di forma rettangolare (cm 30 x cm 50 circa, di cui si ignora, al momento, la profondità), attualmente lasciata in vista.  


2.   DEMOLIZIONI E RIMOZIONI


Le demolizioni hanno interessato prevalentemente murature o diaframmi di esso che occupavano parte dei vani di passaggio tra un ambiente e l’altro. Blocchi di tufo erano anche disposti a pavimento a voler formare un basolato o il livellamento di un piano pavimentale. Anche in questo caso sia le demolizioni che le rimozioni dei blocchi di tufo e del terreno di risulta è stato effettuato a mano e con l’ausilio di piccoli mezzi di trasporto come secchioni e carriole. E' stato messo in atto un percorso provvisorio composto da tavolame e assi di legno in maniera da agevolare il trasporto sino al punto di raccolta del materiale rimosso dopo la cernita.


3.   pulitura, consolidamento e protezione delle pareti rocciiose rinvenute.


Il materiale


Il materiale presente nella fabbrica, come del resto nella massima  parte degli edifici del centro  storico, è il cosiddetto “tufo di Gravina”, una biocalcarenite giallastra con abbondanti fossili marini e conglomerato alla base che si cavava  sul posto, distinto in due varietà (“arrone” e “cozzarolo”), di cui la seconda con caratteristiche fisico-meccaniche senz’altro superiori e quindi preferita per manufatti di una qualche importanza, della quale infatti venne fatto uso per realizzare l’accurato apparecchio murario dell’imponente struttura difensiva.


Si tratta di una roccia sedimentaria organogena, a struttura tenera, porosa e poco cementata, costituita da depositi calcareo-arenacei e calcareo-arenaceo-argillosi,  a granulometria grossolana, massiccia e/o con irregolari accenni di stratificazione, di colore giallastro (giallo chiaro), riferibile ad un’era geologica compresa fra il Pliocene e il Pleistocene.


La lavorabilità del Tufo di Gravina ha consentito di ricavarne agevolmente blocchi regolari che, sbozzati in cava, venivano quindi lavorati a piè d’opera.


Del materiale estratto veniva utilizzato tutto: conci squadrati per la costruzione di muri e volte; elementi irregolari per il rinfianco delle stesse; scaglie di pietra, prodotto della lavorazione e del taglio del tufo, insieme alla malta o alla terra, per il riempimento delle murature a sacco; polvere di tufo come inerte nella preparazione delle malte. I conci venivano selezionati per dimensioni e peso (non superiore a 50 kg) in modo da facilitarne il trasporto e la messa in opera.


Differenze di consistenza e granulometria sono riscontrabili tra i conci di tufo di una stessa parete, dove figurano conci compatti e resistenti accanto ad altri degradati ed erosi, in ragione appunto delle caratteristiche disomogenee del materiale di cava.


INTERVENTI CONSERVATIVI


Gli interventi per la conservazione dei materiali sono stati orientati alla massima tutela della loro integrità materica.


Prima di dare inizio alle lavorazioni  di pulitura e di consolidamento delle pareti rocciose si sono realizzati alcuni saggi di pulitura e restauro per individuare la corretta metodologia di intervento ;Passando all’esame specifico delle tecniche di intervento, la prima operazione effettuata sul paramento esterno è stata la “pulitura” del tufo, volta a rimuovere dalle superfici gli elementi estranei in grado di generare alterazioni del manufatto cercando di rispettare l’aspetto originario del paramento e, la patina naturale, prodotto di un lento processo di microvariazioni, che può avere anche una azione protettiva sul materiale retrostante e ne determina la facies cromatica, ne caratterizza l’effetto estetico ed è quindi una peculiarità del materiale storico; l’operazione quindi è stata condotta gradualmente in modo da non provocare alterazioni superficiali quali abrasioni e microfratture intensificandola solo in caso di quadri patologici di estrema gravità. Gli interventi di pulitura sono stati preceduti da prove, eseguite su aree ridotte e con estrema cautela per individuare e conservare ogni traccia di finitura, conservatasi sulla superficie.


Interventi di pulitura


In una prima fase il trattamento di pulitura ha rimosso essenzialmente i depositi incoerenti che non realizzano coesione o reazione con il materiale sottostante; successivamente si è intervenuti nell’asportazione dei depositi composti da sostanze che hanno stabilito un legame meccanico o chimico con la superficie muraria.


Interventi di consolidamento


I metodi di consolidamento realizzati sul banco tufaceo e sulle murature preesistenti  sono: il consolidamento superficiale; la stuccatura e sigillatura di fessure e avvallamenti ; le iniezioni e l’incollaggio delle parti staccate.


- consolidamento  superficiale


L’intervento è stato  eseguito puntualmente nelle zone maggiormente compromesse ed in maniera estesa sulle muratura di fondazione esistenti.


In ogni caso la scelta del prodotto è scaturita da prove e campionature, volte a valutare la durabilità nel tempo dei materiali usati e la loro rispondenza all’impiego cui sono destinati.


Requisiti fondamentali del prodotto sono la elevata capacità di penetrazione nelle zone carenti di legante, la resistenza chimico –fisica agli agenti atmosferici, la capacità di mantenere inalterato il colore originario del manufatto evitando l’effetto traslucido e l’ingiallimento nel tempo.


- stuccatura e sigillatura


L’esecuzione accurata delle sigillature è elemento fondamentale per la conservazione di strati superficiali, soprattutto nel caso di pietre porose come il tufo. Per tale operazione è stata considerata  la composizione della malta esistente, la sua granulometria e la sua provenienza. In base a quanto appreso dalle interviste  ai maestri muratori, la malta originaria era composta da tufina e calce miscelate in rapporto al tipo di tufina che si usava (per tufina grassa occorreva una minore quantità di calce e la malta risultante non era di ottima qualità; per tufina magra occorreva una quantità di calce maggiore e il prodotto finale aveva ottime prestazioni). L’impiego di impasti a base di grassello di calce e polveri dello stesso materiale lapideo permetteva di riancorare gli strati superficiali al nucleo del materiale lapideo, senza alterare la porosità.


L’intervento di stuccatura e sigillatura di fessure e avvallamenti ha previsto  la preventiva eliminazione, mediante piccoli scalpelli, dei giunti di malta ormai non più idonei ad assolvere la funzione di collegamento; la successiva pulitura e bagnatura con acqua demonizzata del giunto per preparare la superficie ad accogliere la nuova malta.


La stilatura è stata eseguita tramite una prima arricciatura di malta di calce idraulica e un successivo strato di finitura protettivo realizzato con grassello  di calce e sabbia di tufo, miscelato nelle proporzioni opportune ed eventualmente additivato.


In questa seconda fase è stata molto importante la scelta degli inerti in quanto da essi può dipendere l’effetto cromatico finale.


- operazioni di protezione


Trattandosi di un materiale molto tenero e erodibile, particolarmente soggetto all’azione disgregatrice degli agenti atmosferici e ai processi chimici di dissoluzione del CaCO3 e di ossidazione in grado di  provocare sensibili alterazioni delle caratteristiche fisiche e meccaniche, è stato opportuno far seguire, alle operazioni di pulitura e di eventuale consolidamento, l’intervento di protezione del paramento esterno. La sequenza di tali fasi si è resa  necessaria per effettuare un’operazione di conservazione che non abbia come obbiettivo solo il risanamento del materiale, ma garantisca anche la difesa dalle cause che hanno determinato l’insorgere dello stato patologico, elemento che va valutato nel tempo.


Requisiti essenziali di un protettivo sono l’inerzia chimica nei confronti del materiale lapideo di base, la permeabilità al vapore acqueo, la stabilità chimica rispetto agli agenti inquinanti, l’influenza minima sulle caratteristiche cromatiche della superficie lapidea di applicazione, la solubilità in solventi organici per consentire la rimozione nel corso di successivi interventi di manutenzione. La scelta è poi ricaduta su un  prodotto consolidante ECO-COMPATIBILE individuato a seguito di apposite prove comparate per accertarne la effettiva compatibilità e l'efficacia a base di a base di esteri etilici dell’acido silicico ad alto potere diffusivo;


- aggiunte tecniche di integrazione muraria


Quando il degrado della superficie muraria aveva uno stato di avanzamento tale da sconsigliare operazioni di pulitura e consolidamento, si è proceduto alla sostituzione delle parti ammalorate con la tecnica dello scuci e cuci . l’intervento ha lo scopo di integrare parti di muratura assolutamente non recuperabili e non più in grado di assolvere alla loro funzione statica ripristinando la continuità della muratura e le sue capacità portanti.


Tali interventi sono stati  realizzati cercando di usare tecniche edilizie e materiali appartenenti alla tradizione costruttiva locale.


In quest’ottica l’intervento evita  di essere traumatico limitandosi a garantire la conservazione del manufatto e la sua vivibilità con operazioni minimali, puntuali e finalizzate. L’operazione di sostituzione e reintegrazione è stata eseguita quindi limitatamente alle parti gravemente ammalorate e solo se reputata strettamente necessaria per il ristabilimento della continuità della muratura.Sono stati realizzati anche interventi di consolidamento di pareti in tufo lesionate o eseguite in falso realizzando nuove murature di sostegno necessarie a contrastare le spinte provenienti dall’alto.Alcuni  interventi di consolidamento del banco tufaceo realizzati gia’ nei secoli scorsi a causa dei diversi terremoti avvenuti sono stati riscontrati durante le operazioni di scavo e rimozione del terreno a cui si sono aggiunti altri interventi di consolidamento effettuati nel 2007  poiché parte del chiostro soprastante risultava costruito in falso.


Infine è stato eseguito  un intervento di consolidamento con applicazione di prodotto riaggregante applicato a pennello fino a rifiuto del  pavimento in mazzaro rinvenuti nell’amb.6 dopo intervento di pulitura generalizzato e realizzato utilizzando spazzole morbide ed acqua con additivi. A pavimento perfettamente asciutto è stato effettuato un trattamento protettivo a base di prodotti compatibili.


4.   REALIZZAZIONI OPERE IN FERRO


Durante i lavori del 2007 è stato possibile raccordare fisicamente alcuni degli ambienti ipogei rinvenuti ai livelli superiori mediante la realizzazione di una scala e passerella in metallo, garantendo un accesso più agile e sicuro, in vista di una futura apertura e fruizione al pubblico. Il progetto approvato prevedeva la realizzazione delle passerelle mancanti e altre scale in acciaio utili al superamento dei dislivelli tra le varie quote dei pavimenti.


Sia le scale che le passerelle in acciaio sono tali da proporsi nei termini prima accennati: conservazione e aggiunta ricompresi nel binomio antico-nuovo non solo in termini di materiali antichi e nuovi, ma anche di cromatismi preesistenti da conservare e aggiunte che devono coniugarsi a tali preesistenze .


Sono stati salvaguardati tutti i segni presenti sul piano pavimentale del banco tufaceo facendo poggiare la passerella su “muretti” in tufo alti mediamente 50 cm. in modo da lasciare al visitore intravedere tra le maglie del lastre in “orsogrill” tutti i segni di escavazione presenti.


La tipologia dei manufatti metallici eseguiti è identica a quella già realizzata in acciaio zincato.


5.   IMPIANTO DI ILLUMINAZIONE


Per quanto riguarda gli impianti si deve considerare che  si possono ottenere risultati anche stupefacenti se solo si propone un progetto degl’impianti che utilizza i soli parametri quantitativi senza tener in debito conto quelli qualitativi che, nel caso in oggetto, discendono irrinunciabilmente dai principi delle teorie restaurative e della conservazione ed anche dal carattere della fabbrica su cui si interviene.


Il come si materializzino i principi del “minimo intervento”, della “reversibilità” o della “compatibilità” - tralasciando, per non essere prolissi, gli altri - è questione importantissima che deve far confluire tutti gli aspetti del progetto, architettonici, impiantistici e consolidativi in una visione e finalità unitaria, quella della conservazione, capace di ricomprenderli senza limitazioni.


Pertanto, ciò che si è realizzato per le reti degl’impianti è relazionato e strettamente dipendente dai principi innanzi esposti.


L’impianto elettrico è stato realizzato sfruttando i cosciali della passerella, facendo passare le linee e i cavidotti sotto gli angolari di appoggio dei grigliati così da ottenere la doppia funzione di semplice manutenzione e di salvaguardia del bene tutelato.


L' intervento della luce – sia naturale che artificiale – gioca in tutto ciò un ruolo di radicale importanza, in particolar modo per quel che riguarda l’interno degli ipogei  


 


6.   REALIZZAZIONE DI PIATTAFORMA DI NAVIGAZIONE A DISTANZA MEDIANTE RICORSO ALLA COMPUTER GRAFICA  PER LA VALORIZZAZIONE E FRUIZIONE DEL SITO.


L’attuale progetto  propone pertanto una pagina web con un sistema digitale integrato di valorizzazione del bene culturale  basato su di modello interattivo ( virtual tour ) degli ipogei del Monastero di S.Sofia  ( https://santa.sofia.comune.gravina.ba.it )


Vista la non accessibilità ai portatori di handicap del sito, questo strumento diventa utile anche sia per la visita che per la consultazione dei dati storici .


All’interno della pagina web il fruitore ha la possibilità di navigare liberamente ed interagire con i singoli elementi ivi inseriti per accedere alle schede di contenuto; è inoltre possibile visitare uno spazio ideale che musealizza, sotto forma digitale, alcuni elementi di particolare interesse per il sito ipogeico. La possibilità di fruire di una visita narrativa, attraverso il virtual tour  , consente anche agli utenti portatori di handicap la scoperta libera, di avere un accesso guidato alla conoscenza del mondo antico che si trova sotto in Monastero.


Le schede informative prevedono una suddivisione nelle tematiche principali che le legheranno al percorso precedentemente elencato, ed un’accurata metadatazione.


Per ogni scheda è previsto l’accesso, laddove possibile, sia a collegamenti transmediali volti a lasciare l’utenza libera di scegliere il canale di fruizione ad essa più congeniale, sia a collegamenti esterni all’interattivo che possono affrontare contenuti attinenti . 


 


 


 

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      PREMESSA L’ex Monastero di Santa Sofia è stato assoggettato a due distinti interventi di recupero tecnico- funzionale, individuato come primo e secondo lotto, già conclusi; Durante i lavori del primo stralcio fu rinvenuto un complesso ipogeo, fino ad allora sconosciuto, articolato in una serie di ambienti tutti scavati nella roccia i quali, per i loro caratteri morfologici, sembrano essere legati a contesti funerari tardo-antichi. Con i lavori già eseguiti...

    Project details
    • Year 2019
    • Work started in 2018
    • Work finished in 2019
    • Main structure Masonry
    • Client COMUNE DI GRAVINA IN PUGLIA
    • Contractor IMPRESA DENTICO - BARI
    • Status Completed works
    • Type Museums / Archaeological Areas / Monasteries / Recovery/Restoration of Historic Buildings / Structural Consolidation / Building Recovery and Renewal
    Archilovers On Instagram