Restauro dell'interrato di Villa Caldogno - Andrea Palladio 1545 - | Diego Peruzzo

Collaborazione al progetto Arch. Alessandro Cavaleri Caldogno / Italy / 2016

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INCANALARE L’ACQUA, INCANALARE LA LUCE.


“L’organizzazione planimetrica di Villa Caldogno, imperniata sulla sala, distribuisce un discorso semplice e ordinato……..volutamente allentato e disteso, risponde alla stesura pacata dell’involucro esterno. (……………………) Vedansi i modi di confronto istituiti con l’ambiente esterno, che si limitano ad incanalare la circolazione luminosa entro le coordinate dell’asse mediano, dall’intensificazione chiaroscurale del varco triarcuato dell’ingresso, ma estesa alla dimensione della loggia attraverso la sala coperta dal bellissimo soffitto ligneo, alla liberazione dei fori della semplice facciata posteriore” (L. Puppi, op. cit.).


O come afferma Francois Cheng in “Cinque meditazioni sulla bellezza” (Torino, 2007, p.75) “Quando si dice che c’è una bella luce, è perché fa brillare le cose che illumina: un cielo più azzurro, gli alberi più verdi, i fiori più iridescenti, le pareti più dorate, i volti più splendenti. La luce è bella solo se trova un luogo dove incanalarsi”.


Palladio incanala la luce e per fare questo fa “CANGIARE LE SIMMETRIE” come osservava il Guarini: “Converrà dunque al sentimento di Vitruvio per accomodarsi alla necessità del luogo cangiare le simmetrie con aggiungere e detrarre qualche parte alle giuste misure, acciochè venga in chiaro quanto possa levarne per accomodarsi al sito senza sconcerto”.


Mi fa tremare questa coincidenza formale tra la luce aperta sul frontone della villa e la “bocca” del pozzo trovato nel mezzo della cantina originale ad ispezionare l’acqua incanalata per gli “usi in villa”.


Ortogonali fra di loro, luce e acqua, sono il cielo e la terra dentro il RITO dell’architettura.


 


 “Se dovessi parlare oggi dell’architettura direi che è piuttosto un rito che una creatività; perché conosco  pienamente le amarezze e il conforto del rito. Il rito ci da un conforto della continuità, della ripetizione, ci costringe a dimenticanze oblique, perché non potendosi evolvere, ogni cambiamento sarebbe la distruzione” (A. Rossi, “Autobiografia scientifica”).


Una notte ho una “folgorazione”, la mattina vado in cantiere, misuro la distanza dell’”occhio della terra” dal perimetro longitudinale della villa: m. 10,65.


Poi misuro la distanza dallo spigolo in basso dell’”occhio del cielo” alla quota del piano nobile della villa: m. 10,62.


Punto il compasso sulla soglia del piano nobile e con un quarto di cerchio arrivo alla proiezione verticale del pozzetto del cinquecento sul pavimento dello stesso piano e ne esce la “traiettoria” di un volo arcuato che si conficca nella terra.


Capisco che l’architettura del Palladio è prima di tutto RITO e l’”angelo nuovo” ne da ogni volta l’inizio, prima di Benjamin, prima di Plecnik.


“Bisogna aver già udito la lotta di Loos contro il drago “ornamento”, bisogna aver udito l’esperanto astrale delle figure di Scheerbart o aver scorto l’angelo nuovo” di Klee, che preferirebbe liberare gli uomini prendendo loro quello che hanno anziché renderli felici donando, per comprendere un’umanità che si afferma nella distruzione” (W. Benjamin, “Avanguardia e rivoluzione”, Torino, 1973).


 


“E’ difficile, come uomo, avere tatto. Ed è ancora più difficile per un architetto. Il vostro lavoro non sarà diverso da quello di una serva e voi stessi le assomiglierete. Arriva l’era sociale, l’era dell’amore verso il prossimo, l’era dell’eguaglianza. Voi non costruirete più palazzi. Tutta questa popolarità, questo lavorare in pubblico, tutto ciò non vale nulla. Solo quando l’uomo avverte il “fruscio delle ali dell’angelo eterno”, solo allora egli possiede quello che nessuno gli può togliere, per questo l’arte è una cosa così terribilmente meravigliosa” (J. Plecnik).


 


Entriamo nel salone del piano nobile di Villa Caldogno e guardiamo l’affresco del Fasolo a destra e vedremo comparire il vero volto del Palladio, messo un po’ in disparte, tra i famigli del Conte, quasi schiacciato dall’enorme gamba del telamone che sorregge il finto cornicione interno.


Palladio ha sulla spalla destra una enorme mano, ma di chi è? Quella grande mano è per tenerlo in terra o per sollevarlo in volo?


 


 


Nel presentare Palladio Giangiorgio Trissino scrive nell’”Italia liberata dai Goti”:


“Si pose due grand’ali in su le braccia


e due minor presso l’estreme piante,


e scese in terra giù, come un baleno.


A la cui scesa, le compresse nebbie


si dilataro, e serenossi il cielo….”

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    Project details
    • Year 2016
    • Work started in 2015
    • Work finished in 2016
    • Status Completed works
    • Type Monuments / Recovery/Restoration of Historic Buildings
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