Progetto di ripristino paesaggistico con recupero del podere Staggiano in comune di Collesanvetti (LI) | Stefano Calabretta

Studio per il recupero del podere "Staggiano" in vista dell'utilizzo dell'ambito limitrofo a coltivazione di cava di argilla Gabbro / Italy / 2007

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La Convenzione Europea del Paesaggio, stipulata a Firenze il 20 ottobre del 2000, sancisce il valore paesaggistico di tutto il territorio e non solo dei paesaggi d’eccellenza e la necessità di superare la dicotomia tra una pianificazione tradizionale basata su standard urbanistici e parametri economici ed una politica di tutela improntata su una passiva griglia di vincoli. Di fatto la Convenzione viene così a costituire il punto di riferimento principale non solo per quanti intendano rinnovare il modo di governare il territorio attraverso un corretto uso delle risorse ma anche per chi tenda ad ottimizzare la stessa azione di tutela e valorizzazione dei beni culturali che di queste risorse costituiscono gran parte. Infatti dopo oltre sessant’anni di una politica disarticolata e passiva che ha riservato allo stato il difficile ruolo di tutelatore esclusivo di singole emergenze monumentali in nome di una statica visione idealistica riservata a pochi e per poche cose di particolare interesse si passa finalmente ad una tutela attiva che prevede, una volta riconosciuti i valori da conservare, la necessità di un progetto concordato con una pluralità di soggetti che unisca alla qualità architettonica ed alla riqualificazione paesaggistica la sostenibilità ambientale ed un preciso sistema di gestione dei beni.

Bene da tutelare diventa così l’intero paesaggio culturale inteso come risultato evidente e specifico dell’azione dell’uomo nel corso del tempo in un determinato ambito territoriale e che deve essere gestito globalmente traendo dalla continuità storica che l’ha generato lo spunto per una credibile e compatibile fruizione futura che non ne cancelli l’identità. A nostro giudizio e’ in questa ottica più corrispondente alle necessità dei tempi che si deve intendere la nostra proposta di utilizzo e valorizzazione del podere di Staggiano, nel comune di Collesalvetti (LI), comprensivo dell’area di scavo e dell’omonimo rudere e che, come ogni proposta pilota che miri a dare risposte compiute a problemi complessi, implica insieme alla difficoltà delle scelte da intraprendere anche l’assunzione di una considerevole responsabilità per voler perseguire soluzioni innovative più efficaci rispetto a certe modalità di valutazione e di azione più tradizionali e apparentemente più facili ma che troppo spesso producono esiti limitati se non addirittura negativi.

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Nell’ambito territoriale nel quale si inserisce Staggiano, è documentata una antica frequentazione umana, con testimonianze fin dalla preistoria; i primi insediamenti, infatti, sono attestati da resti archeologici riferibili all’età del Bronzo, ed appartenenti alla cultura cosiddetta Appenninica[1]. Negli insediamenti del centro del Gabbro, sono stati scoperti in un “ripostiglio” 16 manufatti in bronzo assieme a 6 asce e ad uno scalpello (conservati al museo archeologico di Firenze).

Ritrovamenti simili anche nella vicina località Limone, dimostrano la grande diffusione del metallo nel territorio.

Probabilmente abitarono nella zona del Gabbro anche i Liguri, popolazione italica che ebbe le sue radici nella preistoria e fin dal Neolitico occupò un territorio più molto esteso rispetto all’odierna Liguria. Anche il territorio di Pisa appartenne ai Liguri: infatti la provincia consolare venne detta Ligures o Pisae, ed era ascritta alla tribù Galeria, la medesima di Luni, Genova e Velleia.

Ma anche gli Etruschi, a partire dal VI secolo a.C. colonizzarono, il territorio peninsulare spingendosi verso il Nord, in direzione della pianura Panada. Lungo questa direttrice la popolazione Etrusca, si insediò anche lungo il sistema collinare pisano, e qui si amalgamarono con le popolazioni italiche presenti, non raggiungendo sempre la predominanza su questa, come nel caso di Tirrenia, dove la cultura locale seppe resistere anche all’invasione culturale romana.

La presenza etrusca al Gabbro non è attestata da ritrovamenti archeologici, eccetto quanto riportato da Pietro Nencini che nella sua opera sull’argomento, parla di sepolcreti etrusco-romani e romani, scoperti al Gabbro nel 1879[2].

Secondo la Toponomastica di Silvio Pieri, invece potrebbero essere state in origine località etrusche i centri di Motorno (forse Metur) e Chioma che prese il nome da Cluma (etrusco Clummei); nel medioevo il torrente omonimo faceva da confine al territorio livornese[3].

I romani penetrarono nella zona livornese nel III secolo a.C. quando Pisa diventò la base militare principale nelle guerre contro i Liguri, iniziate nel 238 a.C. Il senato stipulò con la città etrusco-ligure un foedus aequum, cioè un trattato di alleanza che riguardava anche il suo porto.

Poco dopo venne sistemato il tracciato viario con il prolungamento della Via Aurelia fino a Pisa; la strada assunse il nome di Via Emilia di Scauro, dal nome del Console che proseguì il tracciato fino alla città di Genova e Vado Ligure. Questa strada rappresentò per Roma, la direttrice di espansione verso il Nord d’Italia.

Nel 195 a.C. venne costituita la Provincia dei Ligures con sede proprio a Pisa, che ricomprendeva l’intero territorio nel quale è compreso anche Staggiano; nell’86 a.C. Pisa, assieme a Lucca, fondata nel 180 a.C. formavo il Municipio e si avviò un interessante flusso commerciale tra queste due città e la Garfagnana, gli Appennini, l’Emilia e la Lombardia, traffico che dovette interessare anche Gabbro [4].

Nel XVIII quando Giovanni Targioni Tozzetti percorse queste zone, esistevano ancora evidenti tracce di edifici romani. Nei dintorni di Castelnuovo, scrive il geografo: “si scoprono molti fondamenti di fabbriche, e molti avanzi di antichità figurata… frammenti di iscrizioni sepolcrali”.

I ritrovamenti di Castelnuovo sono epitaffi e ci danno informazioni su alcuni abitati che appartengono per lo più a famiglie di soldati e di agricoltori; il periodo storico non risale a prima dell’età cristiana, anche se queste furono membri di famiglie di origine latino-liguri (la tribù di appartenenza era la Galeria), dai nomi puramente latini, non contaminati da appellativi, da influssi orientali o cattolici.

Dal punto di vista dello studio del territorio attraverso la toponomastica, gli insediamenti riferibili al periodo romano sono almeno tre: Staggiano, da Staius, Camaiano da Camarius e Savalano da Salviarius.

Su queste tre località si e ipotizzato che potrebbero aver avuto origine durante quel processo di popolamento detto colonizzazione attuato dal governo romano con lo scopo di stabilire basi all’esercito e punti di rifornimento, avvenuto dopo il ritorno dei veterani di Augusto dalla battaglia di Azio. Infatti almeno da Staggiano e da Savalano transitò o fu molto vicina anche la Via Emilia Scauri.

I veterano romani si aggiunsero quindi alle genti che già popolavano la zona del Gabbro e che si occuparono prevalentemente di pastorizia; tuttavia più che il nome ed il mestiere di queste genti, fondatori dei poderi che ancora portano questi nomi, non è rimasto; inoltre, come prima ricordato, è da segnalare come l’originale termine romano, in alcuni casi (e uno di questi è senz’altro Staggiano), superò, senza deformazioni, e con continuità d’uso per indicare gruppi famigliari, il periodo storico fino a giungere inalterato all’epoca cristiana. Non è da escludersi dunque, che il podere di Staggiano, sia stato fondato dalla famiglia di origini romane in epoca molto più vicina a noi.

Anche nel territorio del Gabbro il periodo storico riferibile al tardo impero, portò con sé quella generale decadenza che in breve vide l’impoverimento delle organizzazione territoriali ed economiche.

Durante questo processo storico, anche qui si impose la religione cristiana; il territorio che più di ogni altro venne ad acquisire importanza in questo periodo fu quello di Camaiano, nel quale si insediò la Pieve, che venne intitolata a San Giovanni Battista, chiesa oggi scomparsa.

Successivamente a questo periodo il Gabbro ed i territori circostanti, hanno assistito al passaggio di tutte le importanti invasioni barbariche che provocarono la definitiva caduta dell’Impero romano: gli Unni (375), i Visigoti di Alarico (401-403, con la presa di Roma del 410), i Vandali (saccheggio di Roma del 455), gli Eruli con Odoacre (476-493), i Goti di Teodorico (493-554). Tutte queste popolazioni passando per questi territori, non lasciarono tracce evidenti e durature, ma neppure lasciarono notizie di distruzione o conquista di insediamenti importanti.

Pur senza indicazioni precise, ne resti che confermino tale informazione che giunge dai documenti cartacei, abbiamo notizia dell’insediamento nel territorio del Gabbro di alcune fortificazioni longobarde, poste a controllo della Val di Fine.

Viene inoltre ipotizzato, sempre senza alcun riscontro di carattere archeologico, che gli ipotizzati fondi agricoli di origine romana (tra cui Staggiano), “divennero centri di insediamento dei barbari”[5].

 

Da questo momento in poi, la storia del territorio del Gabbro, non apporta significative notizie utile alla comprensione dell’uso e delle funzioni dell’area del futuro podere Staggiano; alcune notizie, riferite alla Serra di Staggiano, sono della seconda metà del XVIII secolo, ed emergono dalla Vertenza Gualandi contro la Comunità del Gabbro per il possesso della terra di Staggiano e Poggio Buti; queste carte, conservate all’Archivio Comunale di Colle Salvetti[6], riferiscono, con una certa precisione, dei confini e della destinazione a terreno agricolo, conteso tra la Comunità del Gabbro da una parte, “et dall’altra il Reverendissimo Monsignore Odoardo devoto Vescovo di Cesena, et i figliuoli, et eredi di Attilio Gualandi già suo fratello, et Gismondo di Gio. Paulo Gualandi cittadini Pisani”.

Da tali carte, molto interessanti per la definizione del regime d’uso o proprietà, sembrerebbe che l’area della Serra di Staggiano non fosse occupata da edifici importanti; viene soltanto menzionata una piccola chiesa, della quale le carte riportano una riproduzione, che viene descritta “hoggi rovinata, di che solamente hoggi si vegono i fondamenti et rovine”[7]



[1] Grassi, Arcani Meneghini, Palomba; Gabbro gente terre e documenti; Comune di Rosignano Marittimo; Consiglio di Frazione di Gabbro, 1996; pag.10.
[2] Pietro Nencini; Monografia Storica del Comune di Rosignano Marittimo; Poggibonsi, 1925.
[3] Silvio Pieri; Toponomastica della Valle dell’Arno, Roma, 1919.
[4] G.Buti, G.Devoto; Preistoria e storia delle regioni d’Italia.
[5] Grassi, Arcani Meneghini, Palomba; Gabbro gente terre e documenti; Comune di Rosignano Marittimo; Consiglio di Frazione di Gabbro, 1996; pag.22.
[6] Archivio Comunale di Colle Salvetti; Delibere e Partiti della Comunità del Gabbro; filza n°3
[7] Ivi; pag.336 “Prima quanto alla Serra di Staggiano”

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Il paesaggio nel quale si inserisce il manufatto è quello tipico della Toscana Livornese-Pisana, caratterizzata dalle ridenti colline dai modesti declivi con la proprietà terriera suddivisa ancora in grandi appezzamenti contraddistinti dalla piacevole e suggestiva immagine policroma dei seminativi dai colori caldi e chiari ai quali fanno da contrappunto le macchie scure delle alberature, ora filari regolari di cipressi, ora cupi boschi di latifoglie, ora siepi campestri di arbusti o fresca vegetazione ripariale. La destinazione prevalente del terreno all’interno dell’ambito significativo indagato, è agricolo, con minime aliquote di abbandono: le vedute sono ampie e panoramiche e la tessitura fondiaria e la maglia rada delle poche strade in prevalenza sterrate connotano il contesto dell’aperta campagna, con i suoi molteplici richiami e riferimenti al lavoro dei campi .

La proprietà terriera è contraddistinta dalla presenza di uno o più radi casolari, a destinazione rurale-agricola, organizzati in case padronali o più spesso mezzadrili, di norma posizionati sulla sommità della collina. Al centro della proprietà fondiaria erano raggiungibili attraverso un percorso carrabile che si snoda lungo il dolce declivio, con un andamento leggermente curvilineo teso a ridurre la pendenza della salita. Sovente questi percorsi erano sottolineati lungo i lati da cipressi, divenendo freschi viali la cui percorrenza era scandita continuamente dalla modifica del paesaggio osservato.

L’edificio principale era solitamente a due piani, con forma regolare e copertura a doppia falda su muro di spina. Sempre a pianta rettangolare era caratterizzato dall’accostamento di più cellule di base con misura del lato compresa  tra i 3,5 ed i 6 metri. Generato inizialmente da un paio di ambienti centrali ad uso abitativo era destinato ad uno sviluppo lineare potendosi espandere, per aggiunta di cellule alle estremità a seconda del bisogno, fino a raggiungere anche la lunghezza di una cinquantina di metri. 

Gli ulteriori ambienti necessari e gli annessi agricoli che caratterizzavano l’insediamento venivano ricavati al solo piano terreno del fabbricato principale oppure solitamente accorpati in un unico grande fabbricato posto parallelamente all’edificio più importante ad una distanza tale da utilizzare al meglio un’aia nelle migliori condizioni di ombra e soleggiamento. Questa ricerca di un ordine funzionale nella giacitura e l’orientamento del manufatto emergente, sempre parallelo all’asse della valle, sono senz’altro elementi che conferiscono ancora al contesto ambientale un notevole livello di integrità e di misura, evitando in tal modo, il dilagare di manufatti agricoli improvvisati e di scarsa qualità costruttiva.

Di questi casolari e di queste modalità di insediamento, estremamente caratterizzanti il paesaggio, si sono conservati molti esempi e comunque è ancor oggi rintracciabile l’esatta giacitura di ciascuno. Risultano purtroppo in gran parte abbandonati o recuperati con destinazione solo residenziale.

Il fondo agricolo era sistemato per la coltivazione con animali da tiro, e a questa finalità poteva facilmente essere adattato grazie alla modesta pendenza; le coltivazioni prevalenti erano il grano, il girasole, il foraggio e, in minor percentuale la patata.

Normalmente però, dato che l’attività dell’azienda prevedeva quasi sempre una aliquota di zootecnia connessa alla produzione del latte e della carne, è del tutto probabile che la percentuale destinata alla produzione del foraggio fosse molto elevata.

Sotto il profilo più propriamente conservativo ed identitario del paesaggio risulta evidente che l’impronta dell’uomo nel suo antico modo di segnare il territorio è ancora particolarmente evidente, ed in grado di caratterizzare l’intero contesto: la scansione degli immobili, formanti una vera rete a scala territoriale, è ancora perfettamente percepibile, e neppure le grandi infrustrutture realizzate, come la strada di fondovalle, la statale n°206 Pisa-Cecina, o l’autostrada A12 Genova-Rosignano, parzialmente nascosta da un elevazione naturale del terreno che pressapoco segna l’asse della valle, sono riuscite a mitigare l’effetto di grande caratterizzazione paesaggistica che questi fabbricati generano.

Tuttavia è evidente che nonostante venga ancora perseguito lo sfruttamento intensivo agricolo dei fondi, i fabbricati abbiano quasi completamente perso la loro funzionalità o “strategicità”, e questo sicuramente a causa della perdita di significato economico della mezzadria; il grande problema, quindi, per il mantenimento dell’integrità paesaggistica dell’ambito, non consiste tanto nella conservazione del territorio aperto, che mantiene ancora un certo interesse economico connesso allo sfruttamento dell’agricoltura, ma la riattribuzione di un nuovo valore alle decine di manufatti, alcuni in grave stato di abbandono, che sembra non rivestano più come nel passato un ruolo funzionale alla conservazione del paesaggio.

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    Project details
    • Year 2007
    • Main structure Masonry
    • Client Donati Laterizi S.r.l.
    • Cost 1.500.000
    • Status Unrealised proposals
    • Type Museums / Archaeological Areas / Leisure Centres / Monuments
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