Consolidamento, Ripristino e Manutenzione Straordinaria di un ex Lanificio e annessi in loc. Rasiglia di Foligno | giovanni tonti

Foligno / Italy / 2015

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Il ricordo di episodi di vita vissuti nell’infanzia e scolpiti nella mente, a Rasiglia, in anni in cui la sensazione di esistere non appariva nella sua piena e maturata coscienza e sacrifici sopportati stoicamente per  la volontà  di crescere alimentavano in tutti noi e soprattutto in quei residenti, dediti al duro lavoro dei campi, una vita alquanto  parca, ha prodotto nel tempo e nel rimpianto di un alloggio a suo tempo alienato per necessità, il desiderio di possedere  un piccolo spazio protetto  da mura, un qualcosa di costruito, possibilmente all’interno del paese e da considerare come un dono a se stessi; un ritrovo o forse meglio un rifugio che, oltre consentire intimità, potesse confermare quel senso di appartenenza, di continuità, di stretto ed affettuoso legame tra il luogo e la propria storia. 


 


***La casa dell’infanzia fu alienata per le necessità della famiglia che si trasferì in città per attendere a quell’impegno  morale cui i genitori non si sono mai sottratti  e che li ha  guidati  nella difficile avventura di far crescere la prole garantendole, attraverso la scuola, quel grado di apprendimento culturale e quelle esperienze tecnico pratiche che potessero in futuro offrire ad essa occasioni di lavoro e un ruolo, pur modesto,  nella società.


 …………….


 


Rasiglia “Uno spazio ritrovato” 


 Progetto di recupero di manufatti adibiti ad attività produttive: Ex Lanificio – Centralina Elettrica - Accessorio.


  (appunti)


L’esperienza che intendiamo partecipare ai  lettori di questo scritto,…


… quasi  un desiderio intimo per ottenere la condivisione del progetto, vuole proporsi come un’occasione di dibattito aperto intorno a quelle tematiche che si occupano della trasformazione-gestione degli insediamenti umani con particolare riguardo per le realtà minori. Sparse per il territorio, esse sembrano aver ridotto il loro legame strutturale-funzionale con la città capoluogo per passare le consegne ai fenomeni di abbandono, con relativo rischio di depauperamento dei valori d’ambiente e di popolo che la storia trascorsa aveva caratterizzato.


Ci siamo proposti di trattare  argomenti ormai ritenuti tipici ed usuali, azzardando  timide proposte, preludio ad auspicabili iniziative, associabili al luogo, le quali dovrebbero concorrere a formulare, a diritto, principi e metodi applicabili  alla dinamica trasformazione di questo ramo di territorio in cammino verso l’obsolescenza, in cui non solo possibili nuove micro economie ma anche la cultura e le arti tradizionali possano rinvenire una loro precisa e legittima collocazione.


Siamo avvezzi come operatori allo svolgimento partecipato di questi compiti, pur in piccole e talvolta insignificanti o poco incisive proposizioni in ambito sociale; siamo assuefatti alle complicazioni ingiustificate  dei procedimenti che ci vengono imposti rendendoci spesso demotivati. Ci riteniamo infatti, e sovente, non legittimati ad agire con la libertà di pensiero necessaria, costretti  il più delle volte  a rendere banale ogni gesto,  restando attoniti a contemplare lo svolgimento delle cose che assai spesso dimostrano di aver dimenticato quei valori con i quali  la storia stessa, con dovizia di esempi sparsi un po’ ovunque, ha nobilitato nel tempo le città italiane.


Si tratta di un progetto di recupero e riqualificazione di uno “spazio ritrovato” (n. 1). E’ stato solo un  tentativo, una prova, meglio il risultato di una scelta volontaria, un minuscolo pegno morale rivolto alle arti antiche ed all’architettura, non per velleitari intenti dimostrativi, ma solo per quella voglia di indagare, di operare, per far crescere o meglio rinvenire in se stessi quella tensione, non solo dialettica, ma di semplice azione per la difesa del lavoro (per se stessi e per propri simili).


Si è voluto porre in campo quello che la volontà operativa di un paese ha inteso difendere, in ricordo della storia del luogo e della  gente che vi risiede, partendo dalla conferma delle proprie tradizioni come stimolazione al progresso, cercando di ritrovare nella socializzazione un indiretto motivo per immaginare, potenziandola, l’idea di un futuro che possa rappresentare, nell’obiettivo di una rinascita, il senso stesso di un ambito e reale sviluppo che contempli il lavoro e la produttività e quindi la conferma per il tempo a venire della qualità che il paese può continuare a proporre anche in una specie di missione educativa.


 Nota


n.1- Il termine di ”spazio ritrovato” è stato suggerito dalla Dott.ssa  Marianna Vaccari, esperta di antiche macchine e tecniche di lavoro nelle attività manifatturiere, operatrice presso la Soprintendenza dei beni culturali di Roma e grande  sostenitrice delle iniziative su Rasiglia


  


L’edificio al momento dell’acquisto (e come già accennato) risultava in condizioni di estrema precarietà, mostrando anche crescenti criticità strutturali evidenziate dal degrado dei materiali costruttivi ed aggravate da una diffusa umidità; il tetto era prossimo al collasso definitivo;  lo spazio occupato dai canali era stato sommerso dalla vegetazione spontanea le cui radici, alimentate dalle infiltrazioni di acqua, avevano completamente aggredito le malte rendendole inconsistenti.


L’edificio  risultava profondamente leso anche  nelle sue componenti non strutturali;  i macchinari in disuso presenti all’interno, in parte erano stati erosi dall’ossidazione; solo in parte risultavano sufficientemente  conservati in quanto  ancora protetti nei cinematismi da uno spesso strato di grasso usato a suo tempo per la lubrificazione.


Nei ritagli di tempo che l’attività frenetica e talvolta insostenibile che il  modo e l’impegno di vivere spesso ci impongono, anche nel proprio ambito professionale, furono condotti i primi studi di sistemazione  accompagnati da molteplici idee progettuali di  recupero nell’ottica di una sua possibile restituzione a nuove funzioni.


L’obiettivo  principale, coltivato per tutto il tempo nel più segreto recesso della mente, sembrava fin dall’ora essere quello di poter iniziare  un  vero e proprio dialogo con questi manufatti, non solo ideale ma anche operativo, finalizzato a costruire un rapporto di piena intimità con il paese di Rasiglia.


 


Possedere la chiave di un edificio o più semplicemente di un locale, oltre alla certezza della possibile ospitalità, accresce  il senso di appartenenza al luogo, produce la voglia di stare, di partecipare, di operare; è una sensazione questa che sembra attualmente pervadere, non solo chi è dedito all’arte di costruire,  ma anche l’intero paese. Esso, infatti, usufruisce realmente di  momenti di una leale e costante partecipazione sia da parte di  chi ancora vi abita che da parte di chi, ormai residente altrove, sente il vivo desiderio di rapportarsi con esso.


Desiderio che sembra attrarre molta gioventù la quale, con ampia soddisfazione per chi osserva, esprime, crescendo, una reale ed accesa passione per il paese e la sua storia con ottimi intenti in termini di aggregazione, rinnovamento, ivi compresa qualche  pausa per sognare. 


La coscienza  di poter contare anche per tempi limitati, sulla sicura ospitalità, per il possesso di quattro mura dove immaginare un ricovero, possibilmente munito dei servizi elementari, a  suffragio di quanto già premesso,  costituisce la più sicura e sincera dimostrazione dell’accoglienza da parte del paese. 


Sono stati elaborati alcuni modesti studi per un progetto di ristrutturazione, finalizzato di fatto a primi interventi di messa in sicurezza, che le vicende future e l’occasione di perseguire un obiettivo più ampio, hanno fatto modificare.


In seguito, infatti, esattamente allo scadere dell’anno 2005, gli eredi del vecchio proprietario, inseguendone anch’essi l’alienazione, hanno mosso nei nostri confronti l’invito ad acquistare la struttura edilizia che un tempo era adibita a lanificio  ed alla quale era annesso un piccolo orto con pollaio; ciò forse come conseguenza della difficoltà di allora di immettere sul mercato l’immobile ed ottenerne un riscontro, vista la mancanza di occasioni o interessi specifici  da parte di privati o per le ovvie difficoltà  di cederlo ad enti per possibili attività pubbliche.


La proposta fu accolta e la proprietà fu acquisita.


L’edificio principale era in condizioni di totale fatiscenza; la pioggia,  penetrando attraverso il solaio che forma la copertura piana, non impermeabilizzato, aveva causato un completo deterioramento sia delle strutture portanti, costituite da murature in mattoni e volterrane in ferro e laterizio, che delle  suppellettili presenti all’interno.


La struttura del pollaio era pericolante; in poco tempo, infatti,  aumentando il deterioramento causato dagli agenti atmosferici ed altre cause naturali, è parzialmente crollata.


 Dei macchinari mobili che servivano per le varie lavorazioni ne erano rimasti due: l’uno chiamato “lupa” che serviva per la cardatura della lana, l’altro, composto da una specie di grande baule contenente una ventola,  che serviva per l’asciugatura delle matasse.  Entrambi i macchinari sono risultati ben conservati; essi erano ubicati al piano primo, venivano azionati da pulegge   il cui movimento veniva trasmesso ad esse mediante cinghie dall’albero di trasmissione presente nel locale al piano terra.


 


 L’Architettura


 Le principali fasi progettuali sono state  accompagnate da una puntuale partecipazione da parte degli organi di tutela che con la d.l. hanno  stabilito un rapporto di pieno scambio culturale conferendo continuità sia ai ragionamenti di base che alle scelte formali e tecniche definitive.


Il progetto di fattibilità generale, configurando principalmente lavori di consolidamento e  di restauro conservativo, fu sottoposto ad uno stretto confronto con la Soprintendenza alla quale furono esposti, inizialmente in maniera informale, i criteri e le metodologie di intervento ancor prima che venisse apposto il vincolo di cui al D.Lgs. n. 42/2004.


L’edificio, sebbene alquanto attraente per il rapporto di vicinanza e compenetrazione con l’acqua, non vanta particolari qualità per emergenze edilizie e/o costruttive dirompenti né mostra una compostezza di episodi semantici propri delle architetture dominanti, né è segnato da tratti particolarmente articolati che sottendano equilibri formali tali da permettere confronti con quelle altre manifestazioni architettoniche   che hanno reso onore all’Italia del passato. La sua concezione è stata e resta circoscritta nel campo della semplicità; non è una struttura che giganteggia sulle altre, non si sovrappone indebitamente su tessuti stratificati di culture  e sapienze, non simboleggia un trionfo né una conquista di libertà nello spazio gravitazionale del minuscolo luogo che la contiene; non fissa miraggi lontani né interessi speculativi, non si pregia di nobiltà di pensieri creativi nella ricerca ontologica del suo essere, del suo principio; non è niente altro che un piccolo “insieme proprio” di pochi muri, calati entro gli spazi minimi che il luogo ha disegnato guidato dal percorrere perenne delle acque sorgive; acque, eternamente limpide e fresche,  imbrigliate dalla interessata volontà dell’uomo che ne ha succhiato le energie ... che ne ha suggellato, in modo definitivo, un’immagine univoca a rappresentare nella forma il suo ruolo: di edificio funzionale al lavoro.


Chi l’ha eretta, manualmente si intende, non ha inteso  costruire un simbolo disegnato dalle filosofie del comporre  né dalla piena coscienza del fare architettura emergente, di grido...come servizievole  prestazione per un potente o come un puro e disinteressato gioco di fantasie... neanche come sintesi di articolati miraggi funzionali… o altro.


La struttura nacque per merito di due esigue volontà a confronto; il Committente, bisognoso di uno spazio in cui collocare il prosieguo o il rinnovamento di una attività che si trascinava da tempi remoti, indecifrabili, presupposto per vivere ed imprendere; l’Esecutore, forse anche analfabeta, al quale la società di quel tempo aveva insegnato l’arte dell’edificare con i pochi strumenti (manuali) di un mestiere antico; egli ha atteso alla realizzazione dell’opera mosso dalla normale esigenza di lavorare per vivere e forse senza una coscienza lungimirante proiettata verso il proprio futuro…


... La nostra apparente, meglio innocua, idealizzazione della minuscola opera architettonica non è altro che la prova della deformazione professionale che si subisce quando, forse con un tocco di infantile dilettantismo, si vuole entrare nel ruolo di direttore dei lavori con pieni poteri decisionali, quasi un direttore d’orchestra che guida elementi musicali che  non rispondono con suoni ma che mandano solo segnali immaginari nella mente di chi guida... ...è un po’come fabbricarsi dell’“architettura” da soli, per se stessi e le prescrizioni o i  consigli che provengono dall’esterno e che vengono accolti come un gesto di  partecipazione attiva costituiscono un supporto notevole, quasi un riscatto da quell’infantilismo che talvolta ci viene imposto dal sistema sociale...


La struttura complessiva del manufatto è semplicissima, quasi povera; sarebbe ancora meno significativa se essa fosse sradicata  dal luogo, imballata e posizionata altrove.


 Le stesse componenti edilizie di per sé non vantano particolari valori sotto il profilo tecnico: muratura tradizionale in pietra del luogo per la parte più antica, muratura in mattoni rossi per la parte  più recente che costituì un primo ampliamento, altri interventi sempre in mattoni  per la parte che completava l’intervento: una composizione funzionale piuttosto semplice, persino debole se si valutano le  componenti strutturali che dovrebbero fronteggiare azioni esterne comprese le accelerazioni indotte da eventi naturali …. come il sisma…. 


 Il gesto   che ci fa definire la struttura dell’ex lanificio come episodio di architettura o ancor di più il desiderio che essa venga percepita o accolta dagli altri come tale, non nascono dalla coscienza che quel compendio di muri, di aperture, di piccole manie progettuali, di ovvie operazioni di cantiere, di rappresentazioni cartacee o digitali, ....possa assurgere  ad un valore simbolico che voglia far capolino nel mondo indefinibile della cultura  o nel terreno instabile dell’arte... esse sembrano voler


innescare un dialogo silenzioso con chi si presta ad effettuare su di esse  riflessioni progettuali, ragionamenti tecnici; l’architettura nasce non nella realtà, non nella forma che già esiste contenuta  nella sua elementare sintesi plastica, non nella soluzione che si prefigge... l’arch. è forse solo immaginaria, è un’arch. di pensiero che si forma all’istante mentre i sensi, coordinati dal dirompente flusso dell’acqua, dal  rumore che li avvolge rinvengono nella forma di una pietra, nella geometria di un mattone, nella stessa patina di alghe che si formano nei ristagni...la sintesi di un intero progetto... l’arch. è stare lì, è sostare, osservare, impastare calce e sabbia, disporre una pietra a fianco di un’altra, è lavarsi le mani nell’acqua fresca, è fermarsi a parlare o spiegare: l’arch. è nel pensiero, è nel confronto tra gli orizzonti lontani agognati e non raggiunti e la realtà più minuta, più tangibile, più fisica ... del ritorno alla terra, alle proprie origini, alle rocce affioranti in prossimità della casa dove il murare con il fango era un gioco (con gli amici del tempo e di sempre: Angelo, Ernesto, Mario…) e l’acqua era la cultura, era la rappresentazione dell’energia quando anche  l’ossessione per le turbine  disturbavano, a notte,  i sogni dell’infanzia ....


 


 Varie (appunti del 2015)


 Si stampano libri che raccontano l’arte, la scienza, la poesia, che trattano l’etica, che descrivono fantasie, che indagano l’infinito…;


…Scrittori e poeti ci inviano messaggi composti di similitudini, di metafore… ci comunicano con le loro evoluzioni sintattiche una bellezza intima celata nelle cose, anche laddove lo stesso racconto affronti le avversioni o la drammaticità di un destino…avverso…


altri autori indefiniti si concentrano su cose   legate alla realtà più corporea e tangibile  del vivere il giorno, su masse di materia terrestre minuscole o grandissime; altri, distanti per altitudine da noi, si soffermano   a cercare le essenze di vita entro i confini dell’essere…. altri si spingono più in là alla ricerca dell’eternità o del nulla…


… noi desideriamo  scrivere intorno ad una piccola esperienza di lavoro, che si è concretizzata per ora solo in parte, un modesto intervento nella realtà fisica di un luogo; un tentativo di recupero-restauro osservato da più angolazioni, sostenuto da più apporti culturali e tecnici; ciò dopo aver coordinato le pur deboli energie disponibili ed aver tentato di mettere in atto un programma composito di più espressioni, pur in campi apparentemente non commensurabili (almeno il più delle volte affrontato in modo totalmente separato).


Desideriamo raccontare quanto abbiamo cercato di costruire insieme, certi di giungere ad una meta forse fittizia, dal valore relativo, sostenuti da un credo che non è formato o guidato da dogmi o principi assoluti ma da sinceri e disinteressati sentimenti di affetto per i luoghi dell’intervento, ed un po’ anche per  verificare in concreto il grado di qualità, se ottenuta o no, del nostro lavoro.


 Abbiamo ritenuto culturalmente e metodologicamente corretto il tentativo di unire le forze di più operatori, anche se in campi apparentemente opposti, per costruire quella dialettica progettuale che non è prodotta da figure professionali apparentemente uniformi per similitudine ma da autori (diretti o indiretti) che possano in qualche modo esprimersi nell’atto compositivo ordinatore delle idee e a seguire nelle fasi definitive e/o più cogenti  della progettazione.


Il ricorso ad esempi di composizione letteraria e/o  descrizioni di eventi della pur minuscola storia di popolo (di certo minimamente incisiva nei processi urbani e sociali del territorio, ha significato anche indagare, dialetticamente si intende, intorno ad altre più complesse espressioni di pensiero al fine di carpirne, non il metodo o i segreti sintattici,  ma quel gradiente misuratore dell’entità del valore da conferire al contenuto stesso delle ipotesi o risultanze progettuali.


 ***


Chi scrive è mosso dal desiderio di uscire dalla quotidianità di quel lavoro che dovrebbe per dovere morale o per storia cantare attraverso il disegno e la tecnica, un tentativo di donare al cittadino un po’ di conforto per affrontare la filosofia dell’esistere, o anche del vivere le vicende del giorno nel luogo più intimo della propria appartenenza alla terra: la casa o ancor più i luoghi della convivenza (sia che trattasi di attività manuali o intellettuali, sia che trattasi di riposo o di divertimento…


… è un desiderio che sicuramente rimarrà insoddisfatto quello di liberarsi da quell’aspetto deleterio che è ampiamente descritto dalle burocrazie che l’uomo impone a se stesso come …..momenti di decadenza morale, anche se più spesso necessari come garanzia per governare il diritto, la convivenza, o talvolta l’affermazione di qualche …pretesa o la gestione stessa del potere…


Comprendere la qualità di una struttura edilizia significa anche immedesimarsi nel ruolo  che la medesima rappresentava nell’ambito sociale di appartenenza, … svolgendo quasi il riassunto di un testo che  abbia come argomento di ricerca o di conoscenza la realtà complessiva di quel tempo….


Non c’è nostalgia né rimpianto, né, se si vuole, ammirazione; c’è quella stessa volontà di fare, di rappresentare, di indagare, di definire i  termini e le modalità dell’azione… c’è, recondita, l’ansia di raggiungere  un modesto approdo con il dialogo, con il confronto, con l’esperimento… con il desiderio di esprimere o ambire ad una pur modesta creatività anche per cose piccole.


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 “Rasiglia” fa quasi perdere nel tempo il  senso della propria storia riguardo al rapporto dell’uomo con l’acqua.


Non si sa se quando veniva ipotizzata negli anni mille e/o prendeva forma la costruzione del castello dei “Trinci” l’acqua era già sfruttata oltre che per scopi fisiologici, per eventuali altre attività come quelle artigianali dei mulini.


E’ quasi certamente ammissibile l’ipotesi che il villaggio che si è venuto affermando intorno alla sorgente interna al paese fosse abitato dai lavoratori di quel tempo, i cosiddetti servi della gleba, che sicuramente avevano il compito di coltivare quei pochi appezzamenti di terra, frutto dell’erosione delle montagne, che si erano formati ai lati del Menotre.


L’acqua della sorgente di Capovena forse non era ancora regimentata entro sponde naturali di un unico alveo; lo dimostrano le rocce di travertino che affiorano più in basso: esse sono tutte interessate da erosione sia superficiale che interna; quest’ultima ha prodotto una serie composita di bucature, di passaggi interni, di piccoli cunicoli comunicanti, di nicchie che il tempo ha riempito di terra, di muschi, di radici. Il tempo e l’acqua hanno trasformato la durezza della pietra  in una specie di scultura naturale, quasi un’opera d’avanguardia, astratta, informale, intensamente materica (che in alcune forme sparse ci riporta alla mente l’opera Henry Moore. L’artista è l’acqua stessa…è  il  calcare che si modella, creando sculture semplici, naturali, non  naif,  a R. come quelle  magnifiche concrezioni che la medesima acqua crea altrove e nel buio del sottosuolo le quali, una volta scoperte ed illuminate, sanno mostrarci, è grande  lo stupore, la infinita bellezza della natura.


 Considerazioni metodologiche relative al progetto di consolidamento-restauro


 Pur se in miniatura e con presupposti tecnico costruttivi piuttosto semplici, trattandosi di edificio in muratura tradizionale, il progetto ha tentato di tener conto di ogni sua componente con stretto e continuo riferimento a quanto costituiva il cuore pulsante del laboratorio contenuto all’interno, e con la consegna morale di lasciare in essere ogni meccanismo esistente, ogni oggetto non spedito  altrove (venduto o riciclato) ogni possibile sintomo della pur minuscola storia dell’opificio cercando di conservare la stessa immagine salvo le piccole modifiche funzionali, ed infine sommando all’esistente modesti episodi di contemporaneità che fossero chiaramente individuabili e possibilmente integrabili ed all’uopo anche reversibili.


-          La lettura dello spazio con il pensiero fisso sulle manifestazioni evidenti di natura e di storia;


-          Lo studio dei componenti singoli del contorno edificato con evidenziazione di quegli elementi più qualificati  ed eventualmente emergenti;


-          L’analisi, supportata anche da elaborazioni grafiche, dei contenuti più reconditi,  individuabili anche dal solo dialogo intimo del progettista con i singoli componenti dello spazio di relazione;


-          La cernita delle possibili soluzioni ed il loro confronto;


-          L’interpretazione dei messaggi emessi dallo scorrere dell’acqua  e da quello che il suo movimento, apparentemente sempre uguale, ma di fatto sempre diverso come l’acqua che passa, quasi un’evoluzione che neanche il tempo stesso può controllare (quasi un ossimoro tra due termini : stasi-movimento, diversità-uguaglianza, rumore assordante-musicalità, forza incontrollabile-dolcezza, ….)


-          L’individuazione di tecnologie facilmente realizzabili da personale fornito da imprenditorie  locali;


-          La cernita di episodi di scrittura come fonte di riferimento ed ispirazione: una descrizione letteraria di un evento o di una operazione sul territorio può corrispondere ad una fase ideativa e descrittiva di un iter progettuale da seguire;


-          La interpretazione di esigenze di vita di residenti e di cultori dei luoghi come momento di valutazione delle proprie impostazioni metodologiche per singole motivazioni operative o soluzioni specifiche legate troppo spesso alla storia tramandata dai ricordi popolari. 


   


Forse ciò che viene raccontato, a parte le descrizioni tecniche del progetto e delle  relative risultanze fisiche  dell’intervento fin qui realizzato,  operazioni di rito,  oggettive,  tangibili e totalmente  verificabili visitando gli spazi,  rappresenta  principalmente una propria intima esigenza di rapportarsi idealmente all’architettura, (quella sognata) piuttosto che quella tentata nel tempo e troppo spesso, anche per mancanza di fertili condizioni, inutilmente.


Non si tratta pertanto dell’ostentazione di un’opera che, pur analizzata nelle sue espressioni  più intime e fuori dal comune, non  dimostra di possedere emergenti stilemi o particolari caratteristiche formali e strutturali; è una semplice ed ingenua opera di recupero e di salvaguardia di un episodio di storia, quasi un barlume di vita  nel ricordo di una sopita laboriosità montana; è il tentativo di salvaguardare un bene  ove confluiscono, sommandosi, molteplici  connotati il cui grande valore sta nella composizione e nella interrelazione di essi con l’ambiente e la stessa storia dei luoghi.


C’è anche il desiderio di riuscire a tramandare al tempo ed alle generazioni future quel prodotto umano che forse non apporta significazioni nel pur breve ambito della nostra società locale, ma che  in qualche maniera ed a suo tempo influenzò la propria infanzia: il ricordo delle ruote dentate del movimento delle pulegge, un ritmo di rumori  atipici (non inscrivibile in un elenco di suoni o armonie del quotidiano), …..che producevano nella mente del bambino in sviluppo quasi una sensazione di paura: paura nell’immaginare una caduta nell’acqua, paura di rimanere irretito negli ingranaggi, paura di quel silenzio imperioso dei macchinari in riposo,…. Immagini deformate dei racconti di incidenti verificatisi durante il lavoro che si perdevano nei meandri della mente, infante anch’essa…di un passato trascorso distante dalla misurazione del tempo… distante dalla civiltà dei più inquieti  centri metropolitani…distante anche dal proprio velleitario interesse per le proprie aspirazioni…


Sono le immagini ed i rumori dell’acqua; sono i meccanismi della tecnologia di tempi passati che evocano movimento, lavorio, stupore; sono le energie che attraverso l’acqua  si sprigionano dalla (natura); sono i messaggi che si trasmettono da tempi lontani che si spingono fin oltre i confini dell’infanzia --- sono le flebili voci degli avi (più spesso rauche)  che riemergono dal passato; sono le lezioni che la didattica delle pietre ci impartisce; sono le armonie che risalgono dall’alveo del fiume e si diffondono nella valle; sono le piccole soddisfazioni del proprio passatempo che nello scroscio dell’acqua talvolta riversa, tentando di vanificarli,  i dissapori della vita; sono i commenti della gente che passa, curiosando e si sofferma ad osservare lo scorrere delle acque; sono le parole delle persone che partecipano agli incontri conviviali  affollando la strada; parole che sanno di  quel poco di socialità che sopravvive alla stessa avanzata della globale indifferenza; saluti  che si incrociano e si confondono  alle grida dei più piccoli che saltellano nel minuscolo parco affacciato sul fiume; sono i ragionamenti e le riflessioni intorno alle cose di sempre, quelle umili, quelle più distanti dalle vicende di altri luoghi che trovano spazio in ore tarde in prossimità del tramonto;  sono quelle discussioni intorno al fare manuale che nascono  al di fuori del progetto scritto … non   soltanto un passatempo, o un momento di distrazione  dai vortici quotidiani dell’esistere o un relax per smaltire gli stress prodotti dalle contorsioni del convivere in società  ma anche e principalmente un desiderio di intimità tra gli stessi luoghi in cui dialogare con  quell’architettura elementare che per noi, minuscoli artefici, appare essere il più ambito o forse l’unico soddisfacente rifugio professionale.


I sogni di gioventù che trasportavano il pensiero verso cattedrali maestose, grattacieli evanescenti, viadotti sospesi sulle vallate o giardini fioriti sospesi su rocce, trasformati poi dall’esperienza quotidiana in accumuli di carta (spesso bollata) per l’edificazione del nulla, sono svaniti: rimane il rimpianto della antica speranza; rimane talvolta durante il riposo la matita che scorre sulla carta e lascia segni sempre più sottili; … e quell’acqua dirompente messaggio di una più concreta ed onesta architettura che la vita, forse come compenso, ci ha elargito perché anche noi potessimo in qualche modo usufruirne e per dovere morale difenderla.


  …………………..


 L’intervento descritto in sintesi non è altro che un insieme di normalissimi episodi di edilizia tradizionale, ognuno contenente una  modesta attività; uniti o collegati agli altri essi contribuivano a formare un tratto di un piccolo centro artigianale - industriale… la cui appartenenza al territorio (legame con la sorgente), quasi un principio, tracciava   i prodromi di una successiva e futura espressione dell’espansione tecnologica e produttiva del nostro tempo.


Ed a Rasiglia, quasi una piccola patria lungamente  rimpianta per  una   distanza non fisica, soltanto sentimentale, desideriamo destinare questo modesto lavoro; non un ambito ritorno alle origini, non un’ostentazione di affetti desiderati e ritrovati, non un’esercitazione fine a se stessa  con disegni e lettere; solo un piccolo dono al paese  nella speranza che  possa conquistare dapprima accoglimento per essere poi devoluto ad una futura attività di ricerca in cui trovino spazio  quelle espressioni dell’intelletto che appartengono al mondo delle arti e della scrittura.


 

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    Project details
    • Year 2015
    • Work started in 2010
    • Work finished in 2015
    • Main structure Masonry
    • Client Giovanni e Maurizio Tonti
    • Status Current works
    • Type Recovery of industrial buildings
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