Chiesa di San Francesco e Santa Chiara

Castellaneta / Italy / 2013

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[IT] - Ho affrontato per la prima volta il tema della chiesa nel 1968 a Salerno realizzando la parrocchia della Sacra Famiglia . Era appena finito il Concilio Vaticano II e fu una straordinaria occasione per cimentarsi su una problematica allo stato nascente.Il tentativo fu quello di de-costruire il modello tradizionale individuandone le parti significative e rimontandole in una logica nuova che privilegiasse il rito comunitario e la actuosa partecipatio invocata dalla Costituzione sulla Sacra Liturgia. Molti anni dopo altre esperienze di costruzioni ecclesiali mi hanno permesso di immaginare spazi per un cattolicesimo rinnovato che affronti con coraggio il dialogo con la modernità senza rinunciare alla sua identità . Il filo conduttore di queste esperienze si può riassumere in tre temi di ricerca : il rapporto dello spazio con la luce ; la compresenza della orizzontalità che esprime l’aspetto comunitario del rito e della verticalità che esprime la presenza divina ; la riconoscibilità dell’edificio ecclesiale ; un valore simbolico accessibile sia alla luce del simbolismo cristiano che permea le Sacre Scritture ,sia alla luce del simbolismo intuitivo che fa della architettura un linguaggio capace di esprimere convinzioni ed emozioni collettive. La chiesa che verrà consacrata il 29 giugno a Castellaneta , risultato di un pubblico concorso . dedicata ai santi Francesco e Chiara , è il punto di arrivo di questa ricerca. Il tema della luce è un tema tipico della architettura religiosa per il valore che questa realtà immateriale acquista quando il pensiero si rivolge alla divinità. Per i cristiani però la luce è qualcosa di più. Il Vangelo di S. Giovanni ci ricorda cosa avvenne nel contesto della festa ebraica delle luci , quando Gesù affermò: “Io sono la luce del mondo; chi segue me , non camminerà nelle tenebre , ma avrà la luce della vita.” Nella prima lettera di Giovanni si legge : “Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre , mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce , come egli è nella luce , siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù suo figlio , ci purifica da ogni peccato”. San Paolo poi esorta gli Efesini a comportarsi come “figli della luce” poichè “il frutto della luce consiste in ogni bontà , giustizia e verità.” Il mio intendimento nella progettazione della chiesa è stato quello di invitare chi entra nello spazio ecclesiale a percepire la luce non come qualcosa di consueto e insignificante ma come qualcosa su cui è necessario riflettere avvertendone il valore simbolico chiaramente esplicitato nel Nuovo Testamento e nella tradizione religiosa cristiana. Nella chiesa di Castellaneta la luce entra dall’alto attraverso un lucernario , dai lati , in modo indiretto, attraverso due grandi asole orizzontali non visibili dall’interno e al centro dell’abside attraverso una fessura che illumina l’immagine del Cristo. La luce è una realtà immateriale visibile esprime la invisibile presenza divina , la luce permea tutto l’involucro parietale spezzandone la inerte continuità ma nello stesso tempo penetra dall’alto attraverso il lucernario a forma di mandorla e penetra dallo squarcio all’interno del presbiterio dove un impasto di colori da alla parete di fondo una intensa animazione che allude al mistero della incarnazione. Lo squarcio da cui penetra dal basso la luce à metafora del “cielo squarciato” e quindi della Resurrezione. Fonti di luce naturale sono presenti anche nella cappella del Battistero e in quella dell’Adorazione dove si trova la custodia del S.S. Sacramento. La dedica a San Francesco unito a Santa Chiara, poneva l’accento sulla scelta della Chiesa di essere e di mostrarsi come Chiesa dei poveri , scelta confermata da papa Francesco fin dall’inizio del suo pontificato e che non potrà non condurre in futuro a una svolta decisiva verso la semplicità e l’umiltà nel campo della architettura sacra. Il riferimento tipologico è infatti , a Castellaneta , quello alle chiese degli Ordini Mendicanti , caratterizzate dalla configurazione come sala in cui fin dall’ingresso tutto lo spazio è ben raggiungibile dall’occhio e dalla copertura a tetto con travi di legno a vista. Ad esprimere , all’interno di questa tipologia , il valore della innovazione liturgica conciliare si è voluto con la curvatura delle pareti alludere ,alla importanza del carattere comunitario dei riti (la orizzontalità) , senza però rinunciare allo sviluppo longitudinale che esprime l’orientamento verso l’altare e l’ambone e il senso del popolo di Dio in cammino. In ossequio alle recenti indicazioni della C.E.I. si è voluto dare piena evidenza ai Sacri Segni rendendone percepibile la collocazione appena si entra nella chiesa . Il Fonte Battesimale , la cappella dell’Adorazione , l’ambone , l’altare , la sede vescovile , il cero pasquale , il coro , appaiono come poli di un sistema policentrico in attesa di diventare , attraverso la liturgia , protagonisti , volta a volta , della azione cultuale. Vicino all’ingresso si apre lo spazio dedicato al sacramento della Riconciliazione . Il disegno della pavimentazione , una serie di cerchi concentrici evoca l’immagine del sassolino gettato nell’acqua , una immagine metaforica della comunità , della centralità dell’altare , della coesione della comunità celebrante. Una serie di sentieri però spezza la continuità del motivo irraggiante del pavimento , collegando tra loro i sacri segni dell’azione liturgica. In questo modo viene suggerita la universalità della Chiesa che supera i confini dello spazio ecclesiale localizzato ed ha un respiro cosmico. Nello stesso tempo i percorsi accentuano il carattere dinamico del rito e sottolineano che il popolo di Dio non è immobile ma sempre in cammino verso la salvezza. Per quanto riguarda l’impostazione generale dell’organismo la chiesa di Castellaneta è caratterizzata da un significato simbolico che si esprime nella scelta del tema geometrico : due segmenti di cerchio di eguale raggio accostati a formare una sagoma (la cosiddetta vescica piscis) simile a quella di una nave e di una mandorla. Entrambe queste forme , la nave e la mandorla hanno svolto un grande ruolo nell’arte e nella architettura cristiana. Per quanto riguarda la sagoma a mandorla , simbolo della Maiestas Domini la si ritrova spesso come cornice della figura del Cristo per le sue valenze simboliche, in quanto composta di un seme racchiuso in due scorze che può rappresentare “l’essenziale nascosto in un involucro” e quindi la natura divina che si nasconde nella natura umana. Adamo di San Vittore considera la mandorla come “mistero della luce , duplicità tra l’oggetto della contemplazione e il segreto della illuminazione interiore”. La connotazione della barca e della nave che a Castellaneta si evidenzia già dall’esterno e diventa chiarissima all’interno attraverso la struttura lignea , ha la sua motivazione nella tradizione che definisce nave o navata lo spazio principale delle chiese a qualunque tipo appartengano ed ha un solido punto d’appoggio nella patristica e nella letteratura cristiana. Alla simbologia della nave dedica un intero capitolo Jean Danièlou nel suo libro “I simboli cristiani primitivi”, dal quale estraiamo alcune citazioni illuminanti. “Il corpo intero della Chiesa somiglia ad una grande nave, che trasporta in una violenta tempesta uomini di provenienza molto diversa. Segue poi una lunga allegoria, in cui Dio è il proprietario della nave, Cristo è il pilota, il vescovo è la vedetta, i presbiteri sono i marinai, i diaconi capi rematori, i catechisti aiutanti. L’allegoria, ispirata dalle similitudini marittime, continua con la comparazione fra il mare agitato e le tentazioni del mondo, i passeggeri e i diversi ordini della Chiesa”. Nel testo liturgico delle Costituzioni apostoliche si legge : “Quando riunisci la Chiesa di Dio, sii vigile, come il pilota di una grande nave, affinché le riunioni si svolgano con ordine. Prescrivi ai diaconi, come a dei marinai, di indicare il loro posto ai fratelli come a dei passeggeri. Che la Chiesa sia rivolta verso l’Oriente, come si conviene a una nave... Che i portieri stiano all’ingresso degli uomini per custodirli e le diaconesse all’ingresso delle donne, come degli aiutanti”. Nel “Trattato sull’Antecristo” di Ippolito di Roma si legge: “Il mare è il mondo. La Chiesa, come una nave, è scossa dai flutti, ma non sommersa. Ha infatti con sé un pilota esperto, il Cristo. Al suo centro ha il trofeo vincitore della morte, come se portasse con sé la croce del Cristo. La sua prua è verso l’Oriente, la sua poppa verso l’Occidente, la sua carena verso il mezzogiorno. Ha come timone i due Testamenti. Le sue funi sono tese come la carità del Cristo e stringono la Chiesa. Essa ha con sé delle riserve di acque vive, come il bagno della rigenerazione. Ha dei marinai a destra e a sinistra, come degli angeli custodi, che governano e proteggono la Chiesa. I cavi che collegano l’antenna alla cima dell’albero sono come gli ordini dei profeti, dei martiri e degli apostoli che si riposano nel regno del Cristo.” La similitudine della nave si ritrova anche in Tertulliano nel “De Baptismo”: “Del resto, la barca prefigurava la Chiesa che, sul mare del mondo, è scossa dalle onde delle persecuzioni e delle tentazioni, mentre il Signore nella sua pazienza sembra dormire, fino al momento ultimo in cui, svegliato dalla preghiera dei santi, egli padroneggia il mondo e ridona la pace ai suoi”. Le connotazioni simboliche sono state , nelle scelte compositive contemporanee a quelle funzionali che seguivano il filo conduttore di unire alla orizzontalità dello spazio comunitario la verticalità della trascendenza espressa dalla luce . Uno scritto di Benedetto XVI esprime compiutamente la direzione in cui si è svolta la mia ricerca , anche se sono consapevole di aver ottenuto un risultato molto inferiore alla mia intenzione di interpretarlo parola per parola . “Il costruire dell’uomo, infatti, mira alla stabilità, mira alla sicurezza, alla patria, alla libertà. È un ribellarsi contro la morte, contro l’insicurezza, contro la paura, contro la solitudine. Per questo la voglia dell’uomo di costruire trova il suo pieno adempimento nella costruzione del tempio, in quella costruzione in cui egli invita Dio a entrare. Il tempio è l’espressione del desiderio dell’uomo di avere Dio come coinquilino; di poter abitare presso Dio e di sperimentare così la maniera perfetta dell’abitare, la comunione perfetta, che bandisce per sempre la solitudine e la paura”. “Dio costruisce la sua casa, ciò significa che essa non si realizza dove gli uomini vogliono esclusivamente da soli progettare, da soli riuscire, da soli produrre... Dove però gli uomini si lasciano impegnare per Dio, là essi trovano il tempo per Lui e là si crea anche lo spazio per Lui. Allora essi possono osare il passo verso l’avvenire: rappresentare nell’oggi il dimorare di Dio con noi e la nostra riunione per merito suo, che ci rende fratelli e sorelle in un’unica casa. Allora la disponibilità alla semplicità diventa naturale e ugualmente si riconosce il diritto alla bellezza, alle, cose belle. Anzi, solo in una tale spiritualizzazione del mondo in vista del Cristo venturo emerge veramente il bello nella sua forza trasformatrice e consolante. E si rivela una cosa sorprendente: la casa di Dio è la vera casa degli uomini. Diventa addirittura tanto più vera casa degli uomini quanto meno vuol esserlo, cioè quanto più è stata eretta semplicemente per Lui”.
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    Project details
    • Year 2013
    • Work started in 2006
    • Work finished in 2013
    • Status Completed works
    • Type Churches
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