Palazzo Falco | Fiorenzo Petillo

Marigliano / Italy / 1993

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La nostalgia di quanto non ho vissuto e, tuttavia, mi appartiene è una delle ragioni di questo edificio. Non si tratta di una proposizione poetica, anche se non saprei tradurla in tecnica descrivibile, ma della componente essenziale di un processo in cui le valutazioni scientifiche si confondono con la consapevolezza di appartenere ad una cultura antica le cui radici e passioni sono per me altrettanto importanti delle regole della composizione. E’ la cultura che Matvejevic insegue lungo le rive del Mediterraneo ricercando le aree di influenza del fico e dell’ulivo, descrivendo il tempo sospeso delle isole ed il desiderio che suscitano di ritornarvi, l’odore dei porti, le carte nautiche ed i paesi in esse evocati. Il nodo centrale che si coglie in questo libro straordinario è l’ampliamento del concetto di individualità dei luoghi e la complessità di interrelazioni che si determinano fra la loro forma fisica e le suggestioni che comunicano manifestandosi nei modi con cui gli uomini li abitano.
Nell’affrontare il progetto di palazzo Falco ho valutato la tipologia dell’edificio preesistente, l’organizzazione morfologica dell’isolato ed i condizionamenti che imponeva in termini di rapporti con le strade di bordo e con la frammentaria edilizia interna accessibile attraverso cortili ed androni. Mi sono chiesto, quindi, se la sola indagine analitica fosse in grado di cogliere correttamente la natura del sito e quanta parte nella sua interpretazione avessero i materiali presenti (grandi blocchi di tufo, residui dell’antica cinta muraria oggi inglobati nei paramenti delle case, il basalto grigio della strada, i ruvidi intonaci di calce e di sabbia), i giardini e le essenze in essi conservate (agrumi, viti, fichi), lo strano rapporto fra cortine che si fronteggiano su strade strette ed il mutevole taglio del cielo che le separa in alto. Mi sono chiesto, inoltre, fino a che punto si potesse parlare di caratteri oggettivi e quanto invece la loro interpretazione faziosa, autobiografica, ne modificasse in modo sostanziale il valore. Mi sono chiesto infine se l’individualità di un luogo non debba ricercarsi proprio nel rapporto unico, necessario che si realizza fra la sua forma e le emozioni di chi lo vive. Con efficacia Bertolucci, nel “The nel deserto”, descrive questa condizione amplificando l’angoscia di Kit con la sequenza sincopata di immagini che ne scandisce la corsa e l’alternanza ossessiva di spazi bui ed improvvise lame di luce fra impenetrabili pareti. Con altro linguaggio Zanker esprime un concetto analogo quando osserva che “le immagini urbane rappresentano anche l’ambito in cui si esplica la vita cittadina, influenzando a loro volta gli abitanti: esse infatti riflettono e diffondono i messaggi e i valori realizzati negli edifici e negli spazi”. Ancora più suggestiva è la sua interpretazione della domus pompeiana del II° secolo a.C. vista come adesione ad una grecità frutto dell’assonanza sentimentale con modelli spaziali e comportamenti privati ritenuti essenza di un mondo già considerato classico. Qui l’intreccio fra spazio, forma della casa e spirito dei costruttori costituisce un’unità inscindibile che le ricerche tipologiche riescono appena a scalfire. Ciò mi ha indotto a riflettere sul peso dell’esperienza e sul complesso sistema di motivazioni, non tutte oggettivamente valutabili, il cui intreccio genera quell’oggetto così unico, preciso e misurabile che è un edificio.
Ho nuotato in una baia di Cefalonia. Ulivi ed abeti neri affondano le radici fra le rocce stratificate che affiorano dal mare dando all’acqua una cupa profondità verde. Separata da uno stretto braccio di mare Itaca; a nord-est gli strapiombi saffici di Lefkas. Ho visto i primi ricorsi regolari dell’acropoli emergere dall’accidentata pietra calcarea della rocca ed il sacro ulivo, sferzato da un vento violento, danzare contro la parete ovest dell’Eretteo. Ho studiato le opere di Schinkel e Kahn. Ho ascoltato la musica di Battiato e suonato quella di Theodorakis. Ho parlato con vecchi muratori che ricordavano ancora quando il tufo veniva lavorato in cantiere. Tutto ciò per me ha lo stesso valore degli studi di architettura.
In conclusione palazzo Falco, così come ogni altra costruzione, per chi vi abita e lo giudica non può che essere ben fatto o sbagliato, bello o brutto. Tentare di spiegarne le ragioni rischia di essere superfluo o inutile. Questa breve nota, pertanto, è il frutto del desiderio di fermare alcuni pensieri che, in genere, non compaiono nelle relazioni di progetto ma il cui contributo è stato decisivo per la forma che ha assunto l’edificio.
Confesso di averla scritta per me.
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    Project details
    • Year 1993
    • Work started in 1991
    • Work finished in 1993
    • Status Completed works
    • Type Multi-family residence
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