China Red | Marco Costanzi Architects

Bergamo / Italy / 2009

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China Red: nulla sembra accadere nello spazio, se non uno svuotarsi preventivo, come una predisposizione alla partita che sta per giocarsi. In questo spazio d’angolo, doghe di legno a pavimento e alle pareti, le stesse che danno forma al resto, scaffali, panche, un volume in mezzo a celare scale e passaggi, una porta anch’essa in legno. E il tutto è rosso, come una lacca cinese ma senza levigatezza. Poi un soffitto nero di putrelle d’acciaio, e lì in mezzo un buco di collegamento tra il sotto e il sopra, poiché lo spazio è su due livelli. “Nulla accade sullo schermo … nulla accade sulla tela …”, era l’incipit con cui Germano Celant presentava la prima dell’Arte Povera nel 1967. Non sembra diverso lo spirito qui. Senonché tale riduzione al minimo opera un’irruzione sottopelle, si allunga fino ad occhieggiare, e a entrarvi anche un po’ con una traccia a margine, in un altro spazio, questo sì levigato: lo spazio del negozio progettato da Marco Costanzi qualche anno fa e di cui questo è l’estensione. Ma, questo, è anche l’“altro” del decoro architettonico, il celato che emerge, la materia in quanto materia prima dell’eleganza dei volumi e delle superfici. Eleganza che c’è, perché la doppia anima del lavoro di Costanzi è anche questo: un’oscillazione tra il non fare, il lasciare che le cose siano quello che sono – come una Mappa boettiana, “il massimo della bellezza” per Alighiero, perché lui non ha scelto niente, non ha fatto assolutamente niente – e l’assolvere pienamente alla funzione che si richiede al progettista, fin nella maniacalità del dettaglio disegnato. Poi il cantiere è altra cosa, ma lo vedremo. Tale funzione, per Costanzi, è sempre una riduzione del rumore, tattile o visivo che sia, e gli viene da tante e diverse cose: dai poveristi italiani e minimalisti americani, in prima battuta, e più in là dagli studi sul giardino zen, per cui ancora studente viaggia in Giappone, dove inizia a costruire. Poi, mentre i silenzi più radicali si dispiegano nei progetti d’abitazione, nei progetti per il retail una diversa logica conduce i segni verso altre forme di seduzione. Ma è proprio qui che, sotto il lusso dell’argento invecchiato e del cuoio, dei marmi a pavimento, ma anche accanto alla secchezza di semplici finiture a gesso, alla Chipperfield o alla Pawson, emergono piccoli scarti semantici: una cremagliera porta-abiti, escrescenza del magazzino, si inarca in doppia curva e diventa, da luogo solitamente celato, parte integrante dello spazio stesso, trattato ai raggi X; pannelli girevoli rivelano all’interno la grana di vecchi portali in legno sulla facciata; attraverso essi un “vero” scheletro (temporaneo memento mori rinascimentale) osserva al di là di un vetro i passanti su strada, invitandoli a fare altrettanto. Piccoli esempi di un retro-testo ruvido, di un’eruzione sottocutanea, o di una specie di ritorno del rimosso. Non il rimosso della forma, come ai tempi del decostruttivismo, che si risolveva tutto in struttura, ma un gioco che riguarda una certa sensibilità per i materiali, per gli accostamenti di texture, e per gli effetti del tempo, come la patina sulle cose. Sensibilità maturata, forse, anche nella frequentazione della cultura orientale. Del resto anche la minimal art, diceva Celant (ancora lui), nella “percezione di un’epidermide compatta … sottende un ‘al di sotto’ molto orientale (si pensi in architettura alle superfici di Tadao Ando) che si potrà conoscere e svelare soltanto con un interrogarsi appassionato e neutrale del suo ‘sopra’”. E questo interrogarsi sul ‘sopra’, per Costanzi, diventa progetto mai finito, cioè apertura all’imprevisto nel processo di costruzione dello spazio, di cui il momento del cantiere (ci siamo arrivati) è il massimo teatro. Sotto questo aspetto, China Red sembra la summa e la chiusura di un cerchio. É il secondo lavoro svolto in collaborazione con Flavio Favelli. Vale la pena di ricordare il primo, del 2001, in un altro negozio di abbigliamento a Bologna: ai tempi delle sue Cardioscritture, Favelli scolpiva le sue frasi su un totem di ardesia, accompagnato da una radiolina accesa che, improvvisamente, dava notizia dell’11 settembre newyorkese. Favelli si ferma, per due giorni, e riprende lasciando uno spazio corrispondente al tempo di inattività: un vuoto, segno dell’evento incontrollato che irrompe nella regola. Tale disponibilità nei confronti dell’irruzione è la stessa che pratica Marco Costanzi nell’architettura. Ora, in questo lavoro pienamente a quattro mani, quella disponibilità è eretta a sistema: è la regola stessa di un processo senza progetto predeterminato, se non quello di passarsi la palla tra ruolo d’artista e d’architetto. Nello spazio di indeterminazione che si crea ad ogni passaggio, la forma è una derivata, secondo un principio dello scambio e del rilancio continuo: Ping Pong. (Michele Calzavara, Ping Pong)
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    China Red: nulla sembra accadere nello spazio, se non uno svuotarsi preventivo, come una predisposizione alla partita che sta per giocarsi. In questo spazio d’angolo, doghe di legno a pavimento e alle pareti, le stesse che danno forma al resto, scaffali, panche, un volume in mezzo a celare scale e passaggi, una porta anch’essa in legno. E il tutto è rosso, come una lacca cinese ma senza levigatezza. Poi un soffitto nero di putrelle d’acciaio, e lì in mezzo un buco di collegamento tra il sotto e...

    Project details
    • Year 2009
    • Work finished in 2009
    • Status Completed works
    • Type Showrooms/Shops
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