Tre Torri a San Benigno - Nuova sede MSC | Atelier(s) Alfonso Femia / AF517

Tre torri, un edificio, un “Palazzo” contemporaneo, una nuova identità a Genova. Genoa / Italy / 2019

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Ripensare un edificio che si sta realizzando a vent’anni dalla sua concezione e che è in fase di realizzazione.  


Ripensare il progetto delle sue facciate sapendo che essere a Genova non può voler dire limitarsi ad un pensiero bidimensionale ma che ogni cosa parla con la sua anima, la sua presenza.


Soffermarsi sulle torri del Comparto 2 quale ultimo tassello dell’importante trasformazione di San Benigno in una specie di downtown genovese, dove le strade sono territori esclusivi per le macchine e non luoghi prevalentemente nati per la presenza di un  pedone, e dove infrastrutture, paesaggi, cielo e mare si confondono in una sequenza successiva di prospettive mai ovvie, mai banali.


Ripensare l’edificio che “fronteggia” il mare nella sequenza apparentemente casuale di torri esistenti e che diverrà silenziosamente uno dei primi profili visibili dai moli dell’expo colombiana.


Ri_pensare.


Quando Grandi Lavori Fincosit, nel 2010, ha lanciato il concorso per ricercare nuove ipotesi per le facciate del complesso direzionale del Comparto 2, il tema sembrava volesse essere, data la complessità del progetto, esclusivamente la ricerca di una cosciente e responsabile nuova possibile espressione estetica delle facciate sulla base di quanto era in costruzione in quel momento, pertanto con i vincoli sia tecnici che economici di un cantiere che era ormai ben avviato.


Forse inizialmente questo era l’obiettivo di GLF, ma avendo intrapreso il processo virtuoso del concorso, del confronto e del dialogo, abbiamo ritenuto, pur restando dentro i vicoli temporali e tecnici imposti dal cantiere di dover fare un ripensamento profondo del significato della torre a San Benigno, a Genova, al progetto.


Preoccuparsi del rapporto urbano e territoriale di questo edificio, darne un significato  anche magico fatto dalla diversa modalità con cui lo si scopre, si nasconde tra gli altri edifici, ci appare e poi scompare, per poi assumere una lettura diversa dal mare. Inoltre ragionare su come poteva essere variato sensibilmente il rapporto tra interno e esterno, di come poter lavorare o vivere in quelle torri potesse essere una cosa unica e eccezionale, proprio per la sua natura di essere al centro di un contesto particolare, complesso, stratificato, denso, ma comprensivo di diversi orizzonti verso le diverse acque del mare, e i diversi cieli che definiscono Genova da est ad ovest.


Si è ritenuto di non dover perdere pertanto l’occasione di tradurre il progetto in un racconto di Genova e di questo particolare luogo di Genova che ha con l’artificio una storia importante sia nella conquista del suolo che del suo passaggio ad ovest.


Ma tutto nasce da un “edificio” in qualche modo esistente, in fase di realizzazione e pertanto dove non potendo lavorare sul suo “corpo” se ne poteva declinare in maniera differente il rapporto che questo “corpo” avrebbe potuto avere con la città, con il suo paesaggio, divenendo esso stesso elemento attivo e propositivo del paesaggio in divenire.


Il primo approccio pertanto è stato quello di valorizzare i caratteri principali del sistema volumetrico che in qualche modo abbiamo radicalizzato nella definizione di due elementi, il basamento, concepito come un sistema stratificato orizzontalmente, e l’elevazione, non più esclusivamente monolitica nella sua originale sommatoria di tre torri che definiscono quasi una nuova tipologia di torre e “palazzo urbano contemporaneo”.


Questo aspetto viene suggerito anche dal luogo, ritaglio e risultante in negativo di un sistema articolato di infrastrutture che rendono il contesto una sommatoria di artifici, una dimensione non urbana e al contempo estremamente contemporanea, tipica di città complesse e “artificiali” come Rotterdam o Hong Kong, luogo che stabilisce e/o impone diversi gradi di lettura e di percezione sia del contesto che dell’edificio stesso.


La zona compresa tra le vie P. Chiesa, Balleydier e De Marini è praticamente un triangolo equilatero dove a due dei vertici insistono due importanti sistemi viabilistici quali snodi principali sull’asse est-ovest di attraversamento della città. La maggior parte dei flussi in ingresso e in uscita da nord e da ovest attraversa questi nodi.


L’area è inoltre quasi “il giunto” tra due sistemi urbani ibridi quello di via di Francia, dove non esiste un vero fronte urbano ma una sequenza di episodi e quello di Lungomare Canapa, asse asimmetrico ancora incompiuto e dalla natura attuale di puro luogo di attraversamento.


Definire in questo contesto quale sia il piano zero di riferimento è tema alquanto difficile, ma è la città di Genova che insegna come questa complessità possa essere in grado di creare diversi paesaggi e ambiti mai ovvi o banali. Enfatizzare il tema della stratificazione del basamento quasi a misurarne la dimensione e a raccontare, come in uno spartito, la sequenza funzionale dell’edificio è stata la prima azione del progetto. Un portico e un fronte vetrato e parzialmente trasparente creano una specie di ordine principale su cui si appoggia un monolite rarefatto, composto da bande orizzontali successive a geometria e cromatismo variabile secondo le tonalità del blu, capace di dare dimensione e di far emergere sia l’edificio sia il luogo dal contesto in cui si trova, stabilendo in maniera chiara il dialogo con il reale al suo intorno. I materiali si semplificano e diventano sinceri nel raccontare contenuto e contenitore. E cosi facendo le torri possono raccontare la loro storia, una nuova storia. Il rapporto completamente orizzontale del basamento viene abbandonato per uno completamente verticale delle tre torri, ed uno tridimensionale e dinamico del nuovo sistema di scale che come dei gechi, animali mediterranei, salgono la linea verticale dell’angolo spostandosi ora su una facciata ora sull’altra, componendo e scomponendo il sistema volumetrico, enfatizzando il concetto di essere un volume unico e triplice allo stesso tempo. Per realizzare questo concetto, si è completamente variato il principio strutturale delle tre torri che vedevano nelle scale in c.a. poste agli angoli dei tre volumi, gli elementi di irrigidimento del sistema strutturale.


Il cemento armato ha lasciato il posto ad una struttura in acciaio che ha in maniera intraprendente ridefinito la modalità di salire in altezza secondo una coerenza e chiarezza nuova e soprattutto con un nuovo racconto.


Ciò che prima era unitario nelle sue diverse parti e anche un po’ indifferente  anche alle sue stesse specificità, per noi è diventato l’occasione di poter dare vita ad un edificio che è un complesso unitario e allo stesso tempo sommatoria di elementi, a cui abbiamo voluto dare voce, credendo fermamente che l’architettura sia uno strumento di dialogo con il contesto quanto una espressione identitaria di un tema e o un luogo.


Se le tre scale srotolandosi verso l’alto, definiscono i vertici del complesso verticale, il terzo atto del progetto è stato quello di rendere completamente monomaterico  ma cangiante le tre torri.


Riflessi e trasparenze, ora più intense ora più tenue si susseguono in una specie di caleidoscopio meteorologico, che rende le facciate ora opache e massive ora liquide e riflettenti, ora semitrasparenti, il tutto come se un insieme di nuvole cangianti attraversasse constantemente l’edificio nelle sue “tre” facce principali.


L’edificio prende corpo e anima e così non sarà mai possibile avere la medesima percezione dell’edificio, dai diversi punti di vista da cui lo si potrà scorgere o scoprirlo o ritrovarselo di fronte. Cosi non sarà possibile che sia uguale ora dopo ora, giorno dopo giorno. Cosi come non lo è mai il cielo, perché variabili sono i toni dell’azzurro, variabili le forme e le intensità delle nuvole, diverse tutte le tonalità che costruiscono e ricostruiscono secondo dopo secondo la volta celeste soprattutto in una città di mare.


Tutto ciò non sarà immediatamente chiaro o percepibile, lo si scoprirà giorno dopo giorno e lo si capirà perché l’edificio ha deciso di parlare alla città, di parlare il linguaggio della luce e di come lui reagisce ad essa, ha deciso di essere un dispositivo percettivo della città per tutti coloro che lavoreranno dentro le tre torri, e anche per chi semplicemente le visiterà.


Un nuovo “Palazzo” attraverserà gli occhi di chi visiterà Genova e di chi avrà spesso Genova negli occhi.


AF517



DESIGN TEAM:



architetti | architectes | architects
Alfonso Femia


responsabile di progetto | responsable du projet | project responsible
Luca Bonsignorio, Gabriele Filippi



gruppo di progettazione | équipe du projet | design team
Simonetta Cenci, Lorenza Barabino, Vanesa Carbajo Fernàndez, Carola Picasso, Francesca Recagno, Alessandra Quarello, Valeria Parodi, Daniele Marchetti, Marzia Menini, Maria Michela Scala, Domenica Laface, Ilaria Sisto


collaboratori | collaborateurs | collaborators
Elena Graziano, Michele Nicastro

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