Leibnizkolonnaden
Berlin / Germany / 2000
6
Questo progetto consta di due edifici paralleli, costruiti su di un terreno in abbandono tra Leibniz Straße e la Wieland Straße a Berlino, che si aprono a corte verso l’esterno e fiancheggiano la piccola Walter-Benjamin-Platz con due lunghi colonnati paralleli ed imponenti che si dirigono perpendicolarmente a questa.
Le sessanta colonne ioniche adoperate hanno un’apparenza lapidea monolitica, realizzata per dare carattere unitario e rigoroso, ma, al contempo, rappresentativo a quella lunga serie ripetitiva di elementi portanti.
I circa 7 m di altezza delle colonne, complete della loro entasi e dei loro capitelli avrebbero significato, se in materiale lapideo (granito) massivo e monolitico, un laborioso impegno, sia per la sistemazione in opera ma anche per la produzione a livello industriale (impensabile un lavoro artigianale su 60 colonne enormi, soprattutto con tempi e costi accettabili), per le dimensioni insolite degli elementi, essendo ormai abituati a lavorare su elementi più piccoli, magari parziali, ed i macchinari sono conseguentemente di dimensioni limitate. Inoltre, soprattutto,sarebbe risultato più difficile del previsto riuscire a trovare tanti blocchi monolitici sani del litotipo desiderato (granito verde) di quelle dimensioni nelle cave oggi esistenti, visto anche il frequente impoverimento o esaurimento di molte di esse nel tempo.
Quella che sembrava una richiesta assurda e un tentativo ambizioso è diventato, invece, un’occasione di sperimentazione progettuale a livello non tanto compositivo quanto soprattutto materico. Così i progettisti, i tedeschi Kollhoff e Timmermann, hanno realizzato qui una specie di artificio – se di ciò si può ancora parlare nella nostra epoca di ibridazioni – realizzando dei fusti in agglomerato di cemento e granuli di materiale lapideo(granito verde e marmo verde Alpi), con armatura metallica, come fosse semplice c.a., formato e lucidato in opera,alla maniera dei pavimenti alla veneziana.
Questa operazione, che pare una forzatura mimetica, lungi dal negarsi, invece, come realtà “apparente” (sottolineata anche dall’enormità generale dell’intervento), si pone piuttosto come sperimentazione interessante attorno al modo di manipolare la pietra e ciò che da essa può derivare, quasi una specie di ribellione creativa a ciò che è spesso modularmente standardizzato e qui, invece, pur nella semplice monumentalità dell’intervento, si presenta con una propria identità materica e formale, irripetibile, anzi modellata e progettata “su misura” con operazioni tecnologicamente ibride e, soprattutto, semplici.
Le lavorazioni in opera e fuori opera concorrono, qui, nel più pratico dei modi, a realizzare un lavoro originale dal punto di vista materico e quello che è un sistema di rivestimento tra i più antichi si esprime in una modalità del tutto innovativa, questa volta non più solo rivestimento, ma esprime la fusione di tecniche di rivestimento antichissime e di un sistema costruttivo fin troppo banale, “fusione” suscettibile di ulteriori sperimentazioni.
Si accede a tutte le case attraverso i cortili posti sotto i colonnati. Lo stesso Kollhoff, in una relazione di progetto ha individuato il modello di questa scelta: “…A Milano sono sempre stato affascinato dagli ingressi oscuri delle quali dai si intravedono i cortili assolati con la loro ricca vegetazione”.
Le sessanta colonne ioniche adoperate hanno un’apparenza lapidea monolitica, realizzata per dare carattere unitario e rigoroso, ma, al contempo, rappresentativo a quella lunga serie ripetitiva di elementi portanti.
I circa 7 m di altezza delle colonne, complete della loro entasi e dei loro capitelli avrebbero significato, se in materiale lapideo (granito) massivo e monolitico, un laborioso impegno, sia per la sistemazione in opera ma anche per la produzione a livello industriale (impensabile un lavoro artigianale su 60 colonne enormi, soprattutto con tempi e costi accettabili), per le dimensioni insolite degli elementi, essendo ormai abituati a lavorare su elementi più piccoli, magari parziali, ed i macchinari sono conseguentemente di dimensioni limitate. Inoltre, soprattutto,sarebbe risultato più difficile del previsto riuscire a trovare tanti blocchi monolitici sani del litotipo desiderato (granito verde) di quelle dimensioni nelle cave oggi esistenti, visto anche il frequente impoverimento o esaurimento di molte di esse nel tempo.
Quella che sembrava una richiesta assurda e un tentativo ambizioso è diventato, invece, un’occasione di sperimentazione progettuale a livello non tanto compositivo quanto soprattutto materico. Così i progettisti, i tedeschi Kollhoff e Timmermann, hanno realizzato qui una specie di artificio – se di ciò si può ancora parlare nella nostra epoca di ibridazioni – realizzando dei fusti in agglomerato di cemento e granuli di materiale lapideo(granito verde e marmo verde Alpi), con armatura metallica, come fosse semplice c.a., formato e lucidato in opera,alla maniera dei pavimenti alla veneziana.
Questa operazione, che pare una forzatura mimetica, lungi dal negarsi, invece, come realtà “apparente” (sottolineata anche dall’enormità generale dell’intervento), si pone piuttosto come sperimentazione interessante attorno al modo di manipolare la pietra e ciò che da essa può derivare, quasi una specie di ribellione creativa a ciò che è spesso modularmente standardizzato e qui, invece, pur nella semplice monumentalità dell’intervento, si presenta con una propria identità materica e formale, irripetibile, anzi modellata e progettata “su misura” con operazioni tecnologicamente ibride e, soprattutto, semplici.
Le lavorazioni in opera e fuori opera concorrono, qui, nel più pratico dei modi, a realizzare un lavoro originale dal punto di vista materico e quello che è un sistema di rivestimento tra i più antichi si esprime in una modalità del tutto innovativa, questa volta non più solo rivestimento, ma esprime la fusione di tecniche di rivestimento antichissime e di un sistema costruttivo fin troppo banale, “fusione” suscettibile di ulteriori sperimentazioni.
Si accede a tutte le case attraverso i cortili posti sotto i colonnati. Lo stesso Kollhoff, in una relazione di progetto ha individuato il modello di questa scelta: “…A Milano sono sempre stato affascinato dagli ingressi oscuri delle quali dai si intravedono i cortili assolati con la loro ricca vegetazione”.
6 users love this project
Enlarge image
Questo progetto consta di due edifici paralleli, costruiti su di un terreno in abbandono tra Leibniz Straße e la Wieland Straße a Berlino, che si aprono a corte verso l’esterno e fiancheggiano la piccola Walter-Benjamin-Platz con due lunghi colonnati paralleli ed imponenti che si dirigono perpendicolarmente a questa. Le sessanta colonne ioniche adoperate hanno un’apparenza lapidea monolitica, realizzata per dare carattere unitario e rigoroso, ma, al contempo, rappresentativo a quella lunga...
- Year 2000
- Work finished in 2000
- Status Completed works
- Type Office Buildings
comment