VEMApark - Il parco e la residenza delle risorse

Biennale Venezia 2006, Padiglione italiano - mostra “La Città Nuova. Italia-y-2026. Invito a Vema” Venice / Italy / 2006

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Il parco per il futuro, punto scoperto e sensibile di un corpo malato, ormai compresso e soffocato dall’armatura infrastrutturale, cementizia e metallica delle città diffuse, avrà il compito di trasmettere questa agonia planetaria: luogo – non solo simbolico – di scambio fra uomo e suolo, esso accoglierà le risorse residue e si configurerà come “vivaio delle disponibilità”: biomassa, energia geotermica, processi chimico, fisici e spirituali/percettivi, dove rigenerare le risorse esistenziali attraverso input sensoriali.

L’area del parco sarà contenuta in un invaso ribassato rispetto alla città costituendosi come corridoio ecologico e risultando protetta dal rumore e dai pericoli. Esso sarà il grande bosco della città e funzionerà come riserva di alberi, visti come organismi in grado di riciclare l’anidride carbonica prodotta. Lo scarto di questa lavorazione torna come possibilità, con l’ausilio di energia solare, compost urbano e acque riciclate, rigenerandosi nella produzione di materia (ridistribuita sotto forma di ossigeno e vegetazione da vivaio). Il risultato è la costruzione di un sistema aperto come concepito dalle leggi termodinamiche. Il ruolo dell’uomo risulterà quindi attivo superando gli attuali parchi a tema, dove il visitatore è investito da impulsi e indotto a compiere gesti/azioni/esperienze preprogrammate.

Accanto alla coltivazione di colza per la produzione di bio-disel e alla lavorazione degli scarti derivanti dalla produzione agricola per la generazione di calore, al centro del progetto si è messo a punto un sistema combinato di filtri a secco e successivi bacini di biofitodepurazione. Tramite una serie di impianti di ossigenazione e sterilizzazione l’acqua confluisce in un grande bacino di raccolta che circonda un luogo sicuro per le persone sfollate o i raduni pubblici, uno spazio open-oriented, cioè “aperto all’apertura” in tutti i sensi: interculturale, multiculturale e intraculturale.

Il parco sarà vissuto come luogo in cui si stratifica la memoria, dei sentimenti e delle azioni, la cui storia riflette i comportamenti di chi lo frequenta, un “sito” in cui scoprire i reperti della nostra umanità, espletare rituali di fondazione, riti di passaggio e sincretismi sociali. L’impatto che la tecnologia ha, infatti, sulla memoria è da non sottovalutare: i supporti di memorizzazione e i loro standard continuano a mutare. Gli hard disk di oggi, come del resto quelli di 20 anni fa, non saranno più assimilabili dal sistema, con una perdita di dati e di informazioni. La memoria digitale dell’uomo è ben più labile di quella organica e culturale concretizzata dal parco.

La residenza raccoglie l’esempio di “forestazione urbana” e sottolinea il rapporto simbiotico tra l’uomo e gli altri elementi naturali e ambientali. La società si sta atomizzando: non esistono più le famiglie patriarcali, ma nuclei di persone che evolvono verso la convivenza. Nelle case di VEMA non ci saranno famiglie come noi le conosciamo, ma aggregazioni di individui più o meno stabili legati dall’esigenze condivise di soddisfare bisogni comuni. Le abitazioni fungeranno da “tane” legate ad un proprio territorio circoscritto. L’isolato si configurerà come un villaggio nella città, in cui raggiungere un equilibrio tra l’esigenza dello stare insieme e quella dell’isolarsi, interazione a livello territoriale degli istinti biologici. Ogni individuo avrà il suo spazio, ma sarà legato nelle attività di quartiere. I confini dello spazio pubblico si dilateranno sempre più nello spazio “immateriale” del virtuale e, allo stesso tempo, sarà possibile una maggiore mobilità fisica grazie al potenziamento dei trasporti. Vi sarà una nuova forma di nomadismo: i centri urbani cresceranno, ma saranno collegati in maniera sempre più stretta e soprattutto velocemente.

Cambia allora la percezione delle distanze e del territorio: quello che prima era un outback urbano, diviene ora nuovo paradigma di confronto con l’alterità, in senso spaziale, un luogo più teorico che fisico dove vedere all’opera la globalizzazione. Tali cambiamenti non coincideranno con una rivoluzione radicale della struttura dello spazio privato se non nell’ottica della sostenibilità ambientale e nella ricerca di tecnologie costruttive che implichino una produzione non finalizzata a sé stessa ma orientata al benessere della collettività.

Un modus operandi fondato sul principio che ogni attività debba alimentarne un’altra senza scarti e rifiuti grazie all’uso di energie che si rinnovano continuamente. Le abitazioni e gli spazi per il lavoro saranno perciò scavati nel terreno e si affacceranno su pozzi di luce con la funzione di giardino o di piazze pubbliche. Il tetto verde sovrastante e l’inerzia termica del terreno contribuiranno al mantenimento del benessere igrotermico. Gli spazi interrati si dispongono a partire dall’asse che divide idealmente l’isolato. Tale asse prende la forma di un strada, garantisce la connessione fisica ed assume la funzione access point alla rete del virtuale. Ovunque e dovunque, sarà possibile accedere alla rete e comunicare con gli altri, trasmettere o ricevere dati in tempo reale. L’isolato si configura, quindi, come gli hub della teoria delle reti, e fornisce collegamenti rapidi ed efficienti tra elementi distanti, e distinti, della popolazione. Il sistema dei percorsi e degli scavi generano un disegno che caratterizzerà il paesaggio alla quota di campagna strutturando il territorio. Vengono utilizzate tecniche costruttive tradizionali riconoscendo a esse il ruolo di conoscenze innovative e avanzate, che potenziano le risorse interne, la gestione locale e la compenetrazione tra valori tecnici, etici ed estetici.
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